Il (Cinema) 3D è Morto.
Ricordo benissimo quel 22 Dicembre 2009, quando in un pomeriggio piovoso, con il cielo plumbeo quasi volesse di lì a poco minacciare anche di nevicare, andai al cinema a vedere il mio primo film in stereoscopia 3D.
Era Disney’s A Christmas Carol di Robert Zemeckis con Jim Carrey, Gary Oldman e Colin Firth.
Fu un’esperienza interessante, innovativa, esaltate e coinvolgente, vuoi per la regia sempre di livello del padre di tante pellicole divenute dei veri e propri cult, per ricordavene qualcuna cito Cast Way e Ritorno al Futuro, vuoi per l’uso della motion capture e della CGI, vuoi, forse, per la storia di Charles Dickens, il classico dei classici di Natale della cultura occidentale, romanzo breve che ho amato fino alla follia da adolescente e che tutt’ora amo, che mi ha formato e continuato a regalare piccole sorprese ogni volta che l’ho letto o visto; di fatto uscii da quella sala meravigliato, e complice di questo fu anche tutto il materiale che era uscito dallo schermo per ben 90 minuti: teste, braccia, gambe, neve, candele, Big Ben, Saint Paul. Era come essere a Londra, sembrava quasi di essere tornati nel diciannovesimo secolo e passeggiare tra le strade della capitale inglese pur non essendoci mai stati. Magia, Cinema. In una parola? Wow!
Poi, un mese dopo, il Re Mida di Hollywood, James Cameron, dopo quasi undici anni di silenzio passati da eremita, alla ricerca di storie nei fondali marini, portò in sala Avatar e, da allora, la “3Dmania” si espanse ovunque, come un morbo pestilenziale, arrivando in ogni cinema d’Italia e del mondo intero. Tutti rimanevamo stupefatti e sorpresi dei prodigi della tecnologia, tutti erano estasiati dal mettersi degli occhialini, allora non “usa e getta”, ed ogni uomo, donna e bambino pareva non vedere l’ora di entrare nell’incantato mondo di Pandora.
Con il senno di poi Avatar, in tutta onestà, rimane il miglior 3D realizzato, che aggiunge un valore di spessore ad una storia dal grande impatto visivo, curata e narrata in maniera egregia pur non brillando per la sua originalità; il lavoro di Cameron se visto oggi non pare essere invecchiato di un giorno ed i particolari che paiono uscir fuori dallo schermo sono un caleidoscopio di bellezze esotiche dal sapore fantascientifico talmente marcato e reale da apparire verosimili in tutto e per tutto.
Come per ogni cosa, poi, le case di produzione, trovata una (nuova) miniera d’oro, una volta accertatesi che i due miliardi guadagnati dalla Fox erano stati resi possibili grazie ai magici occhialini neri, che vantavano un sovrapprezzo del biglietto considerevole, decisero di dare avvio ad una conversione in post produzione di innumerevoli lungometraggi affinché anch’essi vantassero la scritta “anche in 3D”. Il risultato, nei primi mesi successivi, fu un disastro di dimensioni bibliche e se la “resurrezione” di questa tecnica, rispolverata furbescamente dal cassetto dei ricordi, innovativa fino ad un certo punto dato che era già stata usata parecchie volte in passato, è parsa radiosa e potente, così non si è potuto dire della sua crescita ed invecchiamento.
A parte qualche minuscola mosca bianca, quello che il pubblico si ritrovò tra le mani fu tutta una serie di film che sfruttavano gli slogan e la pubblicità per regalare poi un tipo di spettacolo mediocre e ad alto costo. Palese è infatti Harry Potter e I Doni della Morte parte 1&2, opera conclusiva, trasposta al cinema, della nota saga letteraria nata dalla mente di J.K. Rowling, la quale, a causa di una fotografia particolarmente scura, dove i colori neri la facevano da padrone, non riusciva minimamente a dare un senso di profondità degno di nota o avvertibile, aspetto sottolineato nella fantomatica battaglia finale, girata interamente di notte, l’apoteosi del fallimento per quanto concerne la stereoscopia.
Il 3D è sempre stato una limitazione per i film, e pochi sono quei registi che l’hanno saputo sfruttare non cadendo nella trappola dell’effetto “accidenti quanto è ganzo”, espressione che viene istantanea quando gli spettatori sono davanti a tutta una serie di zampilli fiammeggianti che volano su uno schermo di 9 metri o sul proprio televisore di casa, che ti danno l’impressione di invadere la vostra abitazione oltre che il vostro campo visivo.
Film-maker con più talento da vendere si sono comunque distinti dalla massa, ed hanno cercato di mettere in risalto la profondità ed il punto di fuga, come nei dipinti, nei loro progetti, e tale scelta porta ad avere lavori ricchi di personalità come Hugo Cabret, Mad Max : Fury Road, o la Trilogia de Lo Hobbit dove le luci giocano un ruolo fondamentale per far emergere in toto quanto si anima sullo schermo, senza che questo rappresenti una forzatura o si arruffiani ai gusti superflui di chi li guarda.
Ma oggi il 3D è morto, sepolto, o se è ancora tra noi cammina rantolando come uno zombie in The Walking Dead alla ricerca di qualche braccio o caviglia da mordere per nutrirsi. I dati lo confermano: la gente preferisce l’IMAX (che ha già un suo costo) agli occhialini, e le sale con proiezione stereoscopica si iniziano a contare sui palmi delle dita di una mano.
I costi sempre inferiori dei cofanetti 3D Blu-Ray, un tempo venduti anche a 30 Euro, e la sempre meno necessità di piazzare sul mercato homevideo questo particolare formato, conferma quanto appena scritto e quale più lampante esempio può calzare a pennello se non quello di Star Wars : Il Risveglio della Forza?
Uscita a Dicembre in ogni tipo di formato possibile ed immaginabile in sala, l’ultima fatica di J.J. Abrams arriva a noi, il prossimo 13 Aprile, nelle nostre case, se non con 2 formati, il Blu-Ray ed il DVD e quanto detto, almeno per chi ha un minimo di esperienza nel settore, non è che la prova schiacciante che abbraccia una definitiva sentenza: se la LucasFilm, alias Disney, evita di mettere sul mercato un prodotto come quello del settimo Star Wars, di cui si è parlato fino alla noia e tutt’ora si continua a parlarne nemmeno fosse uscito da una settimana, vuol dire che per il 3D ormai non c’è più interesse, né da parte di chi lo compra, né da parte di chi ci investe.
A rafforzare questa tesi c’è l’avanzata incontrollata dell’Ultra HD, il 4K, la definizione con la “D” maiuscola, quella che ti fa vedere persino quanti pidocchi ci sono nei capelli di DiCaprio in Revenant o quanti granelli di sabbia ci sono nel deserto australiano di Mad Max.
Allora, chi diceva “siamo dinnanzi al futuro, alla rivoluzione, al cinema che si innalza per arrivare ad essere una forma di realtà visiva capace di regalare nuove sensazioni” non ha che sbagliato, e Cameron, che ha sempre puntato su questo formato non è stato un gran profeta, purtroppo o per fortuna, perché son bastati solo 6 anni ad affondare una nave di galeoni nell’oceano dell’industria cinematografica, mentre il veliero dell’alta definizione adesso fa rotta nei cuori dei cinefili, critici ed appassionati, forte di avere dalla sua un costo ridotto e una resa visiva fuori dal comune. Chissà, magari, come in passato, un giorno il 3D tornerà in auge per far vendere qualche televisore, prima che venga rimesso nella teca del museo del Cinema degli oggetti passati di moda. Eh si, va detto, la stereoscopia 3D non è stata una “revolution”, ma solo una semplice moda passeggera.
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