Questa mattina a Singapore, per la prima volta dopo 70 anni, i leader delle due “Cine”, il presidente cinese Xi Jinping e quello taiwanese Ma Ying-jeou, si sono incontrati e si sono stretti la mano.
Anche le parole che si sono scambiati sono state di unità e rispetto reciproco.
Xi Jinping ha infatti dichiarato che: “Nessuna forza ci può separare, siamo una sola famiglia“.
Mentre Ma Ying-jeou ha sottolineato che “entrambe le parti devono rispettare i valori e il modo di vivere dell’altro” e ha espresso la speranza che l’incontro sia un passo in avanti per la pace nello stretto.
Si tratta di un evento storico che coglie abbastanza di sorpresa, visti i rapporti tradizionalmente conflittuali tra i due paesi.
Fin dal 1949, quando Chiang Kai-shek, rifugiatosi nell’isola di Formosa, proclamò Taipei capitale provvisoria della Repubblica di Cina, la Repubblica Popolare Cinese considera Taiwan una provincia ribelle che prima o poi dovrà essere riannesa ed infatti i due paesi non hanno relazioni diplomatiche ufficiali.
Nel 2005 Pechino si è addirittura obbligata per legge all’intervento militare qualora le autorità dell’isola del pacifico facessero passi in avanti verso l’indipendenza ufficiale.
Taiwan continua a difendere la propria sovranità non riconoscendo le pretese cinesi sull’isola.
Ma comunque questo incontro non può essere venuto fuori dal nulla, certamente è stato preparato da lunghe e complesse trattative tra i due stati opportunamente tenute riservate.
L’atipicità del protocollo
Il particolare protocollo utilizzato, oltre che la scelta del luogo neutrale, confermerebbe una previa organizzazione nel dettaglio delle modalità dello storico incontro con il preciso intento di mostrare i due interlocutori in una situazione di parità.
Infatti, proprio a causa delle storiche divergenze che impediscono il mutuo riconoscimento ufficiale, per i due presidenti non è stato possibile ricorrere al protocollo normalmente utilizzato per le relazioni diplomatiche, in particolare con riferimento all’appellativo da utilizzare per rivolgersi l’un l’altro.
Xi Jinping viene chiamato in molti modi “Presidente della Repubblica Popolare Cinese“, “Segretario Generale del Partito Comunista Cinese“, o addirittura “Dada” (nomignolo utilizzato dai suoi sostenitori che il NewYorkTimes traduce come “Zio” o “Paparino“), ma Ma Ying-jeou, non potendo utilizzare tali epiteti, gli ha dato semplicemente del “xiansheng“, parola del cinese mandarino traducibile più o meno come “signore” ed utilizzata in modo formale e rispettoso per rivolgersi ad una persona autorevole (per es. il proprio insegnante). E lo stesso ha fatto Xi Jinping.
70 anni fa l’ultima stretta di mano
Un incontro tra i leader delle due “Cine” non si verificava da 70 anni.
L’ultima volta fu appunto nell’agosto del 1945 quando Mao Tse-tung e Chiang Kai-shek si incontrarono a Chongqing per festeggiare la comune vittoria sull’invasore giapponese.
La cosa all’epoca non fece scalpore, d’altronde maoisti e nazionalisti di Kai-shek avevano combattuto diverse battaglie comuni tra gli anni ‘20 e ‘40.
Infatti anche i maoisti avevano fatto parte del Kuomintang di Sun Yat-sen, costituito nel 1923 per la lotta comune contro i c.d. “signori della guerra“, fino al 1927 quando ne furono espulsi dal generale Kai-shek (a capo del Kuomintang dopo la morte di Sun Yat-sen).
Poi, a partire dal 1937, Tse-tung e Kai-shek unirono nuovamente le forze nella lotta contro l’invasore giapponese fino alla vittoria nel 1945.
L’incontro, fortemente voluto sia da al presidente americano Truman che dal leader sovietico Stalin, aveva lo scopo di evitare che dal conflitto mondiale si passasse alla guerra civile.
Purtroppo, come sappiamo, non andò come sperato e nel 1949 lo sconfitto Kai-shek fu costretto a ripiegare sull’isola di Formosa, che rimase di fatto l’ultimo bastione della Repubblica di Cina, istituita dallo stesso generale già nel 1928.
Il “Consenso del 1992″e la politica di distensione
Da oltre 20 anni tra i due paesi c’è però un dialogo costante, iniziato con il “Consenso del 1992” con cui Pechino e Taipei hanno concordato sull’esistenza di una sola Cina che comprende entrambi gli stati, anche se ovviamente essa è interpretata e definita secondo ricostruzioni diverse e opposte.
Da allora comunque il Kuomintang taiwanese e il Partito Comunista Cinese rispettano lo status quo: la Repubblica Popolare Cinese pur considerando Taiwan come una provincia ribelle non la invade; Taiwan pur operando sostanzialmente come uno stato indipendente non sfida la Cina con una formale ed ufficiale dichiarazione di indipendenza.
Inoltre dal 2008, con Ma Ying-jeou alla sua guida, il Kuomintang ha favorito la distensione politica e la cooperazione economica e commerciale tra i due paesi, che hanno raggiunto il loro apice negli ultimi anni.
La protesta nelle strade di Taipei
Ma molti taiwanesi non hanno dimenticato la minaccia di circa 2000 missili cinesi puntati su di loro fin dal 1999.
A Taipei ci sono state manifestazioni di protesta contro l’incontro tra i due presidenti.
I manifestanti, tra cui moltissimi studenti, hanno tentato di entrare in parlamento, senza riuscirci perché contenuti dalla polizia che però non ha effettuato alcun arresto, e alcuni di loro sono rimasti in sit-in di fronte ad esso per tutta la mattinata.
Nei cartelli e negli striscioni si potevano leggere motti indipendentisti come “Indipendenza per Taiwan“.
Oltre ai manifestanti la notizia dell’incontro non è piaciuta nemmeno al Partito Democratico Progressista (Dpp), partito di opposizione, che non ha mai riconosciuto il “Consenso del 1992”.
La candidata presidente del Dpp alle prossime elezioni (16 gennaio), Tsai Ing-wen, ritiene che il vertice non sia altro che un’operazione propagandistica del Kuomintang per guadagnare consenso elettorale.
In effetti il candidato del Kuomintang, Eric Chu (Ma Ying-jeou ha terminato il secondo mandato e quindi non può ricandidarsi), è debole nei sondaggi, e quest’incontro potrebbe essere una mossa mediatica per dimostrare ai taiwanesi che è possibile dialogare da pari a pari con la Cina.
Perché questo incontro?
In effetti c’è da chiederselo.
Non esiste alcuna versione ufficiale, si sa solo che non si è parlato dei temi più spinosi, come le attività della Repubblica Popolare nel mare cinese meridionale o della questione dell’indipendenza di Taiwan.
Si è invece parlato di mantenimento della pace nello stretto e di ulteriore cooperazione economico/commerciale tra i due paesi.
Ma un dialogo di questo tipo era già in corso, come abbiamo visto, fin dal 2008, quindi quali sono stati i reali motivi ed interessi che hanno portato ad organizzare questo incontro?
Certo, per il presidente taiwanese, che come abbiamo detto è a fine mandato e non potrà più ricandidarsi, può essersi trattato di un’occasione unica per far rimanere il proprio nome alla storia, oltreché di una fine mossa politica per aiutare il proprio partito in difficoltà per le prossime elezioni di gennaio.
Ma Pechino cosa ha da guadagnarci?
Possiamo solo ipotizzare che, con i rapporti sempre più tesi con Tokyo e Washington, Xi Jinping abbia il timore di rimanere in una posizione di isolamento diplomatico e stia quindi cercando di migliorare i rapporti con gli altri principali attori nello scenario geopolitico del Pacifico.
D’altronde qualche interesse dev’esserci, visto che la concessione più rilevante che sia stata fatta durante l’incontro è senz’altro quella cinese: Xi Jinping ha dichiarato che la Cina non punta più i suoi missili su Taiwan.