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Ciclopi ed elefanti nani

Quante volte a scuola ci siamo sentiti dire che dietro i miti (e le leggende) spesso si nasconde un fondo di verità? Che il mito è un tentativo di spiegare la realtà quando la natura va davvero oltre la percezione consentita all’essere umano come la creazione del mondo o l’origine di eventi naturali e di catastrofi?

Che le lotte fra dèi per il trono olimpico altro non sono che la trasposizione soprannaturale delle lotte per il potere, così tanto umane?

Quindi, in sostanza, fatti più o meno concreti, che non trovano una specifica collocazione scientifica (intendendo per scienza un qualunque campo della conoscenza) vengono spiegati e talvolta più “giustificati” da quello che, per la sua stessa etimologia greca, è un racconto.

 

La fantasia degli antichi sicuramente era molto, molto sviluppata e ha partorito figure assai strane e affascinanti: un mostro dal corpo leonino e con sul dorso una testa di capra; figure mezze umane e mezze cavallo, litigiose e guerrafondaie; cavalli alati; una controversa figura mezza leone e mezza umana intenta a tessere un ingannevole indovinello alle persone per poi ucciderle se non in grado di sciogliere l’enigma…

Poi troviamo figure e personaggi che sono il riflesso della realtà e dei problemi di un tempo molto antico: leoni e tori che infestano le campagne, cinghiali uccisori, briganti  e pirati dalla straordinaria forza e così via: tutte figure ingigantite dalla fantasia popolare, ma che sicuramente, o quasi, sono il riflesso di problematiche comuni, se non altro in tempi antichi. Sappiamo infatti che il leone infestava parti della Grecia ancora in età storica (lo stesso Alessandro Magno pare abbia rischiato la vita mentre era a caccia); il cinghiale non si può certo annoverare fra le bestie mansuete (Ulisse fu gravemente ferito ad una gamba durante una battuta di caccia e portò per tutta la vita la cicatrice, la famosa cicatrice che la nutrice riconobbe al suo ritorno); viaggiare per terra e per mare non è mai stato tranquillo, pirati e briganti hanno sempre infestato le vie di comunicazione;  il toro è uno degli animali che ha sempre creato problemi agli abitanti delle campagne di tutto il Mediterraneo (si pensi alla centralità che ha nell’isola di Creta e nei suoi culti o al mito del toro di Maratona, dove è dovuto intervenire nientemeno che l’eroe Teseo, l’uomo più forte che il mondo abbia mai conosciuto, per catturarlo e ucciderlo).

 

Ma in questo articolo voglio concentrarmi su uno dei più famosi personaggi della mitologia greca e, forse, del mondo occidentale: Polifemo.

Essere gigantesco, pastore e produttore di formaggi, abitatore di caverne, blasfemo e senza timore degli dèi (nonostante, o forse proprio perché, egli stesso figlio del dio marino Posidone) incarna tutti i valori che non facevano parte della cultura greca e proprio sul valore sociale della figura di Polifemo sono stati versati fiumi d’inchiostro nei secoli e non è su questo aspetto che voglio soffermarmi.

 

In realtà ciò di cui voglio realmente parlare è dell’ipotesi secondo cui gli antichi abitanti della Sicilia possano aver trovato resti fossili di elefanti nani e averli scambiati per gli scheletri di Ciclopi.

Sì, avete capito bene, elefanti.

 

Ma facciamo prima un po’ di chiarezza e analizziamo le “caratteristiche fisiche” e lo “stile di vita” di questo mostro antropofago.

Nel libro X dell’Odissea, Omero fa dire ad Ulisse queste parole circa i Ciclopi, presso le cui terre era giunto insieme ai suoi compagni:

“Non hanno assemblee né sanno di leggi,/ma vivono in alte cime di monti, in antri/fondi; e ciascuno fa leggi ai suoi figli/ e alle donne, l’uno incurante dell’altro” (vv 112-115).

E poi:

“Quivi un uomo abitava di enorme grandezza/ che solo e da tutti lontano pasceva le greggi…” (vv 187-188);

“Allora ai compagni ordinai che a sorte tirassero/ chi di loro dovesse con me, sollevato/il palo, ficcarlo nell’occhio al Ciclope…” (vv 331-333);

Gruppo scultoreo rappresentante l’accecamento di Polifemo, da Sperlonga.

“Alzarono quelli il tronco d’olivo e la punta/poggiarono aguzza nell’occhio del mostro”.

Dunque da queste citazioni possiamo comprendere tre aspetti fondamentali della figura del Ciclope: è un essere mostruoso che vive in grotte o antri naturali; ha una corporatura enorme e possiede un occhio solo (la stessa parola “ciclope”, in greco, significa “occhio tondo”).

Queste caratteristiche sono perfettamente riassunte nella descrizione che ce ne da Euripide nel suo dramma satiresco Il ciclope, attraverso le parole di Sileno, capo del coro di Satiri:

“Veleggiavamo ormai dappresso al Malea/ quando un vento d’oriente investì il legno,/ ci spinse qui, alla gran roccia Etnea/ ove i Ciclopi monocoli figli/ del dio del mare, gran strage di genti,/ abitano caverne in solitudine” (vv 18-22).

Empedocle da Agrigento (492-432 a.C.) ci dice che in molte caverne dell’isola furono trovate testimonianze di una stirpe di uomini giganteschi oggi scomparsa. Anche molti storici, poeti e scrittori, tra cui ricordiamo Boccaccio, ci parlano di misteriose grotte dove furono ritrovate ossa gigantesche o “ossa di Polifemo”.

 

Dopo l’Unità d’Italia in alcune grotte della Sicilia (tra cui le più famose sono la Grotta di Spingallo di Siracusa e le grotte dei Puntali e di Luparello nella zona di Palermo) alcuni studiosi iniziarono a trovare resti di elefanti e furono subito individuate due specie diverse tra loro, Elephas Falconeri e Elephas Mnaidriensis, che studi recenti dell’Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del CNR d Roma e dell’Università di San Diego hanno datato rispettivamente a 500.000 e a 200.000 anni, ovvero nel Pleistocene, e probabilmente estinti intorno a 6000 anni fa.

Esemplare di Elephas Mnaidriensis

Durante le glaciazioni, quando il livello dei mari si abbassava notevolmente, è possibile che l’antenato di queste specie (Elephas Antiquus, elefante europeo alto fino a 4 metri) sia arrivato nelle isole del Mediterraneo direttamente dal continente.

Questi animali avevano, però, una caratteristica molto particolare che subito colpì l’opinione pubblica: le loro dimensioni erano molto piccole se confrontate a quelle dei mammuth o comunque degli elefanti moderni, talvolta non arrivando nemmeno al metro di altezza e con una media di circa 150-180 cm.

Questo fenomeno, chiamato “nanismo insulare” è tipico delle specie soggette a isolamento geografico (come appunto gli animali che vivono sulle isole) ed è causato dalla forte endogamia, con la mancanza di apporti genetici nuovi dovuta al continuo incrocio fra consanguinei, oltre che  dalla riduzione delle risorse alimentari, a cui partecipano anche cambiamenti climatici, che rendono più facile la sopravvivenza ad animali con corporatura ridotta.

Nonostante le dimensioni ridotte, però,il cranio dell’elefante nano è comunque significativamente più grande di quello di un essere umano, ed è possibile, non certo poiché non ne abbiamo testimonianza diretta in alcuna fonte, che alcuni antichi abitanti della Sicilia in epoca storica abbiano trovato dei resti di elefante nano e abbiano interpretato il cranio, provvisto di un foro centrale per la proboscide, come il teschio di un essere mostruoso da un occhio solo e di lì a creare il mito del selvaggio Ciclope il passo è breve; inoltre quasi tutti i fossili di questi animali sono stati ritrovati in grotte, in cui probabilmente entravano alla ricerca dei sali minerali fondamentali nella loro dieta e nelle quali rimanevano per sempre intrappolati. E quali erano appunto le dimore dei Ciclopi se non gli antri siciliani?

Insomma se le ipotesi messe in luce risultassero vere e non solo plausibili, saremmo di fronte ad un antichissimo caso di “interpretazione” di ritrovamenti paleontologici da cui ne è scaturita una leggenda che ancora oggi studiamo e leggiamo. E non importa che questa “ipotesi ricostruttiva” degli antichi sia stata del tutto sbagliata, se è servita a scrivere tra le pagine più commoventi e più suggestive di uno dei poemi più belli di tutta la cultura mondiale.

Dettaglio di un’anfora protoattica da Eleusi del cosiddetto “Pittore di Polifemo”

 

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