
Quella dello scorso 11 febbraio non si può chiamare in nessun modo se non serata di grande teatro: la “prima” pisana de Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota – portata in scena dal prestigioso laboratorio LTL Opera Studio – si è rivelata non solo un grande successo ma anche una rappresentazione di altissimo livello, sia per la pregevolezza dell’interpretazione musicale sia per la splendida realizzazione scenica. Il giovane cast è stato guidato e supportato in questa non facile prova da due professionisti che ormai possono essere pacificamente definiti solide colonne del Teatro Verdi di Pisa, il regista Lorenzo Maria Mucci e il M° Francesco Pasqualetti, che sono stati capaci di fondere perfettamente le reciproche aree di competenza forgiando uno spettacolo fresco, divertente e godibile in ogni suo momento ma contemporaneamente denso di importanti riferimenti culturali e di sicuro valore artistico. In particolare è doveroso segnalare la regia di Mucci, molto ispirata e indubbiamente innovativa rispetto a quella pensata per l’allestimento originale del Cappello di paglia del 1955, tuttavia la grande intelligenza con cui il regista ha mosso la sua mano ha fatto sì che la particolare ambientazione prescelta (uno studio cinematografico degli anni ’20 in cui si gira un film ambientato nell’Ottocento) apparisse perfettamente coerente con l’azione scenica; in parole povere funzionava perfettamente, senza la minima forzatura. Sicuramente nel sostenere la magistrale illusione creata da Mucci hanno concorso i meravigliosi costumi di Massimo Poli e le splendide scene di Emanuele Sinisi, nonché il suggestivo disegno luci di Michele Della Mea.

Venendo alla componente musicale, dato l’eccellente risultato conseguito ogni singolo membro del monumentale cast dei solisti meriterebbe un encomio a parte. Si segnala il bravo Nicola Vocaturo (Lo zio Vézinet), per il quale risulta perfetta la frase «non esistono piccole parti, ma solo piccoli attori»: Vocaturo ha saputo catturare l’attenzione del pubblico pur rivestendo un ruolo piuttosto marginale nell’economia dello spettacolo grazie alla sua potente voce tenorile e all’innata grazia di interprete, ottima anche Federica Livi, nel simpatico ruolo (dalla vocalità quasi rossiniana) della Modista, interpretato con gusto e piglio accattivante. Bravissima Antonia Fino che ci ha regalato una Baronessa con un portamento raffinato e sensuale al pari della sua voce, solida e piacevolmente umbratile. Piacevole anche la performance del soprano Federica Grumiro, un’irresistibile Anaide (proprietaria dell’originale cappello di paglia) civettuola, energica, sorretta da una voce sottile e duttile ma che salta immediatamente all’attenzione nelle scene d’assieme, in buffo contrasto con la vocalità spessa e intensa del “marito”, il baritono genovese Alessandro Biagiotti, irresistibile nei panni di Beaupertuis e perfettamente capace di muoversi sul palcoscenico in perfetta naturalezza.

L’ottimo Veio Torcigliani con il suo Noncancourt ci ha offerto un brioso mix di mimica e vis comica, il tutto riempito con quella sua bella voce capace di passare, all’interno della stessa battuta, da un recitato quasi parlato all’impostazione lirica più tradizionale che si possa immaginare. Il tenore Claudio Zazzaro, invece, pur non avendo una vocalità particolarmente affascinante, ha saputo reggere senza la minima fatica l’ingombrante ruolo del protagonista Fadinard che – giusto per mettere i puntini sulle i – si trova in scena quasi ininterrottamente per tutta l’opera.
Tuttavia è Maria Veronica Granatiero l’incontrastata regina della serata: non mi sarei mai aspettato una voce tanto straordinaria da una così giovane interprete, e straordinaria non solo per l’intrinseca bellezza del timbro vocale ma soprattutto per il perfetto controllo dell’emissione vocale e dell’intonazione anche nei registri più acuti e impervi. Le sue colorature, piccole e pregiate come miniature medievali, curate in ogni dettaglio erano davvero uno spettacolo nello spettacolo.

A sostenere la compagine canora c’era la formidabile Orchestra Giovanile Italiana. Ormai lo standard delle loro esecuzioni ha raggiunto livelli veramente alti, tanto che non è un’iperbole dire che in molte parti dell’esecuzione questi giovani musicisti (ma che mangerebbero in un sol boccone diverse orchestre ben più “stagionate”) hanno rasentato la perfezione. Sotto la guida del M° Pasqualetti l’OGI ha eseguito la partitura del Cappello di paglia con un gusto mirabile, dove la giocosità della pagina di Rota ha trovato un’interessante interpretazione. Infine, ma non per importanza, è doveroso citare il coro, composto dal ben noto CLT Coro Lirico Toscano, con la partecipazione di giovani cantori del Coro delle Voci Bianche del Teatro del Giglio e della Cappella di Santa Cecilia. La compagine corale ha saputo interpretare il proprio ruolo conferendo uno spessore tale che, più che una moltitudine di personaggi, si può ben dire che si trattava di un personaggio vero e proprio e ha saputo integrare e sostenere alla perfezione l’ensemble vocale dei solisti con grazia squisita (ad esempio nel divertentissimo fugato Io casco dalle nuvole), insomma l’ultimo piccolo gioiello che si va a incastonare in una delle migliori produzioni del Teatro Verdi degli ultimi anni.
Photocredit: Massimo D’Amato, Firenze
Luca Fialdini
luca.fialdini@uninfonews.it
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