ANKARA-In questi giorni in Turchia si stanno svolgendo sanguinose proteste contro il governo dittatoriale islamico del sultano del terzo millennio, Erdogan. Le manifestazioni di dissenso sono iniziate qualche giorno fa a causa della decisione di cementificare selvaggiamente piazza Taksim dove ora vi sono all’incirca 100 alberi. Questa però non è solamente una manifestazione ecologista, ma ha un carattere ben più ampio e profondo. Infatti in questa bellissima piazza, situata in una delle parti più belle di Istanbul, si vuole costruire un piccolo centro commerciale e una moschea. L’inutilità di entrambi è evidente.
Nel primo caso i centri commerciali nelle vicinanze di Piazza Taksim sono addirittura quattro e nel secondo caso la moschea potrebbe essere costruita in un altro luogo, ma ovviamente un premier conservatore come Erdogan vuole tessere lunghe trame per controllare ogni parte del suo sultanato, in una delle città più importanti e fra le più laiche dell’oriente. Non può lasciare puro e vergine un terreno di incontro e libero scambio culturale come una piazza. In realtà la rivolta per salvaguardare la piazza è figlia di brutalità commesse più e più volte in nome della religione, non della ragione: l’ennesimo primo maggio di violenza, il divieto di qualsiasi forma di informazione da Reyhanli, città colpita da un’esplosione che ha causato 52 vittime o le restrizioni delle più semplici libertà civili, come quello di poter comprare dell’alcool, per non parlare delle sproporzionate violenze perpetrate ai danni degli attivisti inermi. Molti sono gli sconti che si sono susseguiti e continuano a verificarsi a Istanbul, ma anche in altre città turche, come nella capitale Ankara, a Smirne e in generale nell’area di Besiktas, sul Bosforo, non lontano dalla residenza di Istanbul del premier Erdogan. Piazza Taksim è irriconoscibile, distrutta dalla violenza, ristoranti chiusi e danneggiati, così come anche gli alberghi che su questa piazza si affacciano, ma la solidarietà non pervenuta dalle autorità di polizia è stata trovata dai manifestanti nelle case delle persone comuni che hanno aperto volontariamente le loro porte per proteggerli dai lacrimogeni, lanciati micidialmente ad altezza uomo, e addirittura alcuni alberghi hanno dato la loro piena disponibilità a ospitare i manifestanti. Il premier turco ha criticato coloro che vogliono vedere in queste manifestazioni una sorta di primavera turca, ma al contempo proprio come i leader arabi, da lui sempre condannati, utilizza la denuncia dei “collegamenti esteri” e afferma con forza che le rivolte sono organizzate da non meglio specificati gruppi estremisti, (probabilmente intende per estremisti coloro che non hanno una linea socio-politico-religiosa identica alla sua), il sultano ha cercato di minimizzare i fatti confermando che queste proteste non hanno a che vedere con le primavere arabe scoppiate nei mesi scorsi, proprio per sostenere la sua tesi e mostrarsi forte e non intimorito non ha cancellato gli impegni diplomatici e si è diretto regolarmente nel Nord Africa. Gli Stati Uniti guardano con preoccupazioni gli sviluppi degli eventi in Turchia e il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, lancia un appello alle parti per giungere a uno stop alle violenze, gli fa eco il segretario di Stato americano John Kerry “Gli Stati Uniti – ha ricordato – sostengono con forza il diritto alla libertà di espressione, compreso quello di protestare pacificamente”. Sulla stessa linea il capo dello Stato turco Abdullah Gul che ha lanciato un segnale di apertura ai manifestanti antigovernativi affermando che la democrazia non si esaurisce nelle elezioni e ribadisce il diritto di manifestare pacificamente, ”Se ci sono obiezioni non c’é nulla di più naturale che esprimerle, in modo pacifico’ ha affermato, invitando ”tutti a mantenere la calma”. Negli ultimi tempi il capo dello Stato Gul ha preso talvolta le distanze dalla politica aggressiva del premier Recep Tayyip Erdogan, per altro suo compagno di partito. Le violenze, quindi, bagnano di sangue caldo e giovane le antiche strade consumate della Turchia, le prime vittime, fra i giovani, sono cadute nella polvere, come un manifestante colpito da arma da fuoco alla testa nella capitale turca, ora in stato di morte cerebrale, il nome del ragazzo è Ethem Sarisuluk, così come riferito dal segretario generale della Fondazione turca per i diritti umani Metin Bakkalci. Ovviamente la lista è lunga, lunghissima, destinata a diventarlo ancora di più. Un taxi si è lanciato contro la folla che occupava una super strada a Istanbul causando la morte di un ventenne e il ferimento di altri quattro ragazzi. La devastazione non risparmia niente e nessuno, neppure gli uffici del partito del sultano Erdogan, l’Akp, spingendo la polizia a costituire vari perimetri difensivi intorno ai palazzi istituzionali. Nella sua lungimiranza il premier Turco invece di prendersi le proprie responsabilità politiche e civili ha pensato bene di incolpare il famoso social network Twitter definendolo una vera e propria minaccia per la società turca. Siamo di fronte a un evento tragico, moltissimi i feriti, da quantificare i morti che in questo momento si aggirano sulle decine, un evento doloroso, ma denso di significati. Un impegno civile che sfocia nel sacrificio di se stessi nella difesa della Repubblica Turca e dei suoi valori laici, che ogni giorno combatte per non essere messa alla gogna da un gruppo di simpatizzanti dei fasti ottomani, giovani manifestanti che vogliono vivere in quelle istituzioni che oggi esistono, ma che forse domani saranno spezzate. Vogliono combattere contro un dittatore, un autocrate, un conservatore ossessionato dalla religione e dal potere, che nel suo bigottismo vuole trasportare l’intera società nel declino del fanatismo religioso, sconvolgendo i valori repubblicani che tanto duramente erano stati costituiti in passato a costo di moltissime vite. L’esercito esautorato dalle riforme costituzionali del 2010, proprio dal partito dell’attuale premier, è messo ai margini e indebolito, non può, anche se vorrebbe, scendere al fianco dei manifestanti.
Ataturk li ha risvegliati, essi non si arrenderanno, loro lottano per il loro Stato, loro lottano per la loro casa.
Matteo Taccola
matteo.taccola92@gmail.com