Il DonGiovanni Festival, inaugurato la scorsa stagione teatrale, sta volgendo al termine e la direzione artistica del Teatro Verdi di Pisa ha deciso di chiudere in grande stile, presentando tre differenti Don Giovanni nell’arco di un mese: si inizierà il 6 novembre con il Don Giovanni Tenorio di Giovanni Gazzaniga, passando a Il Convitato di Pietra di Giacomo Tritto il 14 novembre, per poi concludere il 21 novembre con Il Convitato di Pietra di Giovanni Pacini.
“È raro trovare queste opere in cartellone, ma ancor più raro è trovarle tutte assieme,” – ha esordito il direttore artistico, M° Marcello Lippi – “perché si tratta di opere importanti nel loro genere, forse non dei capolavori ma comunque di altissima qualità. Inoltre, il proporre queste opere in tempi così ravvicinati consente di comprendere al meglio qual è stato lo spirito del nostro DonGiovanni Festival, ossia apprezzare le varie declinazioni del mito di Don Giovanni. Questo mito, per motivi che non si conoscono, ha sempre ispirato i musicisti fin dal ‘600, basti pensare che nell’anno in cui uscì il celebre Don Giovanni di Mozart, ne uscirono altri tre.”
Proprio l’opera mozartiana è il punto di riferimento per queste tre opere “minori”. Come illustra efficacemente il M° Lippi, il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte è la summa del mito del libertino, non solo perché è la migliore opera che si basa su questo mito, ma anche perché riassume in sé elementi presentati nei precedenti Don Giovanni; ad esempio, la trama è quasi copiata pagina per pagina dal libretto del Don Giovanni Tenorio di Gazzaniga, mentre ci sono alcune situazioni che si riferiscono esplicitamente al Convitato di Pietra di Tritto.
“In tutti questi differenti Don Giovanni” – prosegue il M° Lippi – “ci sono dei punti fermi nella trama che restano invariati in tutte le varie versioni: c’è la seduzione di Donna Anna, il duello e la morte del Commendatore, il servo (che cambia nome da autore ad autore, oltre al suo rapporto con Don Giovanni), la scena nel cimitero con la statua del Commendatore e l’invito a cena, Zerlina (che, come il servo, cambia continuamente nome) e naturalmente la cena finale a cui partecipa anche la statua del Commendatore.
“Tutti questi elementi sono già presenti del Don Giovanni Tenorio di Gazzaniga. Quest’opera, su libretto del grande Giovanni Bertati, è un lavoro di ottima fattura che però ha avuto una grande sfortuna: è stato rappresentato a teatro pochi mesi prima del ben più grande Don Giovanni di Mozart (difatti entrambi sono del 1787) che l’ha messo definitivamente in ombra. L’opera di Gazzaniga si differenzia sotto molti aspetti da quella di Mozart: innanzitutto la “tinta” è meno cupa, inoltre risente molto della Scuola Napoletana – non per niente, il servo di Don Giovanni qua si chiama Pasquariello – di cui Gazzaniga era esponente.”
Su quest’opera si è espresso anche il regista teatrale Alessio Pizzech, spiegando come abbia già trattato a Bergamo il Don Giovanni Tenorio e come questo “ritorno” gli abbia permesso di studiarlo più approfonditamente: “In quest’opera, molto influenzata dall’ambiente napoletano, l’elemento buffo prende il sopravvento su quello drammatico. In virtù di questo, ho preferito non ambientare lo spettacolo nel ‘700, un periodo troppo austero per un’opera comica di questo tipo (si pensi al litigio tra Elvira e Maturina che assomiglia ad un litigio tra due popolane affacciate al balcone). In effetti ho deciso di sperimentare molto: non ho ambientato l’opera in nessuna epoca precisa, ci sono molti elementi cronologici che si fondono e si mescolano, una sorta di gioioso pastiche del tempo, inoltre ho cercato di sfondare la quarta dimensione, facendo occupare ai cantanti uno spazio che non è solo il palcoscenico, restando sempre molto “leggero” nell’impostazione: questa è una di quelle opere tipiche del XIX secolo, in cui profonde tematiche vengono affrontate col sorriso.”
Se l’opera di Gazzaniga risulta molto influenzata dall’ambiente napoletano, quella di Giacomo Tritto lo è ancora di più, dato che si tratta di una Farsa, ossia un’opera comica in cui i personaggi, o almeno una parte di essi, cantano in dialetto napoletano, senza contare che qua il servo di Don Giovanni è nientepopodimeno che Pulcinella. “Quest’opera non è un capolavoro” – spiega il M° Lippi – “ma svolge egregiamente la funzione che aveva all’epoca l’opera, e cioè divertire, ma resta un divertimento di qualità perché lo stile compositivo di Tritto è di livello molto alto e – soprattutto – le musiche sono splendide, caratterizzate da una vivacità ed un calore tipicamente napoletani, così come sono napoletani la lingua del libretto, le tarantelle e gli spaghetti al pomodoro che verranno serviti alla tavola di Don Giovanni”.
Quest’opera presenta una differenza molto importante dal “canone” di Don Giovanni, ossia la presenza del Marchese Dorasquez. Nell’opera di Mozart non c’era nessuna autorità sopra il libertino, che difatti si dovrà confrontare direttamente con Dio, qua invece abbiamo un nobile di alto rango che addirittura arresterà e condannerà a morte Don Giovanni.
Di tutt’altro genere è il Convitato di Pietra di Giovanni Pacini. A differenza di questi due Don Giovanni e da quello di Mozart, è un’opera ottocentesca, difatti risente molto dello stile rossiniano, inoltre la destinazione era totalmente diversa: l’opera di Gazzaniga era pensata per il normale pubblico dei teatri d’opera, quella di Tritto per i popolani, mentre questa è stata scritta da Pacini appositamente per i propri familiari. Badate bene, i familiari e gli amici non dovevano costituire il pubblico, bensì i cantanti dello spettacolo, anche se comunque la destinazione designata alla rappresentazione era senza dubbio quella dell’ambiente domestico. Questo, ovviamente, ha comportato il fatto che l’orchestra sia di ridotte dimensioni e che le varie scenografie che si devono avvicendare – il giardino, il cimitero, il balcone – debbano in realtà essere solo accennate. L’aspetto “intimo” di quest’opera era tale che Pacini stesso la definì un’operetta, ed è proprio su questo aspetto che il regista Lorenzo Maria Mucci ha insistito per quanto riguarda l’allestimento.
Per concludere, questi tre Don Giovanni devono essere visti con una certa disposizione d’animo, ossia quella di divertirsi. Se si ricercano degli immani ed innovati capolavori si rimarrà delusi, perché non è questo il loro intento. È senza dubbio presente una componente profonda e che contiene svariati livelli di lettura, ma non bisogna sforzarsi di trovare in queste opere quello che non c’è. Noi di Uni Info News vi consigliamo, senza riserve, di assistere a questo trittico e vi segnaliamo che il giorno successivo a ciascuno di questi spettacoli uscirà una recensione con le nostre impressioni.
Per ulteriori informazioni:
Don Giovanni Tenorio di G. Gazzaniga (6 novembre)
Il Convitato di Pietra di G. Tritto (14 novembre)
Il Convitato di Pietra di G. Pacini (21 novembre)
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