Ancora Auguri per la tua Morte
Ancora guai per la studentessa Tree Gelbman, ancora un infausto destino che la porta a rivivere lo stesso giorno, quello del suo compleanno, innumerevoli volte: un cerchio spazio-temporale da cui non è possibile uscirne incolumi o salvarsi, perché il fatidico genetliaco la vede sempre e sola protagonista della propria cruenta morte da parte di uno psicopatico serial killer.
Se Ancora Auguri per la tua Morte aveva preso a cuore l’idea far ripetere all’infinito un giorno qualsiasi ad una ragazza qualsiasi, affiancando alla componente thriller un motivo sentimentale per togliere la nomea di “bad-girl” alla bionda Tree, trovando giovamento nel risvolto crime più che su quello dell’emotività, il suo seguito non aggiunge niente di nuovo alla storia e si adegua su uno standard mediocre da cui, proprio come la protagonista, non può sfuggire.
Non c’era motivo di riprendere personaggi, storia e contesto, non c’era alcun bisogno di scavare per approfondire quel lato umano appena accennato, esistente, ma sacrificato fin dalla prima scena della storia e non c’era, assolutamente, la necessità di dar luce ad un capitolo in cui l’unico elemento funzionale nel precedessore, quello thriller/horror, scompare preferendo, qui, adottare un approccio pseudo fantascientifico.
Ancora Auguri per la tua Morte, poi, inizia con un protagonista diverso, Ryan, per tornare sui propri passi con il procedere zoppicante della storia. Tree è prima in una posizione di vantaggio nel saper descrivere a Ryan cosa significa fare parte di un loop temporale, aiutandolo a smascherare il suo “potenziale” assassino, poi, inspiegabilmente, ritorna nella posizione di vittima prescelta, con la variante che la vede in un’altra dimensione.
Il ciclo destinato a ripetersi ad infinitum apre le porte a quel multiverso ormai tanto a cuore nelle trame cinematografiche, qui spiegato senza troppi giri di parole con una penna ed un fazzoletto, e offre a Tree il modo di conoscere sua madre: ancora viva nella realtà in cui adesso è caduta.
Si tratta di fare una scelta difficile: rimanere in questo mondo o tornare nel proprio, vivere sulle ceneri del fantasma di un’altro io che, per quanto simile a noi, non ci appartiene, oppure fare marcia indietro, attuare un ritorno al passato con tutti i sacrifici necessari, con la perdita degli affetti più cari.
Questo è solo uno dei tanti elementi, volendo si potrebbero citare le scene in cui è coinvolta la alternativa madre di Tree, che rendono pleonastiche intere sequenze e appesantiscono una narrazione ormai portata avanti aggiunge non necessarie.
La componente sci-fi annacqua e prova a giustificare l’intero rompicapo avvelenando quel mistero inspiegabile a cui il primo capitolo voleva far fare da supporto ad una morale precisa alla storia di Tree. Persino in questo caso il messaggio è penalizzato da una retorica pesante e banale, dove si è voluto aggiungere una riflessione sulla guerra primitiva tra uomo e donna per attuare un sottile discorso tra omicidio e femminicidio alquanto sterile. Quanto materiale sprecato per questo secondo round in cui niente è al suo posto e compare continuamente su schermo nella miglior forma sbagliata, non spaventando né divertendo se non quando il tono passa da comico ad imbarazzante.
Ancora Auguri per la tua Morte è l’esempio lampante che la superbia con cui è nato il progetto non solo ha messo in luce i difetti del primo, ma ha vanificato tutto ciò che questi aveva di buono. Spiegando a tappeto la genesi soprannaturale di un mistero che nel precedente atto era messo in secondo piano, perché non necessitava di spiegazioni logiche necessarie, spezzando ogni tensione interna, dando a questo, anzi, una sfumatura “realistica”, la realtà falsificata è sacrificata in virtù di un intrattenimento ancora più ampio, meno graffiante e più banale che non sa regalare un’emozione forte o sincera, con una protagonista debole ed indecisa che non sa più che strada intraprendere, metafora perfetta ormai di un progetto alla deriva in trappola nella stessa rete che aveva decretato il proprio successo. Anche questa, d’altronde, è una storia che si ripete da anni.