Sabato 30 gennaio la celeberrima opera verdiana Aida è andata in scena al Teatro Verdi di Pisa. La rappresentazione era molto attesa (lo conferma il tutto esaurito per i due turni) non solo per la notorietà del titolo ma anche per il prestigioso allestimento, firmato da Franco Zeffirelli, realizzato appositamente per il Teatro Verdi di Busseto nel 2001 e ripreso dal regista Stefano Trespidi per la ripresa pisana. È molto interessante l’idea di comprimere Aida, la grand-opéra per eccellenza, in uno spazio raccolto e l’allestimento di Zeffirelli svolge egregiamente il proprio compito riuscendo a coniugare la grandiosità del soggetto con uno spazio limitato e quindi ad illuminare maggiormente l’aspetto intimistico della vicenda, a non abbagliare (e quindi distrarre) lo spettatore con scenografie faraoniche ma al tempo stesso a creare un’atmosferica esotica ed arcana.
La qualità dell’esecuzione è stata generalmente buona, ma ci sono state numerose imprecisioni e decisioni esecutive poco felici che denotano o poca cura durante le prove o, più semplicemente, poche prove. Molto buona l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta nel sostenere i cantanti con un suono corposo e pieno, nonostante qualche imprecisione; nulla di grave, anche se gli ottoni nell’introduzione di Alta cagion v’aduna avrebbero potuto tranquillamente rispettare il giusto ordine d’entrata senza creare cacofonie. Ho apprezzato anche la direzione del M° Marco Boemi, abbastanza aderente alla partitura e senza fronzoli. Non sono convinto di alcune scelte musicali, ma si tratta prettamente di gusto personale; va detto, però, che Aida richiede una presenza orchestrale più decisa ed incisiva, avrei preferito più mordente in alcuni momenti dell’opera, mentre per le atmosfere solenni o più intime trovo che la bacchetta di Boemi sia stata più che adeguata.
Di assoluto rilievo il cast coinvolto nella rappresentazione, a partire da Donata D’Annunzio Lombardi (Aida) che ha dimostrato un impeccabile controllo vocale esibendosi in acuti pieni e ben sostenuti, ma eseguiti spesso in piano, con un bel timbro sottile, luminoso ed argenteo. Ottime anche le sue doti di recitazione, mi ha colpito il fatto che abbia scelto di interpretare un’Aida meno espansiva rispetto a come la tradizione teatrale ci ha abituati, preferendo un personaggio tormentato ed inquieto.
Ottima anche l’immortale Giovanna Casolla che, pur non avendo le physique du role, ha fornito una convincente interpretazione di Ameris. Dotata di una voce sicura e rotonda ha dimostrato piena padronanza tanto dell’ars canora quanto della scena, presentandosi come una ieratica principessa egizia che ha strappato al pubblico più di un applauso a scena aperta.
Valida anche la performance di Leonardo Caimi (Radames): molto migliorato da quando lo vidi per la prima volta il 10 ottobre dello scorso anno nel ruolo di Gabriele Adorno nel Simon Boccanegra, e non solo nella recitazione. Il suo Radames è perfettamente coerente con il personaggio tratteggiato da Verdi, inoltre la recitazione è spontanea ma mai eccessiva, molto equilibrata e misurata. Caimi ha anche dimostrato di avere un bellissimo timbro tenorile, limpido ma deciso. Se proprio devo trovare un difetto, segnalo che in Celeste Aida, subito dopo il si bemolle acuto, ha aggiunto un «Vicino al sol…» non presente in partitura; capisco che sia uso comune di alcuni cantanti, ma se Verdi non ha ritenuto di doverlo scrivere direi che è bene non farlo.
Un altro membro di spicco del cast è senza dubbio Sergio Bologna, la cui presenza scenica ci ha regalato un Amonasro mefistofelico, aggressivo e persuasivo, dalla vocalità scura ed agile. Elia Todisco (Ramfis), pur non brillando per vocalità, è stato molto efficace dal punto di vista della recitazione, così come George Andguladze, un Re d’Egitto che quando canta tende a “tirare indietro” con il ritmo, e difatti in Alta cagion v’aduna… Su! del Nilo al sacro lido, il M° Boemi si è dovuto prodigare nel riportare Faraone ed orchestra al giusto assetto.
Dato il massiccio impiego che Verdi fa del coro in quest’opera, ritengo sia doveroso accennare anche alla compagine corale, qui rappresentata dal Coro Lirico Amadeus: coro volenteroso, senz’altro, ma sbagliare sistematicamente tutte le entrate del «Guerra! Guerra!» nella scena d’assieme dell’Atto I è qualcosa che difficilmente si può giustificare. Ad ogni modo, il Coro Lirico Amadeus è stato tanto disastroso nella prima parte dell’Atto I quanto ottimo nella seconda e nell’Atto VI: la scena della consacrazione, ad esempio, è stata musicalmente eccellente.
Tralasciando sbavature ed imprecisioni, c’è stato un errore particolarmente grave in questa esecuzione, tanto da adombrare i buoni risultati ottenuti (e sono diversi): i tagli. Tagliare un’opera è una scelta insensata ed antimusicale; nessuno può permettersi di prendere una partitura di Verdi, di Mozart, di Wagner, di Britten e cento altri e decidere cosa eseguire e cosa no. Non mi riferisco tanto alle ballabili quanto al fugato dei sacerdoti (Della vittoria agl’arbitri supremi) che conclude il Gloria all’Egitto ed al coro Vieni, o guerriero vindice. Per farvi capire meglio, si è assistito a questo: mezzo Gloria all’Egitto, Marcia Trionfale e poi direttamente il recitativo Salvator della patria. Oltre ad essere una scelta che non riesco a concepire, sortisce pure un cattivo effetto musicale perché il momento spettacolare dell’Atto II non ha una vera e propria conclusione, subisce semplicemente un arresto, dopodiché si sgonfia e si trasforma in recitativo. La classica montagna che partorisce un topolino, insomma. Un’azione di questo genere va direttamente contro a tutto ciò che Verdi ha sempre cercato di ottenere, anche attraverso annotazioni puntigliose sulla partitura, ossia che il privilegio di creare spettasse solo al compositore e non anche a direttori, cantanti e ballerini. Aida, come qualsiasi altra pagina di musica, merita molto più rispetto e molta più professionalità. Quello avvenuto è un fatto gravissimo e sono rimasto molto stupito che nessuno tra il pubblico abbia dato il minimo segnale d’essersene accorto. Ho anche notato che il pubblico ha applaudito senza sosta dall’inizio alla fine; la maggior parte di questi applausi erano meritatissimi, difatti sono stato ben lieto di unirmi al resto del pubblico, ma alcuni applausi erano fuori luogo ed in punti dell’opera dove sarebbe stato bene non applaudire. Il silenzio è il miglior complimento per un musicista ed è un segno di rispetto non solo verso l’esecutore cui si vuole rivolgere il complimento, ma anche per i suoi colleghi. Forse sarebbe opportuno usare meno le mani e più le orecchie.
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