Su determinati temi è bene ragionare a mente fredda, quando il tempo comincia a stendere la sua coperta su fatti e azioni che hanno infiammato i nostri animi. Mi riferisco alla notizia letteralmente esplosa alcuni giorni fa in merito ad una donna che è stata costretta ad un aborto in un ospedale di Roma, da sola, assistita solo dal marito.
Non è mia intenzione entrare nel merito della vicenda, ma vorrei prendere spunto da questa vicenda per fare una riflessione sul rapporto tra diritto all’aborto ed obiezione di coscienza.
La legislazione vigente garantisce il diritto all’aborto, o volendo usare una terminologia più tecnica garantisce la possibilità per la donna di richiedere l’Interruzione Volontaria di Gravidanza, con cadenze diverse a seconda dei motivi che si adducono per la richiesta stessa. Si va dalla grave malattia genetica al rischio per la salute fisica della donna, le possibilità sono diverse.
Il diritto all’aborto, per quanto se ne possa dire, è garantito nello Stato Italiano. Come?
Non bene, a quanto pare: la legge prevede che in ogni struttura pubblica debba essere garantita la possibilità di abortire, qualora vengano accertati i presupposti; ma così non è. Il caso di Roma, oppure il caso di Napoli, ne sono un esempio evidente: carenza di personale non obiettore quando non anche sua completa assenza, e quindi pregiudizio nei confronti di tutte quelle donne che sono costrette a spostarsi, quando in altra regione quando all’estero, in Svizzera ad esempio.
Il web, come da copione, si scaglia contro i medici, a loro avviso meschini – bastardi – irrispettosi. Così facendo, però, calpestiamo un pezzo importantissimo di storia, ed un diritto fondamentale dell’individuo riconosciuto dalla Costituzione per il tramite degli artt. 2-3.
Come nasce l’obiezione di coscienza del medico? Il diritto all’obiezione di coscienza nasce in tutt’altro ambito, quello militare: quando la leva era obbligatoria, diversi ragazzi erano assolutamente contrari ad impugnare le armi, e meno che mai a rivolgerle contro un nemico, tanto in fase di addestramento quanto in fase di vero conflitto.
Quale soluzione fu adottata? Per moltissimi anni generazioni di ragazzi furono costretti ad imbracciare comunque le armi, mentre col progredire della società si elaborò una soluzione: consentire alla persona di non imbracciare le armi e di svolgere varie mansioni operative ausiliarie. Dalla cura dei feriti alla cura delle scartoffie in ufficio, venne compiuto un passo avanti per la libertà dell’individuo.
Il diritto all’aborto ed il diritto all’obiezione di coscienza sono diritti aventi eguale forza, il medesimo fondamento di tutela costituzionale e devono essere garantiti con la stessa tenacia.
Obbligando i medici ad eseguire gli aborti, si sacrifica la libertà del medico di scegliere di non porre fine alla vita di un feto, ed obbligando la donna a fare i salti mortali per abortire si impedisce alla donna di scegliere per la propria sopravvivenza e per il destino del feto.
Questo non significa però che si debba costringere il medico a compiere un intervento che per motivazioni etiche non si vuole svolgere: significherebbe pregiudicare in maniera inaccettabile il diritto del medico di determinarsi nella “formazione sociale … ove si svolge la sua personalità.”
Io sto col medico, e sto anche con la donna incinta. Ma la soluzione come la possiamo trovare?
Ecco alcune ipotesi: aumenti di stipendio per i medici non obiettori, corsi di formazione per personale infermieristico che consentano un aumento di stipendio e la capacità di intervento (ipotesi complessa, ma non credo impossibile), aumento delle ferie per i non obiettori. Sono ipotesi azzardate, che creerebbero probabilmente un vespaio. Ma un vespaio fa meno rumore di una vita non desiderata.
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