Recensione di Noah
“Maestoso e Potente, il Noè di Aronofsky rimane in balia della sua dualità non riuscendo a soddisfare appieno”
Noè ha delle visioni che gli annunciano un diluvio destinato a spazzare via la vita sulla terra; l’uomo decide così di prendere misure per proteggere la sua famiglia.
Recensione
Lavorare su una sceneggiatura come quella che si è trovato tra le mani Darren Aronofsky non è di certo semplice, poiché quando registi, scrittori, pittori, musicisti o qualunque altro artista si mette in testa di scomodare la religione o le tematiche teologiche questi è quasi certamente sommerso di aspettative e critiche da parte del pubblico e della critica specializzata. Non è mancato all’appuntamento Noah, presentato come un blockbuster atipico e vincitore per qualche giorno del box-office mondiale, che alcune zone del medio-oriente hanno proibito di inserirlo nei circuiti cinematografici, laddove, invece, in altri paesi l’hanno persino boicottato, mentre sembra che tra coloro che hanno chiesto di vederlo in anteprima ci sia stato persino Papa Francesco. Tuttavia, sebbene in parte la vicenda legata alla figura di Noè sia stata “rivoluzionata”, con aggiunte di vario tipo, il regista de Il Cigno Nero ha cercato, in ogni modo a lui possibile, di mettere un po’ di se anche in quest’ultima sua fatica.
Eppure, più si guarda questo lungometraggio al microscopio più ci si rende conto che l’ibrido nato dal team è davvero un insieme di elementi che a lungo andare non riescono a tenere a galla un film, se non grazie in alcuni casi ad una sentita interpretazione di Crowe che, come ci ha abituati (assai bene direbbe qualcuno), da qualche tempo, questi ruoli da eroi del passato gli riescono davvero in modo eccezionale; non siamo dalle parti di The Gladiator (ma la citazione in una scena è lampante), è chiaro, però l’attore australiano è riuscito comunque a calarsi in modo assai discreto nella parte dell’ultimo uomo sulla terra a cui viene affidata la missione da parte del Creatore di salvare ogni specie animale (lui e famiglia compresi).
I problemi, tuttavia, che si riscontrano sono principalmente legati ad una doppia personalità della pellicola, poiché se da una parte Aronofsky è cosciente di dover soddisfare una gran fetta del pubblico, al quale di certo non basteranno quattro o cinque minuti di lezione teologica, ma che pretenderà un racconto estremamente epico, in quanto oggigiorno, erroneamente, questo lemma venga più volte ormai accostato alla parola “biblico”; dall’altra sa che, dato il materiale trattato, il film non può godere di una certa superficialità e leggerezza. Nasce così un prodotto per certi aspetti interessante e per altri deludente, dove a farla da padrone sono da una parte gli effetti speciali mentre dall’altra i temi religiosi che tuttavia non sembrano convivere assieme in modo pacifico spaccando e portando di conseguenza il tutto ad una dualità che è possibile respirarla anche attraverso il montaggio e la durata della pellicola, costituita da una prima ora frenetica, seguita, poi, da una parte finale lenta e molto psicologica ove viene presa in considerazione il figura dell’uomo, del genere umano ed il rapporto che questi ha con Dio.
Verrebbe, non a caso, da ringraziare il cielo se in fondo lo spettatore sia di fronte, comunque, ad un film valido, sotto il profilo tecnico, portato avanti da sequenze e scene dal ritmo serrato e che difficilmente annoia, sopratutto in coscienza del fatto che esteticamente questi gode di una messa in scena impressionante, modellata da una fotografia sempre molto nitida e capace di valorizzare molto l’uso della stereoscopia 3D. Gli effetti speciali sono molti, utilizzati in modo intelligente e, a detta del regista stesso, ogni animale presente su schermo è stato ricreato al computer onde evitare che quest’ultimi fossero messi sotto stress per alcune scene durante i mesi di produzione; il tutto conferisce, per certi aspetti, a Noah quasi una valenza anche eco-ambientalista-animalista dove viene espresso in modo coerente il messaggio che il film vuole mandare anche attraverso la sua lavorazione. Ad ogni modo, sebbene il campionario di elementi sia notevole e variegato, alcune specie appaiono più artificiose e meno curate di altre, complice una netta mancanza di attenzione che alle lunghe, però non risulta essere il grande neo del film.
Dove, infatti, il tutto viene quasi a macchiarsi di una sfumatura capace di scadere nel ridicolo è nella cura al dettaglio di alcuni aspetti che lasciano di gran lunga un sentimento di sorpresa e delusione nei confronti di chi assiste alla storia. Se, di fatto, in questa sede vengano presi molti dei tanti elementi che oggigiorno rappresentano gli stereotipi e gli archetipi del fantasy post The Lord of the Rings /The Hobbit e Game of Thrones, e poi in un secondo momento essi vengano incastonati in un contesto completamente differente ed al limite del possibile, è nell’estetica di alcuni personaggi che il film arriva quasi ad essere una parodia di se stesso. E’ possibile comprendere che alcune scelte legate al designe dei co-protagonisti siano necessarie per far quasi contestualizzare la storia al giorno di oggi, ma si rimane non poco di stucco quando, tenete sempre conto che siamo ai tempi di Noè, si assiste alla presenza di guerrieri con tanto di armatura e elmo siderurgico, lance e spade affilate, “bengala” e costumi di vario genere tra cui spuntano “pantaloni, sciarpe e stivali” cuciti in modo favoloso. Può essere quasi plausibile accettare gran parte di tutto ciò se visto nei minimi dettagli o se non visto, ma l’apice lo si raggiunge quando Noah, alla presenza di Matusalemme, sorseggia una tazza di tè in stile Sherlock Holmes.
Commento Finale
Noah di Darren Aronofsky si presenta a noi come un blockbuster che potremmo catalogare come indipendente, unico nel suo genere, ove sebbene tecnicamente e esteticamente il prodotto riesca a fare scintille e sia indubbiamente valido, soffra comunque di lacune profonde nate dalla sua duplice natura. Per soddisfare due emisferi diversi di spettatori Aronofsky ha portato il suo lungometraggio su un livello tanto estremo da essere quasi spaccato in due metà, un po’ come Noè stesso alla fine del film, ormai divorato dalla sua impotenza e dal desiderio di adempiere alla volontà di Dio, prigioniero delle sue stesse paure e indecisioni, che invano aspetta un segno dal Creatore perdendo la speranza in sé stesso e verso le persone che ama. Un film, dunque, interessante, dalle sfumature che si rifanno più ad un vero e proprio dramma psicologico che ad una pellicola epico-biblica, ove si riconosce la mano di chi l’ha diretto, ma dove al tempo stesso, per chissà quali ragioni ( forse anche “grazie” allo zampino dei produttori) questi non è riuscito a confezionare un prodotto completamente valido.
Claudio Fedele
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