Venerdì 18 luglio, presso il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno, sempre attento a dare risalto alla storia e alla cultura del territorio livornese, si è aperta la mostra temporanea “Archeologia in cantiere. Nuove scoperte dagli scavi di Baratti”, volta a presentare alcuni reperti provenienti da tombe etrusche, romane e tardo antiche scoperte nell’arco di tempo che va dal maggio 2012 all’ottobre 2013.
La mostra ha, per preciso scopo degli archeologi e della Soprintendenza, carattere “itinerante”: subito alla fine degli scavi ha avuto luogo a Piombino (nel cui territorio effettivamente rientra Baratti)tra marzo e luglio 2014, poi fino a novembre sarà a Livorno e seguirà una “tappa” a Volterra.
Ma come sono state scoperte queste tombe?
La risposta è semplice, con un esempio ottimo e quasi manualistico, di archeologia preventiva.
Procediamo per gradi.
Quando l’ASA, azienda per i servizi ambientali livornese, ha dato inizio ad una fondamentale opera infrastrutturale per il territorio del Golfo di Baratti, ovvero la realizzazione di un sistema fognario, fino ad allora non adeguato ad una zona naturalisticamente, oltre che storicamente, meravigliosa, ha subito instaurato un rapporto di collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e con lo Studio Archeologico Hera, ben sapendo che la zona avrebbe potuto riservare delle “sorprese” (la necropoli non è molto distante dalla zona interessata dai lavori).
E così è stato, anzi i ritrovamenti sono stati molti più del previsto e a fine lavori le tombe intercettate e scavate sono state quindici, di diversa cronologia.
Le sepolture
Il lungo tracciato dei lavori ha permesso un’indagine che ha interessato da est a ovest praticamente tutto il Golfo di Baratti, da località Villini al Porticciolo, cosa che si è rivelata ottima per uno studio dal punto di vista topografico, in quanto il percorso ha permesso di fare dei ritrovamenti praticamente in sequenza cronologica.
Inoltre i contesti sepolcrali sono stati rarissimamente intaccati dai tombaroli, cosicché gli archeologi non solo hanno potuto recuperare tutti i materiali, ma la documentazione archeologica che sempre deve accompagnare uno scavo, risulta dettagliata e scientificamente valida e utile agli studi.
La tomba più antica risale all’VIII secolo a.C, all’alba della civiltà etrusca , con una sepoltura ad incinerazione e i cui resti sono posti in un cinerario biconico coperto da una ciotola rovesciata e che era inserito in una fossa ricoperta da lastre di pietra insieme ad un bambino inumato.
Poi l’arco cronologico abbraccia l’epoca ellenistica (IV-III a.C), quando Baratti era entrata ormai nell’orbita romana, con reperti meravigliosi, quali quelli del corredo integro della sepoltura 9, una tomba di età repubblicana alla cappuccina (costituita da tegole a doppio spiovente poste a copertura), composto da vasi da simposio (brocche da vino e coppe per bere)in vernice nera sovradipinta di bianco e balsamari, ellenistici e di area laziale: oltre alla bellezza in sé degli oggetti ritrovati, altro aspetto importante sono le acquisizioni di informazioni di cui ha potuto godere la ricerca scientifica.
Poi abbiamo un piccolo nucleo di sepolture inerenti alla necropoli imperiale di I d.C, che però è stato poco indagato in quanto va ad inserirsi sotto la strada di accesso a Baratti e i lavori creerebbero disagi alla popolazione: purtroppo bisogna constatare che alcune di queste tombe sono state violate in precedenza dai tombaroli, con una perdita di materiale e di informazioni irreparabile dal punto di vista storico.
Comunque da questi contesti possiamo registrare ritrovamenti davvero eccezionali, come balsamari di vetro (tra cui uno di una forma mai attestata prima d’ora) e due anelli d’oro.
La tomba più tarda risale al V secolo d.C: si tratta di una sepoltura a enchytrismòs , ovvero in anfora, in questo caso si tratta di un esemplare di anfora di Gaza, da vino e così non sono mai state attestate a Baratti, elemento che arricchisce i dati riguardanti il territorio.
In conclusione non mi resta che invitare tutti voi a dedicare una parte del vostro tempo per andare a visitare una mostra, che ci apre una finestra sulla storia del nostro territorio, con la convinzione dell’importanza che eventi come questo hanno, non solo per la nostra città e per arricchire la conoscenza di ognuno di noi, ma anche per promuovere sempre più la diffusione dell’archeologia preventiva, troppo spesso sacrificata al mero interesse economico.
Per informazioni o per prenotare una visita guidata elenco qui di seguito alcuni recapiti.
Numero di telefono del Museo: 0586 266711
Info e prenotazioni: info@pastinprogress.net
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