Il Faust di Goethe, opera straordinaria, e conosciutissima, è l’argomento di questo ciclo di articoli, che scrivo prendendo notevole spunto dal corso che ho seguito a Pisa dal prof. Luca Crescenzi sull’argomento. Non faccio nessuna introduzione, dico solo che quello che vorrei fare è dare una lettura di alcuni aspetti del Faust, che riguardano il mondo di oggi, che sembra essere lontanissimo dalla letteratura. Il Faust è stato definito da uno dei suoi critici, il “destino della modernità” e da altri “l’unico vero mito che la modernità abbia mai creato”. Cercherò di spiegare perché e cosa c’entri con la scienza, con l’economia, con le relazioni interpersonali, con la natura (che Goethe scrive Natura), temi attualissimi oggi. Per farlo bisogna sapere però come è andata!
FAUST I PARTE, TRAMA
Faust è uno scienziato, un vero e proprio professore universitario (pensiamo ai nostri!), che si presenta al pubblico con queste parole: << Filosofia ho studiato, diritto e medicina e, purtroppo, teologia […] con tutte le mie forze. Adesso sono qui, povero pazzo, e sono intelligente quanto prima! >> (vv. 354 – 359). Il grande dottore, che chiamano “magister”, siede inquieto, nella notte, dentro una stanza dall’alto soffitto gotico; così ce lo presenta Goethe. E queste parole, drammatiche in bocca a un accademico, svelano anche una profonda ironia, che nella tragedia sarà la caratteristica particolare di Mefistofele. La storia di Faust è quella di un uomo, di uno scienziato, che vuole conoscere il Creato, guardandolo non con gli occhi di una creatura, ma con gli occhi del Creatore: cioè vuole capire il meccanismo della creazione, senza uscire dallo spazio e dal tempo, quindi restando vivo. È il fine più alto che si pone l’uomo, arrivare al tutto. Niente di più attuale. Ma, come si può prevedere, a lui non è dato niente se non essere “immagine di Dio”: Faust è uomo, anzi l’uomo, ed è esplicitamente fin dall’inizio della tragedia dichiarato tale da Dio stesso. Nella seconda scena di preambolo, il Prologo in Cielo, lo so vede in uno scambio lapidario tra Dio e Mefistofele: dice Dio: << Conosci Faust?>> e Mefistofele <<Il dottore?>>, Dio: <<Il mio servo!>> (v. 299). Faust quindi non può arrivare a questa conoscenza, e infatti poco più tardi (v. 664), guardando il classico “teschio vuoto tenta il suicidio, e sta per bere una fiala di veleno, ma un suono di campane e un coro che annuncia la Resurrezione del Signore (siamo nella notte di Pasqua) lo distolgono da compiere il gesto. Quello di morire sarebbe stato l’unico modo per Faust di arrivare a capire il funzionamento dell’Universo. Dopo il tentato suicidio, Faust esce dallo studio e riassapora che cosa sia la vita, osservando la confusione e il movimento della folla. Mentre si incammina per rientrare dalla “scena fuori porta” appare un cane, un barboncino che segue Faust fin dentro il suo studio. Faust sente ridestato in sé l’amore per la vita, l’amore per gli uomini e l’amore per Dio (cfr. vv. 1184 – 1185) e sotto quest’impulso sente nuovamente << il desiderio della rivelazione >> (v. 1217), di arrivare a intuire il funzionamento del Macrocosmo, ma cerca di soddisfarlo non attraverso la scienza, bensì attraverso il trascendente: apre il Nuovo Testamento, il << testo antico >> (v. 1218), e si mette a tradurre l’inizio del Vangelo di Giovanni: “In principio era la parola”. Ancora una volta vuole arrivare all’inizio, a vedere il primo attimo della creazione: ambizione che non ha lasciato. Questa scena, che si estende per 13 versi è la famosa “scena della traduzione”, su cui tornerò, perché profondissima e grandiosa. Il diavolo, sottoforma di cane, assiste alla scena e abbaia alle parole del Vangelo (come è ovvio da parte del demonio), e Faust è costretto a interrompere la sua traduzione. Ma mentre Faust si rivolge al cane per calmarlo, ecco che il barboncino si trasforma e prende l’aspetto di un chierico vagante: questo è il “travestimento” con cui Mefistofele si presenta a Faust e molte volte il demonio si travestirà nel corso della tragedia (da Faust stesso, da gentiluomo, fa le veci del buffone di corte..). Mefistofele propone a Faust il patto: << Non sono uno dei grandi; tuttavia, se vuoi unirti a me per muovere i tuoi primi passi nella vita, di buon grado acconsento a essere tuo […]. Sarò il tuo compagno, e, se ti vado a genio, il tuo servo, il tuo schiavo! >> (vv. 1641 – 1648). Il contraccambio da parte di Faust è la dannazione eterna. Ma Faust fa anche una scommessa con Mefistofele, ritenendolo incapace di dargli quello che lui vuole, e ciò che vuole è appunto una conoscenza della Natura fatta per intuizione, un attimo di possesso e di voluttà. Dice infatti al diavolo: << Se dirò all’attimo: ‘Sei così bello! Fermati!’ […] Allora sarò contento di morire! Allora suoni la campana a morto, allora non dovrai servire più; […] e sia passato il tempo che mi è dato! >> (vv. 1699 – 1706). Sono i versi chiave di tutta la tragedia, che torneranno identici in bocca a Mefistofele alla fine della vita di Faust. Allora Faust da vecchio professore qual’era viene ringiovanito da una strega e fa il suo ingresso sulla scena da bel giovanotto. È qui che incontra Margherita e subito dice a Mefistofele: << Ascolta, quella devi procurarmela! >> (v. 2619), senza pensarci due volte, al che lo stesso Mefistofele rimane stupito e gli dice: << Parli come Gianni il Donnaiolo >> (v. 2628) e continua << che gusto c’è a godere subito? >> (v. 2647). Il fatto è che Mefistofele rivela di non avere nessun potere su quella ragazzetta, perché << è una ragazza tutta innocenza, si è confessata per un nonnulla >> (vv. 2624 – 2625). Qui si vede già che il potere di Mefistofele non è in grado in realtà di dare a Faust quello che ha scommesso con lui, non può avere potere su Margherita. La ragazza, intanto, anche se ha scostato Faust al momento del loro incontro, se ne ricorda la sera e ripensa a lui la sera spogliandosi prima di andare a letto. Faust per conquistarla, con l’aiuto di Mefistofele le fa trovare una scrigno con gioielli bellissimi. Margherita, da brava figlia, lo dice alla madre, che li da via. Allora Faust le fa trovare un altro scrigno. Tutta questa parte è simbolica e importantissima per capire il perché la storia dei due non ha lieto fine. Infatti, i due si incontrano e si innamorano, e Margherita, dal primo bacio che dà a Faust, entra nel suo vortice e in quello di Mefistofele e vinta dalla passione, consuma una notte d’amore con Faust. Rimane incinta e tutto il paese viene a sapere quindi di questa vergogna, e anche suo fratello, tornato da una campagna militare, vuole vendicare l’oltraggio subito dalla sua famiglia con questa gravidanza fuori del matrimonio. Ma il fratello (Valentino) viene ucciso da Faust e Mefistofele, che devono scappare e nascondersi. Faust sta lontano da Margherita per qualche mese, e Mefistofele lo conduce di notte sulle montagne dello Harz (che esistono davvero, in Germania) al più importante dei sabba, la “Notte di Valpurga”. Anche se Faust non vuole andare a questo sabba, Mefistofele lo incalza dicendo: << Acqua passata, quel che è fatto è fatto! […] Solo le novità sono attraenti. >> (vv. 4111 – 4113) e Faust replica: << Purchè io non mi scordi di me stesso! >> (v. 4114). Faust non si è scordato di Margherita, ma non può far altro che seguire il demonio. Qui Faust è tentato fin nel profondo da Mefistofele affinché raggiunga l’attimo estremo del piacere (in questo caso sessuale), quello della scommessa. Faust balla con una strega nuda, incontra Medusa, che prende le sembianze di Margherita, e altri personaggi del mondo infero. Segue la scena più enigmatica dell’opera, il”Sogno della Notte di Valpurga”, che Goethe ha spostato più volte nel corso della stesura del Faust e in cui ha aggiunto e tolto personaggi, tutti simbolici, e di difficile interpretazione. La conclusione della prima parte della tragedia si ha con la famosissima “Scena Carcere”. Faust torna, come si dice, troppo tardi. Margherita si trova in carcere perché, dice, <<Mia madre l’ho ammazzata, mio figlio l’ho affogato>> (v. 4507 – 4508). In piena notte Faust entra nella cella con una lanterna e fa per portare via Margherita, che lo crede il suo carceriere, venuto per eseguire la sentenza di morte. Solo quando per la prima volta dal loro incontro (!) Faust chiama Margherita per nome, lei riconosce la voce del suo <<amico>> (v. 4461). Ma Margherita non può andarsene e quando Faust le dice chiaro: <<La porta è aperta>> (v. 4543) lei risponde: <<A me è vietato uscire: per me non c’è speranza! A che serve fuggire? […] Com’è penoso dover mendicare! E per lo più con la coscienza sporca!>> (vv. 4544 – 4547). Le battute finali sono all’estremo della drammaticità, con Mefistofele che trascina via Faust, le porte dell’Inferno che si stanno aprendo per Margherita, la stessa ragazza che implora la pietà del Padre e che esprime tutto il suo orrore per Enrico (il nome di Faust nella città di Margherita) e gli ultimi versi, tutti di tre o quattro sillabe, che per la loro grandezza, non posso far altro che riportare (vv. 4611 – 4614):
MEFISTOFELE: È giudicata! (riferendosi a Margherita)
UNA VOCE (dall’alto): È salva!
MEFISTOFELE (A Faust): Qui da me! [Scompare con Faust]
UNA VOCE (dall’interno, svanendo a poco a poco): Enrico! Enrico!
Perché Margherita è salva? Qual è la sua simbologia? Perché Faust la perde? Perché non si compie la scommessa con Mefistofele, visto che Faust ha posseduto Margherita? Dove arriverà il percorso di Faust?
Francesco Papini
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