In occasione del loro concerto all’Ex Cinema Aurora di Livorno l’11 aprile 2014, incontro Sebastiano Taccola, chitarra e voce dei Misère de la Philosophie, gruppo rock piombinese.
L’album del gruppo lo potete ascoltare online sul sito della Garage Records (http://www.garagerecords.it/artisti/misere-de-la-philosophie/).
Un disco dal quale emergono grandi personalità della storia e profonde riflessioni che, però, scoprirete solo ascoltandolo.
-Ciao Sebastiano, innanzitutto partiamo dal nome del gruppo. “Misère de la philosphie” è un’opera di Marx, perché avete scelto questo nome?
Abbiamo scelto questo nome perché siamo tutti studiosi, o forse più che studiosi appassionati di filosofia. Alcuni di noi l’hanno studiata all’università ed io sto facendo la specialistica.
Il nome è allusivo anche a quella che è una condizione, a una miseria della filosofia per rispondere a una “filosofia della miseria” (n.b. Marx scrisse l’opera in risposta al “Sistema delle contraddizioni economiche” di Proudhon, anche conosciuta come “Filosofia della miseria”).
-Nei tuoi testi ho trovato dei riferimenti alla sfera della fede, quindi innanzitutto vorrei chiederti se sei credente.
No, ateo materialista. I riferimenti alla sfera della fede si ritrovano in delle figure, c’è anche Gesù.
-Il riferimento che fai in “Eresia”, terza traccia dell’album, dicendo “Ho lottato con i padri e con le paure” è un riferimento al mondo cattolico?
No, in questo caso è un riferimento freudiano anche se non è stato fatto consapevolmente. E’ un riferimento alla tradizione, all’eredità. Se vogliamo anche alla tragedia greca, all’eredità di una colpa.
-Sì, immagino che tu non ti metta a pensare “infiliamo un bel riferimento a Freud” mentre scrivi. Hai studiato al liceo classico, giusto?
Sì, ho studiato anche un anno lettere antiche e sono laureato in filosofia antica quindi sono abbastanza legato a questi argomenti.
-Un’altra frase che mi ha colpito è ” Il ricordo di un nostro mito può riaccendere il presente”, penultimo verso di “Ombre Corte”. Ti riferisci ad un preciso mito?
Questo, in verità, è un riferimento al concetto del filosofo Walter Benjamin. Non mi riferisco a un mito in particolare.
Mi riferisco a delle immagini storiche a cui bisogna sempre rifarsi nel proprio presente, anche se la parola mito in questo caso è impropria perché Benjamin non la utilizzerebbe.
Come l’immagine della rivoluzione francese del 1789 che riappare nel 1830, oppure nei discorsi di Robespierre in cui vengono citati i grandi personaggi della repubblica romana.
In questo caso, nel nostro presente, il riferimento è a un mito rivoluzionario. Mi viene in mente un grande avvenimento novecentesco, secondo me il più grande, che è la rivoluzione russa. Riferimenti a questo sono molto presenti nel disco, anche nell’atmosfera che tende all’orientale.
-Anche dal titolo dell’album si intuiscono riferimenti all’oriente. Io ho provato a cercare cosa significasse “Ka-meh” e ho trovato che è il nome di un villaggio in Iran, viene da questo?
E’ una città? Non lo sapevo! Il titolo è un riferimento a un’opera che Bertolt Brecht compose negli anni ’30, si chiama “Me-Ti – Il libro delle svolte” in cui parla dei grandi problemi filosofico-politici degli anni ’30 inserendoci grandi figure dei rivoluzionari come Marx, Engels ma anche Lenin e Stalin con molti altri. Il libro è scritto, però, in stile confuciano (cinese) e quindi si rifa all’aforismatica orientale.
Quando Brecht fa parlare Marx non utilizza il nome vero del filosofo ma fa sì che parli il saggio Ka-Meh. Nel libro trasforma in cinese tutti i nomi di questi grandi personaggi prendendone le iniziali.
Questo titolo è un po’ una sorta di firma per “Misère de la philosophie”.
Comunque il riferimento all’oriente c’è: ci sono molti riferimenti alla Russia e poi mi è piaciuto questo titolo perché suonava forte e, appunto, orientale.
-Io non mi intendo molto di musica, ma penso che quando si compone un album tutte le canzoni all’interno debbano essere legate tra di loro e non essere buttate là casualmente. Vorrei sapere se avevi un’idea già premeditata o se le hai legate dopo.
In questo caso, essendo il primo disco, l’idea di fare un concept era un po’ esclusa però queste canzoni sono venute tutte insieme da un certo punto di vista e quindi si può ricostruire un filo conduttore.
Noi abbiamo fatto in modo di ricostruirlo nella scaletta: musicalmente si attacca con modi più cupi e, invece, si chiude con delle distorsioni più serene e rilassate.
-Gli altri ragazzi come li hai conosciuti?
Sono tutti più grandi di me. C’è Luca del ’75, poi il chitarrista, Alessandro, del ’76 e Tommaso del ’77, mentre io sono dell’89.
Li ho conosciuti perché Tommaso è mio fratello e prima suonavano solo loro tre, poi per un periodo io ho suonato tanto con Alessandro e ci siamo trovati avendo scritto sia io che lui dei pezzi, così abbiamo fondato i “Misère de la philosphie” nel 2010. Ci sono stati molti cambi di formazione come è normale all’inizio, e poi è arrivato Andrea, il nuovo batterista.
-Perché avete registrato solo nel 2013?
Prima non eravamo pronti, si sente quando è il momento giusto. Dovevamo ancora sistemare degli arrangiamenti, poi inizialmente il nostro era un gruppo a due voci, è stato deciso di ridurre a una ed è stata scelta la mia.
-I pezzi li scrivi tu?
Sì, a parte “Prendi i soldi” che è stata scritta da Alessandro gli altri li scrivo io.
Di solito scrivo le canzoni in casa con la chitarra acustica, poi al fondo si arrangiano e ci lavoriamo e a quel punto, poi, se c’è bisogno torno a casa e rielaboro i testi. E’ un labor limae continuo, una continua ricerca di equilibrio.
-Tu quando hai iniziato a suonare?
Ho iniziato a suonare la chitarra a 14 anni, non tanto presto e poi ho aspettato i 17 anni prima di mettere su un gruppo. Lì ho iniziato a scrivere le prime canzoni. “Interferenze” per esempio è un testo che ho scritto quando avevo 17 anni, in inglese.
Ne ho ripreso l’idea e l’ho tradotto, non ovviamente alla lettera, in italiano.
-Scrivi solo canzoni o anche altro?
No, purtroppo non mi viene naturale di scrivere racconti o poesie anche se mi piacerebbe.
Comunque capita che io scriva le canzoni senza la chitarra, però ci immagino sempre una musica sopra e a quel punto non ci sono solo le parole ma anche un sostegno che aiuta molto.
-Forse ve l’avranno già detto molte persone ma ascoltandovi sono stata rimandata ai Marlene Kuntz, sono un gruppo che ascolti?
Li ho ascoltati, li ho sentiti live una volta anche se non sono il mio gruppo italiano preferito. Sono un grande gruppo però non mi piace molto la loro poetica, me li sento lontani anche da un punto di vista sonoro però in tanti hanno detto che ricordiamo i Marlene Kuntz. C’è addirittura chi ha paragonato il disco a “Catartica” dicendo che è un grande esordio che ci segnerà.
Noi ci rifacciamo più alla psichedelia, loro più ai Sonic Youth.
-Io penso che invece rimandiate più agli ultimi album piuttosto che a Catartica
Sono d’accordo con te infatti un disco che mi piace molto è “Uno” perché ci sono dei pezzi che mi piacciono tanto e che ascolto spesso.
Non mi piace molto quando Godano parla del male interiore, ma quando si riferisce alle opere e pesca dai russi lo apprezzo moltissimo.
Io, che sono l’anima un po’ più cantautorale del gruppo, ascolto moltissimo Nick Cave (gli altri ragazzi invece si rifanno molto di più alla psichedelia) ed ho scoperto che anche Godano lo apprezza e lo cita spesso.
Per me Cave è una delle principali influenze insieme a Lou Reed.
-Mentre invece gli altri?
Gli altri danno un apporto sonoro che non si può dire si rifaccia alle sonorità di Nick Cave o di un gruppo rock base come quelli di Lou Reed solista.
Gli altri sono un po’ come i Velvet Underground: io arrivo con il pezzo e loro lo trasformano in qualcosa di bello, gli danno la voce, e le atmosfere (che sono ovviamente condivise).
Mi piace anche che arrivino anche dove io non riuscirei ad arrivare.
Comunque la musica che facciamo è la musica che mi piace, è un rock psichedelico, anche se ci sono vari concetti di psichedelia: si va dai Velvet Underground alla psichedelia più cupa, che è quella che preferisco, fino ad arrivare a psichedelie più acide come i Grateful Dead che sono un gruppo che ascolto tanto ma che non è tra i miei preferiti.
-Dopo questo album avete intenzione di fare altro?
Certo, sono uscite ottime recensioni che ci hanno incoraggiato ad andare avanti. Su Rockit, su Rumore, poi Federico Guglielmi ha scritto di noi ed è uno dei più grandi recensori.
Purtroppo non si trovano tante date, però nell’estate un po’ di impegni li abbiamo trovati.
-Avete già suonato qui all’Ex Cinema Aurora?
Sì, nel 2011. Abbiamo stretto amicizia con i gestori e siamo tornati adesso che hanno cambiato tutto! E’ bello come hanno ristrutturato tutto, quando abbiamo suonato noi le persone stavano al bar e il palco era in fondo alla stanza, poi è altissimo quindi sembra di non suonare davanti a nessuno.
-Di solito il palco è alto e poi c’è la platea. Per la danza contemporanea vengono preferiti i teatri con la struttura del teatro greco per cui hai più contatto con il pubblico essendo “alla sua altezza”. E’ anche vero però che forse è più difficile perché devi sostenere lo sguardo del pubblico e avere più sicurezza.
Il palco è un bel paravento, sei riparato dal pubblico e non guardi negli occhi le persone anche solo per le luci che hai nel viso.
Comunque preferisco un palco basso, però un pochino di distanza mi piace averla.
E’ bello anche quando suoni e le persone salgono sul palco. Abbiamo suonato all’Ex Wide a Pisa un po’ di tempo fa e c’erano le persone appoggiate sulle casse spia, dovevi stare attento a dove mettevi i piedi perché avevi la gente in collo ed era molto bello.
-Ti piace l’indie rock italiano che sta emergendo?
No, io non ascolto rock italiano e non ascolto questo indie.
-Io trovo molto bravi “Il teatro degli orrori”
Anche io, li ho ascoltati 4 volte dal vivo e sono dei bravissimi musicisti. Non mi è piaciuto molto l’ultimo disco, ma i primi due per me sono veramente belli.
-Dove provate a Piombino?
Abbiamo la sala prove ai Ghiaccioni, uno dei quartieri operai, dal 2011.
Purtroppo a Piombino c’è solo un locale di riferimento a Calamoresca che si chiama “Gatta Rossa”, fa principalmente folk ma fa suonare quasi esclusivamente cover band. Comunque la mia generazione non suona, è difficile trovare persone di 25 anni che suonano, sono tutti dai 30 anni in poi.
Per ritornare alla domanda sui riferimenti cattolici, non siamo credenti.
Alcune cose fanno parte di una tradizione culturale, come nel blues la figura del diavolo o nel gospel la figura di dio. Sono forme di epica come quella formulare omerica, hai uno spazio vuoto e guarda caso ci sta bene una parola che magari è Gesù.
Nel disco quando viene nominato Gesù c’è il riferimento a Bulgakov.
Mi piacciono tanto i russi, ho letto Dostojevsky.
Forse non mi piace tanto l’ Oriente in sé, ma l’Oriente che si rapporta all’Occidente, per questo mi piace così tanto la rivoluzione russa.
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