Recensione de I Sogni Segreti di Walter Mitty
Walter Mitty (Ben Stiller) lavora in una prestigiosa rivista fotografica che sta per chiudere i battenti (LIFE). La sua caratteristica peculiare è quella di viaggiare con la mente, immaginandosi in situazione in cui è un eroe sprezzante del pericolo e desiderato dalla donna che ama. Quando Mitty e la sua collega, della quale è segretamente innamorato, rischiano di perdere il lavoro si trova costretto a fare i conti con la realtà e osare l’inimmaginabile: passare all’azione. Lo farà partendo per uno straordinario viaggio in posti sperduti alla ricerca di una preziosa fotografia.
Quinta prova da regista per Ben Stiller, uno dei re della commedia Americana degli ultimi anni, già dietro la macchina da presa per quell’acclamato Tropic Thunder che nel 2008 aveva entusiasmato critica e pubblico; Stavolta lasciata da parte la parodia bellica e le spacconate militari, Stiller si concentra nel dirigere una sorta di remake di Sogni Proibiti di McLeod, privilegiando, dell’intera vicenda, la parte on the road e lasciando da parte il lato noir della storia tratta dal racconto di James Thurber.
Un film che se da una parte incanta per le sue scenografie e gli scorci panoramici che ci sa regalare per la maggior parte del tempo di luoghi quali la Groelandia,l’Himalaya e l’Islanda, dall’altra appare un po’ incerto e poco incisivo nelle sequenze ambientate negli spazi urbani americani seppur, comunque, esso si vesta di una sua morale ed una sua critica alla società moderna. Mitty, il sognatore del ventunesimo secolo, è un perdente, un uomo che lavora da 16 anni per una nota rivista fotografica e che tuttavia non si sente realizzato, né tanto meno sicuro di se, ciò infatti non gli permette di farsi notare dalla donna di cui si è innamorato portandolo a conoscerla attraverso un sito di incontri on-line. Con il cambio di gestione della rivista di cui è dipendente, i suoi nuovi dirigenti non solo lo deridono ma gli fanno capire che non avrà vita facile e che al minimo intoppo saranno felicissimi di licenziarlo senza tanti convenevoli. Ecco, dunque, la leggera,ma concreta, critica che Stiller muove contro l’America di Obama, la quale soffre della crisi economica esattamente come ogni altro paese del mondo, che “gode” di dirigenti e padroni il cui unico pensiero è solo quello di far il maggior numero di incassi, liquidare tutte quelle persone che avevano messo anima e corpo nel loro lavoro per tanti anni e chiudere la porta ai sogni delle gente.
E su questo aspetto il film non soffre di alcuna debolezza, poiché grazie ad un ritmo semplice, non particolarmente frenetico e a volte malinconico ed al contempo scanzonato, esso riesce a lanciare qualche arringa contro un sistema che non solo nega l’immaginazione ma annienta anche l’uomo, il quale non si sente affatto realizzato nell’ambiente di lavoro né in esso e per esso viene premiato o quanto meno rispettato; nell’era del “Yes, We Can” di “Think Different” e dei Social Network Walter Mitty trova la sua momentanea libertà in uno dei tanti momenti in cui si estranea dal mondo eppure, quando in ballo c’è la stabilità e il posto di lavoro si mette da parte la fantasia e si fa un po’ di tutto per correre ai ripari, per cercare di non essere buttato fuori a calci, per cercare di continuare a sbarcare il lunario senza immaginare che proprio tutto ciò darà il via ad un netto cambiamento.
Parte così l’avventura del protagonista interpretato da Stiller, il quale sarà proprio grazie ai suoi viaggi ed alle nuove esperienze attorno al mondo, alla ricerca di una fotografia essenziale per l’ultimo numero di LIFE, che imparerà cosa è davvero importante nella vita e cosa egli voglia davvero da essa. Un film che dunque porta a riflettere e ci spinge a realizzare i nostri sogni, goderci la nostra esistenza e gettarci nel vortice dell’avventura, ma non è tutto oro quel che brilla, poiché dinanzi ai tanti episodi (alcuni dei quali un po’ troppo irreali) vi è comunque una storia che non riesce a convincere e conquistare appieno, portando questo prodotto lontano da un’eccellenza che la si può trovare solo esteticamente grazie anche ad un’ottima e sobriamente satura fotografia.
Stiller gioca molto sulle immagini e con i colori, sfrutta ogni suo paesaggio a disposizione ma si dimentica, di tanto in tanto, di tenere con i piedi per terra il suo film, lasciandosi andare a volte in eccessi e non mostrando il giusto approfondimento nonché i giusti toni drammatici che avrebbero alla fine giovato al prodotto. Non si può, però, criticare del tutto un opera che nella filmografia del comico americano rappresenta forse il suo lato più maturo, ma è comunque giusto far notare che Mitty si mostra come un ibrido, una storia triste, allegra, irreale quanto può essere un sogno e che dunque, di conseguenza, non sempre risulta brillante o coinvolgente.
I Sogni Segreti di Walter Mitty è un lavoro indubbiamente interessante, un film godibile che riesce comunque a farsi apprezzare non tanto per la storia, quanto per alcune idee visive e messaggi verso una società difficile da elogiare ed a volte persino da inquadrare nel futuro; la pellicola inoltre ha il suo punto di forza nelle scenografie e nel voler mettere in scena la bellezza della natura ed il tutto inoltre è accompagnato da una discreta messa in scena ed una buona colonna sonora in cui fanno capolino testi di David Bowie e gli Of Monsters and Men. Con i suoi alti e bassi, l’ultima opera di Ben Stiller non può né essere catalogata come un capolavoro né però come un fallimento, essa va presa esattamente così come ci viene proposta, con la sua poca serietà e la sua non costante componente comica, un film che esattamente come un sogno o un momento di incantamento si lascia trasportare dalla fantasia di chi l’ha narrata e diretta e forse, proprio come per le grandi avventure, l’inaspettato è l’elemento che nel bene o nel male, contraddistingue maggiormente l’esito di una storia.
Claudio Fedele
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