Le forze progressiste di tutta Europa si sono riunite in questi giorni a Roma per il Congresso dell’ex Partito Socialista Europeo, ora denominato “Partito Socialista e Democratico Europeo” dopo l’ufficiale adesione del Partito Democratico Italiano.
Questo appuntamento precede di circa due mesi e mezzo le importanti elezioni europee che, dopo cinque anni di opposizione e quindici di ripetute sconfitte, vedono nei sondaggi i progressisti impegnati in un serrato testa a testa con i popolari; sia la scelta del PD di aderire al vecchio Partito Socialista Europeo sia quella dell’establishment progressista di lanciare la candidatura alla carica di Presidente della Commissione Europea dell’attuale Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz si inquadrano in un chiaro tentativo di ridare vigore e slancio alle forze di centro-sinistra, spaventate dalla possibilità di un nuovo insuccesso dopo cinque anni di austerità conservatrice-popolare e in sofferenza per la candidatura da parte della sinistra europea del Leader di Syriza Alexis Tsipras.
Il Congresso si è diviso in due giornate, quella di venerdì dedicata a workshop e piccole conferenze, e quella di sabato incentrata su un vero e proprio comizio conclusivo di diversi esponenti delle forze progressiste europee tra cui Matteo Renzi e lo stesso Martin Schulz.
L’evento, nel suo complesso, ha dato modo di vedere la presenza di alcuni netti cambiamenti rispetto al passato, luci nuove in un panorama a lungo coperto da dense ombre.
In primo luogo è stata presa la decisione di “aprire” il Partito Socialista Europeo anche ad altre forze progressiste non socialiste e, più in particolare, ai democratici italiani cambiando il nome dello stesso PSE in “Partito Socialista & Democratico Europeo”; la determinazione mostrata da Matteo Renzi nell’aderire al progetto politico di Martin Schulz è stata vitale per sbloccare l’impasse in cui da diversi anni era caduto il Partito Democratico, in Italia principale partito di centro-sinistra e in Europa non chiaramente collocatosi.
Questo “nuovo corso” delle forze ex-socialiste, anticipato a maggio dalla fuoriuscita dalla Internazionale Socialista dei partiti di centro-sinistra europei, dovrebbe cercare di allargare la propria base elettorale a danno di quella popolare-conservatrice.
Altro elemento in cui è possibile notare una netta discontinuità rispetto al passato è l’aspetto economico.
Il PSE è stato infatti assolutamente incapace di proporre dal 2000 ad oggi non solo delle misure economiche concretamente perseguibili e alternative a quelle iper-liberiste dei conservatori-popolari, ma anche di promuovere degli approcci al Libero Mercato in grado di regolarlo senza arrivare a comprimerlo.
Aumentare semplicemente il deficit nel tentativo di stimolare l’economia, dimenticandosi degli effetti dannosi di queste manovre sul debito pubblico come accaduto disastrosamente nella Spagna socialista di Zapatero, è una idea ad oggi finalmente accantonata dopo la Crisi dei Debiti Sovrani del 2011.
Attualmente, si sente parlare di misure volte semplicemente a regolare il Mercato, a favorire l’investimento nell’economia reale e a creare una sorta di “cordone” fra quest’ultima e l’economia finanziaria, per evitare che le speculazioni presenti all’interno della seconda si riversino poi nella prima, come accaduto spesso in passato.
Accanto a queste luci, permangono tuttavia ancora delle leggere ombre: un certo grado di autoreferenzialità e di approccio “intellettuale” continuano ad aleggiare su tutto il gruppo “Democratico e Socialista”, spesso vittima, seppur in misura inferiore al passato, di molti luoghi comuni duri a morire.
L’idea ad esempio di rivolgersi solo e unicamente a determinate categorie sociali, operai e lavoratori manuali in primis, confligge totalmente con la situazione attuale che vede, al contrario, queste fasce sociali attratte maggiormente da conservatori-popolari e movimenti anti-europeisti; le forze progressiste europee devono ammettere, a costo di distanziarsi dalla loro stessa tradizione, che il loro elettorato trova oggi terreno fertile non in specifiche “categorie sociali” quanto in tutti quei diversi e variegati individui che credono fortemente nell’Europa, nell’importanza dei diritti e nella centralità del “Welfare State”, in grado di aiutare coloro i quali rimangono indietro nella competizione globale.
Allo stesso modo, cercare di studiare le forze anti-europeiste quasi da dietro un vetro, su una sorta di torre d’avorio, è ciò di quanto più sbagliato si possa fare.
Per sconfiggere chi chiede meno Europa occorre agire concretamente, dimostrando come certe proposte nazionalistiche siano del tutto controproducenti in una società sempre più globalizzata e sempre più interdipendente.
Martin Schulz ha molto da fare, il vento euro-scettico soffia forte e l’importanza dei conservatori-popolari è ancora enorme.
La politica progressista, per vincere a maggio, ha il preciso compito di attuare le belle luci emerse in questo Congresso, proponendo una nuova Europa più solidale e realizzando per tappe quel progetto di “Federazione Europea” sognato da Altiero Spinelli e invano proposto in passato.
Se, al contrario, dovessero prevalere le vecchie ombre, i progressisti saranno condannati alla quarta sconfitta consecutiva alle consultazioni europee e, probabilmente, non avranno più occasione di cambiare questo malfunzionante sistema chiamato Europa.
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