“Uccidere una creatura vivente è un po’ come uccidere noi stessi. Non c’è differenze tra il dolore di un animale e quello di un umano.” Uninfonews.it intervista Beatrice Schembri!
Introduzione
a cura di Claudio Fedele
Quando su Uninfonews.it è apparso lo scorso 23 Gennaio 2013 l’articolo del mio collega M. Taccola (“Evoluzione:Da Nazisti a Animalisti o Viceversa?”cliccate qui per leggerlo) mi sono sentito in dovere di ribattere. Giusto, ma come? Per non voler cadere nel banale, senza portare alla luce paradossi, scuse, pretese o idee già note ai più, ma sopratutto volendo evitare di apparire superficiale ho deciso di fare un intervista ad una persona che vive nell’ambiente (dell’animalismo e del volontariato) da molto, molto più tempo di me. Penso che questo sia lo spirito, nonché la chiave dell’intero progetto: di saper dar spazio e vita a più punti di vista, ascoltare (anche se non li si condivide) e rispettare più opinioni su vari argomenti. Quella che leggerete adesso è l’intervista fatta dal sottoscritto ad una vegetariana nonché animalista e se qualora la pensate diversamente, o Lettori, e non volete passare i prossimi 20 minuti (esagerato!) della vostra giornata a leggere il seguente articolo nessuno vi vieta di chiudere la finestra del vostro browser e dedicarvi ad altro; ma se così non fosse, qualora al contrario vogliate ascoltare una seconda campana sulla questione che riguarda le sperimentazioni su gli animali, vi auguro una sincera e piacevole lettura. Devo AVVERTIRVI, tuttavia, che il seguente intervento CONTIENE IMMAGINI FORTI CHE POSSONO URTARE LA VOSTRA SENSIBILITA’!
“Ciò che i Nazisti hanno fatto agli Ebrei, gli umani lo stanno facendo agli animali.”
(Isaac B. Singer, Nemici. Una storia d’amore, 1972)
Salve Beatrice! La Prima domanda che voglio porti è: cosa ti ha spinto a ribattere all’articolo di Matteo Taccola?
Sono un’animalista: ovverosia, faccio parte di quel movimento di pensiero e stile di vita che si propone quanto più possibile la salvaguardia del benessere di ogni specie animale.Appena ho letto il titolo e la citazione d’apertura dell’articolo, mi sono messa le mani nei capelli. Accetto un punto di vista diverso dal mio, ma non la diffusione di falsi miti, né insinuazioni poco edificanti, né argomentazioni traballanti travestite da schiacciante logica. E non sopporto un certo tono supponente che si fa forte del sarcasmo, di parallelismi forzosi e di una sfilza di luoghi comuni! Scusa lo sfogo.
Partiamo dalla citazione da te scelta, che si contrappone a quella dell’articolo: cosa pensi dell’accostamento nazisti-animalisti?
Penso che sia perverso e sbagliato sotto svariati punti di vista. Innanzitutto, se proprio vogliamo fare i puntigliosi, Hitler non era né animalista né vegetariano: era “pescetariano” e la sua dieta, per inciso, aveva motivi prettamente salutistici. Se anche fosse stato un cuoco vegan provetto, questo non me lo renderebbe un tipo simpatico o raccomandabile, né farebbe crescere baffetti neri rettangolari a tutti i cuochi vegan moderni. La Germania nazista promuoveva l’animalismo? Sì, come promuoveva l’idea della famiglia unita e felice o dello sport benefico per la salute. (Si legga qui, per brevità riporto solo il link: http://blogs.telegraph.co.uk/news/peterwedderburn/100089616/the-nazis-supported-animal-rights-but-that-doesnt-make-todays-animal-rights-supporters-nazis/). Sotto il regime nazista furono condotti eccidi e sperimentazioni su animali (umani, non umani: comunque animali), il che è orrendo e inaccettabile, punto.
Accostare l’animalismo al nazismo per le ragioni addotte da Taccola mi sembra una mossa, detto papale papale, alquanto stupida. Potrei anch’io dire: “Mi pare che a Bonn oggi si parli tedesco, ma non era quella la lingua dei nazisti?”; oppure “Ieri ho visto un corteo per la difesa dei diritti degli omosessuali. Il mio primo pensiero è andato ai tristi cortei per la difesa della razza pura.” Bè, di sicuro sarebbe un metodo comodo per attirare l’attenzione del pubblico. Così come la scelta di certe immagini…
Hai qualche commento da fare sulle immagini dell’articolo che contesti? E vuoi spiegare ai lettori la scelta delle immagini per il tuo articolo?
Mi viene spontanea un’esclamazione: “Anche io sono stata brava a scegliere immagini d’impatto, eh?”. Le foto da me scelte hanno un contenuto d’impatto – con una forte carica emotiva per molte persone – e rappresentano quello che quotidianamente accade nell’industria della carne e dello sfruttamento animale. A conti fatti, però, se non vengono debitamente contestualizzate e commentate perdono rilevanza. Così come ritengo sia accaduto per le foto inserite da Taccola nel proprio articolo: sarebbero state più adatte a un pezzo di satira in stile Nonciclopedia, accompagnate da didascalie tanto ricche di sarcasmo quanto povere di contenuti e fonti.
Ok, e andando un po’ più nello specifico? Ritieni che le argomentazioni presenti nell’altro articolo siano errate?
L’autore dell’articolo afferma di criticare solo o soprattutto gli animalisti che operano azioni di violenza fisica e/o psicologica. Che l’animalismo, come ogni altra scuola di pensiero, sia essenzialmente composto di persone, è ovvio: dunque troviamo animalisti incoerenti che si dimostrano violenti verso l’uomo; animalisti che perseguono metodi illegali, se pure spesso a buon fine (ad esempio la liberazione in segreto di animali dagli stabulari, che può avere anche risvolti drammatici); e così via. Le persone animaliste sono fallibili come tutte le altre; ma la violenza fisica, il sopruso e il ricorso all’illegalità sono certo da condannare. Neppure io approvo certi tipi di manifestazione. Non sono, infatti, previsti in alcun (peraltro inesistente) “decalogo animalista”!
Sono meno d’accordo invece sulla condanna di una supposta “violenza psicologica”. Di cosa stiamo parlando: delle manifestazioni pubbliche? Degli articoli sui giornali o in rete? Di volantini, libri, riviste? Non si tratta forse di una libera manifestazione del pensiero? La realtà degli allevamenti intensivi, della macellazione, dell’industria delle pellicce, della cattività è ignota a molti. Certamente negli ultimi tempi, anche grazie a Facebook, si sono moltiplicati annunci e articoli che fanno leva sul pietismo e sul melodramma per catturare l’attenzione. Ma lo stesso è accaduto per svariate altre cause – tutela dell’infanzia, lotta alla povertà, condanna della guerra. E per quanto riguarda “l’imposizione di un tipo di cultura e il vaneggiamento nel sentirsi superiore che sono fuori luogo e antidemocratici”: non siamo governati da un dispotico regime animalista né minacciati da orde di militanti, dunque trovo difficile capire a quale imposizione si faccia riferimento. Ogni animalista vorrebbe la diffusione e l’accettazione delle proprie idee, perché ciò comporterebbe meno sofferenze nei confronti delle creature che ha intenzione di proteggere (e che non si limitano alle categorie di animaletti pucciosi e coccolosi…). Si chiama sensibilizzazione.
L’animalismo è condivisibile o meno, in parte o in toto, ma non errato nella sostanza; accade lo stesso con altre posizioni etiche, politiche etc. che gli uomini scelgono di prendere. Un esempio forse un po’ ingenuo: mi professo atea, ma non posso dire che la religione di Tizio sia sbagliata: non ne condivido gli assunti né le pretese, riconoscendo un’inconciliabilità di base.
Cosa ne pensi della frase “…la mia libertà è posta sopra la mia morte”? O meglio, cosa rispondi a chi vede un netto contrapporsi fra i diritti supposti degli animali non umani e la libertà umana?
Rispondo che non vedo una tale contrapposizione e cito: “La mia libertà finisce dove inizia quella altrui” (variamente riportata e attribuita).Attribuire diritti agli animali non umani non mi pare un’enormità. In merito rimando a un saggio di Valerio Pocar, “Gli animali non umani: per una sociologia dei diritti” (Laterza 2005). Taccola infatti scrive contro, o almeno non a favore, della “tutela diritti non richiesti né conquistati”.
Gli animali non umani non possono far valere i propri diritti, né averne coscienza, né attenersi conseguentemente a norme o accordi. Leggo ancora questa affermazione di Taccola: “Nei confronti di un animale ho la massima libertà,(anche se io stesso non compierei certe azioni), perchè dove l’uomo ha delle libertà le stesse libertà un animale non le può avere poichè lo stesso non le ha nè richieste, nè conquistate, io non posso danneggiare un animale perchè l’animale non ha i miei stessi diritti positivamente parlando” [sic].
Se la mettiamo così, anche molti umani malati, troppo piccoli o troppo vecchi hanno diritti che intendiamo tutelare, eppure non potrebbero fare gli avvocati di se stessi in alcun tribunale, né votare o essere eletti. E dunque?Mi appello alla nostra facoltà, e preferirei dire al nostro dovere morale, di tutelare diritti non richiesti né conquistati dagli animali.
Veniamo ad una tematica scottante: le polemiche sulla sperimentazione animale. Nell’articolo “Evoluzione: da Nazisti a Animalisti o Viceversa?” c’è riferimento alla recente vicenda di Caterina Simonsen: qual è la tua posizione in merito?
Per prima cosa devo prendere le distanze da certi insulti e auguri di disgrazie rivolti alla ragazza da parte, purtroppo è così, di molti che si professano animalisti. Non ha senso augurare la morte quando ci si propone di proteggere la vita! E, come ho già detto, ci sono elementi poco encomiabili in qualsiasi gruppo: sfortuna vuole che siano anche i più rumorosi. Non per questo mi schiero a favore degli esperimenti su animali. Il discorso sulla sperimentazione animale è lungo e tocca diversi campi: ci sono ragioni scientifiche, etiche, utilitaristiche sia fra i pro sia fra i contro. Dal momento che NON SONO UN MEDICO né un ricercatore, non lo affronterò dal punto di vista medico. Ho letto qualche articolo di ricercatori favorevoli e contrari, e potrei sostenere, se volessi, la causa degli uni o degli altri con egual convinzione se volessi… perché le mie conoscenze in materia sono parecchio scarse. Il nemico numero uno, come al solito, è la mancanza di conoscenza unita alla presunzione e al pregiudizio. Mi preme solo sottolineare alcuni punti.
Sono contraria alla vivisezione, intesa per estensione come sperimentazione animale (vedi http://www.treccani.it/enciclopedia/vivisezione/)per ragioni etiche: ovverosia, non accetto che per alleviare la sofferenza di una specie animale sia reso legittimo eseguire esperimenti su altre. È una violenza ragionata, un sopruso non inevitabile. Per le medesime ragioni etiche, non desidero che gli esperimenti vengano condotti su umani colpevoli di gravi reati, come proposto – a volte solo per provocazione, altre con totale serietà – da alcuni.
L’obiezione più comune mossa agli antivivisezionisti è: non dovremmo salvaguardare prima i nostri simili e poi gli altri esseri, se non per istinto di conservazione? Sì e no. Viene naturale pensare prima ai propri simili: propongo però una conciliazione fra i bisogni delle due parti (umani e non), al posto di una scala di importanza tanto assoluta e cieca da escludere percorsi paralleli. Sono parole, non risultati di laboratorio, me ne rendo conto. Ma non sperimenterei un principio o un farmaco su Tizio, sapendo di poter salvare Caio e Sempronio, se Tizio non fosse consenziente. Eppure, per la tanto citata legge di sopravvivenza, Tizio sarebbe sacrificabile.Quanto è detestabile la famosa e falsa alternativa fra topo e bambino! A qualsiasi sostenitore dei diritti animali è stato posto il quesito prima o poi. E da animalista mi cavo dal dilemma solo rispondendo che, dovendo scegliere fra le due vite, salverei entrambe. Se invece mi si chiedesse di sacrificare una delle mie ratte (sì, ratte) per salvare una persona sconosciuta, la mia risposta sarebbe subito: no grazie, ci tengo più alle mie ratte! Forse adesso ho confuso un po’ le acque… Tiro le somme: fra due esseri animali a me parimenti indifferenti non potrei operare alcuna scelta e non ucciderei o sevizierei l’uno per il bene dell’altro. Se dovessi scegliere fra una creatura a me cara e un’altra che non conosco, la mia preferenza andrebbe a quella che mi è affettivamente vicina; un tale tipo di scelta dettata dall’emotività, in ogni caso, non c’entra con la norma. E la norma per me dovrebbe essere: niente sperimentazioni e niente sacrifici, su nessuna specie animale.
Altro punto dolente sono i medicinali di cui la maggior parte dei vegani, volente o nolente, fa uso come il resto della popolazione. Tacciati di incoerenza, dovremmo tenerci il raffreddore perché le cure oggi a disposizione sono state testate su animali, proprio la pratica che aborriamo. Purtroppo non esiste alternativa. Non è questa una contraddizione: intendo dire che non esiste alternativa legale allo stato attuale, dato che ogni farmaco destinato agli umani deve essere prima obbligatoriamente testato su animali (oltre a seguire una serie di altre procedure, come ci s’immagina). Si può e si dovrebbe fare affidamento su principi attivi in circolazione da tempo, dato che in linea di massima i test non vanno ripetuti per ogni nuovo sciroppo o pillola se la sostanza è la stessa, ed evitare di ricorrere alle scorte di farmacia per ogni minimo accenno di malanno. In più non fa mai male ricordare il caro vecchio detto che ci invita a prevenire anziché curare. Allo stato attuale delle cose, la miglior linea d’azione da seguire è questa.Noi animalisti siamo sì insistenti nel chiedere di aprire le porte al progresso e all’empatia. Scommetto che dal punto di vista economico e sociale anche la fine formale della schiavitù in Occidente fu accolta a malincuore da molti; viene oggi rimpianta?
Insomma, sembra quasi che la questione si risolva in una domanda: paragoni l’essere umano agli animali?
Sì e no. Li paragono, perché l’uomo è esso stesso un animale; non sono due categorie opposte. E quand’anche ci riferissimo all’uomo VS “tutti gli altri animali non umani”, dovremmo ricordare che stiamo arbitrariamente buttando nel medesimo sacco qualche milione di specie diverse sotto l’etichetta di “altri”. Per convenienza, comunque, atteniamoci a tale distinzione.Ogni animale ha una o più caratteristiche specifiche; l’uomo si è evoluto in maniera tale da emergere per le proprie capacità cognitive. Queste non lo rendono migliore, ma diverso.
Sì, vogliamo pensare prima alla nostra specie; immediatamente dopo prendiamo in considerazione animali a noi più vicini, relazionabili e comprensibili, e che consideriamo perciò più meritevoli del nostro aiuto. Ma uomo e animali, almeno nella visione animalista, hanno molti diritti simili, con pari dignità di essere tutelati qualora non siano in palese conflitto. Proprio perché ci è possibile, dovremmo tutelare gli uni e gli altri.
Vorremmo, noi mangiatori di vegetali, creare meno sofferenza possibile. Abbiamo gli strumenti mentali e materiali per operare una scelta: scegliamo di aiutare, ridurre la morte quando possibile, limitare il dolore. Siamo un po’ ingenui forse, ma non abbiamo intenzione di fare la parte del cattivo e passare per dittatori: l’animalismo non vuole togliere la scelta, semmai offrirne una meno cruenta, appunto perché noi umani siamo arrivati a questo livello di consapevolezza e potere.
E qual è invece la tua posizione sulla “eccessiva umanizzazione degli animali”?
La stessa di Matteo Taccola, coi dovuti aggiustamenti: un cane non è un uomo, così come – scusa la banalità – un delfino non è una mosca e una rana pescatrice non è un oritteropo. Non sopporto la visione di cagnolini rinchiusi in borsette tempestate di diamanti e soffocati, umiliati, da “cure” mal interpretate. D’altronde non si parla di “animalismo” in quei casi: non mi stupisce purtroppo che Taccola sia caduto in un errore tanto comune, benché a mio parere sciocco. L’uomo ha bisogno di rapportarsi con esseri simili e umanizza anche oggetti inanimati quando si trova solo…
Abbiamo toccato, anche se brevemente, vari argomenti. Hai da aggiungere altre osservazioni?
Sì, ormai devo vuotare il sacco!
Sono rimasta allibita leggendo frasi come: “Il mondo è vario, di persone, animali, di posti e pensieri, spero solo che con gli agnellini morti che si portano in giro per impietosire la gente gli animalisti poi non li buttino nella spazzatura, che c’è gente che muore di fame”. Triste doversi trovare di fronte a tali livelli di ipocrisia e pregiudizi in una mente giovane e colta. Un animalista che andasse al mercato a comprare un quarto di bue, se lo mettesse in spalla urlando contro al consumo di carne e per finire gettasse il tutto in un bidone, sarebbe uno spettacolo ben triste: a quanto mi risulta, però, anche uno spettacolo poco probabile. E davvero Taccola si commuove tanto di fronte alla morte di un agnellino – o al pensiero della “gente che muore di fame”? Mi dispiace, non vorrei suonare così acida né mancare di rispetto al mio opponente. D’altronde quasi ogni giorno subisco prese in giro più o meno pesanti per il solo fatto che preferisco le bevande di soia al latte vaccino o che alle cene al ristorante ammorbo i camerieri con le mie domande sugli ingredienti dei vari piatti. Anzi, direi che sono più le costanti autodifese che atti di proselitismo a far conoscere il pensiero animalista agli altri.
Questa non vuole essere una tirata in difesa di Me Stessa, paladina dei diritti animali, ma una specie di mini-spaccato sulla vita dell’animalista medio. Checché se ne pensi, non trascorriamo le nostre esistenze a distruggere stabulari o glorificare tofu. Cerchiamo di comportarci in maniera coerente, pur consapevoli che la coerenza assoluta non è una prerogativa di questo mondo. Come molti altri uomini affetti da un “-ismo”, portiamo avanti le nostre scelte nella convinzione che rendano le cose un po’ migliori per tutti. Se per questo dobbiamo essere tacciati di malriposto senso di superiorità, pazienza.
Capisco. Come vuoi concludere il tuo intervento?
Vorrei chiudere con una preghiera: basta, da entrambe le parti della barricata, con futili serie di offese, battute e banalità grondanti disinformazione. Il mio ragazzo ed io abbiamo posizioni parecchio diverse riguardo alla questione dei diritti animali, il che non ci impedisce, anzi, ci facilita uno scambio pacifico, talvolta fruttuoso di idee e opinioni. Gli insulti e le prese di posizione in stile tifoseria non servono a nessuno.
30/1/2014
Si ringrazia della gentile collaborazione Beatrice Schembri.
Intervista realizzata e revisionata da
Claudio Fedele
Inizio a rispondere su questioni “meno importanti”, o comunque che non riguardano l’argomento in sé.
Innanzitutto “non vorrei suonare così acida né mancare di rispetto al mio opponente”. Prima di leggere questa frase a fine intervista il pensiero che ho avuto di sottofondo durante tutto il tempo della lettura di queste righe è stato che viene criticata una (ipotetica) supponenza con altrettanta supponenza.
Spero che ti sia sbagliata a scrivere perché altrimenti i toni sono proprio quelli del classico fanatico infoiato con la puzza sotto il naso che cerca di dimostrare che ne sa più di tutti e che non usa “luoghi comuni” o “parallelismi forzosi” (come invece avrebbe fatto Matteo Taccola).
Si nota da subito questa incoerenza quindi: la critica ai toni supponenti fatta con altrettanti toni supponenti, e, sì, ogni singola parola suona acida e mancante di rispetto.
Passiamo a questioni più centrate ora: ” Le foto da me scelte hanno un contenuto d’impatto – con una forte carica emotiva per molte persone – e rappresentano quello che quotidianamente accade nell’industria della carne e dello sfruttamento animale. A conti fatti, però, se non vengono debitamente contestualizzate e commentate perdono rilevanza. Così come ritengo sia accaduto per le foto inserite da Taccola nel proprio articolo: sarebbero state più adatte a un pezzo di satira in stile Nonciclopedia, accompagnate da didascalie tanto ricche di sarcasmo quanto povere di contenuti e fonti” (che non è affatto una frase offensiva eh, figuriamoci).
I problemi sono due però:
a)Mentre i pacifisti, coloro che “lottano la povertà” (?) e tutelano l’infanzia non condividono continuamente immagini che cercano di impietosire e mirare alla pancia, il 90% degli animalisti lo fa.
b)La maggior parte delle immagini condivise dagli animalisti con tanto di storiella sono molto spesso bugie di cui essi stessi non si accorgono (ed è facile, basti vedere l’immagine della scimmi con la sigaretta in bocca che girava tempo fa).
Storielle simili le inventano quelli che chiamo animalari: membri frustrati dell’umanità tendenzialmente misantropi che, avendo bisogno d’amore e di donarne, come è comunque loro natura (umana e animale), sono capaci di darne e di cercarne solo da esseri con cui non si possono identificare, non dai propri simili; oppure membri stupidi dell’umanità che sanno andare poco oltre l’1+1; in genere ambedue: stupidi e frustrati. In alcuni casi sono psicopatici da curare i quali sostengono che la vita di un essere umano non vale più di quella di un criceto. Sono incapaci di provare empatia nei propri simili e vorrebbero utilizzarli direttamente nella sperimentazione, per questo sono disposti a bloccare la ricerca, costi quello che costi: non importa che in questo momento il 90% della comunità scientifica dica che non c’è oggi un’alternativa e che dunque si bloccherebbe il sistema per un tempo non determinabile a priori. Gli animalari devono far credere a tutti i costi (di vite umane) che così non è, per loro conta quanto dice la minoranza. Gli altri sono dei pagati prezzolati pieni di conflitti di interessi nonché incompetenti. Bah… Non ascoltano ragione, non ragionano, non accettano compromessi, non sono disposti ad attendere il naturale sviluppo della scienza, non credono che lo sviluppo dell’ultimo secolo sia dovuto ANCHE alla sperimentazione sugli animali: si blocchi tutto e subito! “…non dite la verità!! Lo dice il prof X che la sperimentazione è inutile, lo dice anche il prof. Y, è pubblicato”, ma non sanno che se un articolo è pubblicato non significa che quanto dice sia vero, ma in genere soltanto che è plausibilmente corretto nel “metodo” e nella forma. Peccato che le altre lettere dell’alfabeto dicano il contrario, ma sono appunto tutti dei delinquenti. “Oddio povero topolino!”. Con loro è inutile cercare di discutere: sono membri di una religione, in cui credono ciecamente. Punto. Dunque siccome per loro il fine giustifica il mezzo, ecco le storielle inventate e propinate alla grande massa per raccogliere consensi. Sono determinati e col copiaincolla su internet trasformano in verità le loro invenzioni:
“…capperi quanti ne parlano, capperi questi scienziati, deve essere proprio così, maledetti scienziati sadici…”
No, anzi: non c’è un piano generale di generazione di menzogne. Alcuni di loro si lanciano nella disinformazione, gli altri sono solo soggetti passivi che rilanciano il messaggio, credendoci, volendoci credere, non potendo non crederci, visto il problema psicologico di cui soffrono.
C’è differenza tra animalisti e animalari. Purtroppo gli animalari infangano l’immagine dei veri animalisti, che però hanno spesso una responsabilità: il non dissociarsi chiaramente ed il non isolarli. D’altronde questo è normale in ogni contesto: spesso il dissociarsi è da persone moderate, che lo fanno troppo sottovoce.
Ci sono tante critiche da fare all’uomo, per carità, la violenza gratuita, la cattiveria, l’egocentrismo e lo sfruttamento intensivo delle risorse terresti. Ma non ci sono solo uomini merdosi a questo mondo, e per quelli non vale la pena generalizzare. Ma soprattutto merdoso non è colui che mangia carne, siamo animali onnivori, possediamo gli enzimi che digeriscono la carne, e al contrario non possediamo quelli per le fibre vegetali, si chiama biologia, non scelta etica.
Perché prima che esseri raziocinanti siamo animali, e come tutti gli animali prevarichiamo altri esseri viventi, per il nostro sostentamento, che siano foglie di eucalipto o porcellini.
E il gatto che gioca col topo e sbuzza le lucertole per divertimento e non le mangia? Preferiamo mandarlo all’inferno ora o subito? Quale condanna gli spetta?
Che posizione ho io rispetto a come si colloca l’uomo di fronte agli altri animali? Uhm… quanto dico non piacerà a nessuno o quasi: non siamo superiori*, non siamo inferiori*, ma SIAMO UNA SPECIE IN COMPETIZIONE.
Tutto qua. Ed in questa competizione usiamo, come le altre specie, le armi che la natura ci ha dato, innanzitutto l’intelligenza. Che poi a volte la si usi male e che perseverare non è diabolico ma umano, è vero, ma come le altre specie usiamo quanto ci ha dato la natura per poterci evolvere, sopravvivere, far fronte ai nostri bisogni. Nel nostro caso anche quell’intelligenza da cui è discesa la capacità di sfruttare altre specie. Così è. Così è normale ed accettabile che sia, per me. Non vi venga però in mente di mettermi in bocca parole che non ho detto e concetti che non penso neanche minimamente: il fatto che ritengo che si possa disporre di altri esseri viventi (di altre specie) per fare ricerca, non significa che intendo che se ne possa fare quello che si vuole. Come esseri umani siamo capaci di empatia, non solo nei confronti dei nostri simili, ma anche degli altri esseri viventi. L’empatia mi è maggiore nei confronti degli appartenenti alla mia specie, dunque sono gli ultimi su cui farei esperimenti. Se non vi piace la parola “specie” cambiatela con “simili” e non rompetemi le scatole con filosofismi sul concetto di “similitudine”.
Io spero che presto, al più presto, non sia davvero più necessaria la sperimentazione su altri membri del mondo animale.
Per quanto riguarda la sperimentazione, non è errato come la pensano gli animalisti, basta che siano coerenti.
Quando i vostri animaletti da compagnia hanno bisogno di medicine per la loro salute, dovete lasciarli morire, perché anch’esse sono sperimentate su animali, anche di specie diverse.
Alla stessa maniera, che sia la nonna, la mamma, la figlia o anche voi stessi, ad aver bisogno di un farmaco vitale (vitale non omeopatico), beh prendetevi le vostre responsabilità e decidete di morire, o di dare contro ai vostri parenti perché sono dei potenziali assassini (no ai figli no perché vi levano la potestà genitoriale, e se la assumono i medici, momentaneamente).
Mi sono informata molto anche sulla ricerca alternativa, dove il metodo più apprezzato (e quello meno cazzaro) è quello di prelevare cellule umane e coltivarle in provetta.
Questo è un metodo più limitato del pudore di Belen Rodriguez
Per 2 motivazioni:
1) In vitro, le stesse cellule rispondono diversamente che in vivo.
2)Poi altra cosa che ostacola questo metodo è il fatto che determinate cellule del nostro corpo, se estrapolate dalla loro nicchia e messe in vitro, perdono le loro caratteristiche peculiari e regrediscono a uno stato indifferenziato e quindi inutilizzabile.
Chiamatemi egoista, ma per me i miei figli varrebberp più di una decina di topi, conigli o criceti.
Come tutti gli altri animali per cui la loro prole vale molto di più di qualsiasi altra cosa, e se sarà necessario e possibile, potrebbero sterminare un intero genere animale per assicurare ai loro cuccioli la sopravvivenza. Solo perché gli animali mancano di un’abbondante corteccia cerebrale, non vuol dire che siano più buoni, solo non ne hanno le possibilità.
Spero di non aver fatto errori, ho scritto troppo e non ho sinceramente molta voglia di rileggere tutto, in tal caso mi scuso.
Spero tu mi risponda punto per punto.
Temo di non essere riuscita a spiegarmi bene nell’articolo (non sono un granché come argomentatrice, purtroppo); avevo creduto, scrivendo, di fornire una risposta parziale a molte delle questioni che sollevi, ma è chiaro che il punto di vista animalista non è emerso con grande forza. Proverò dunque a risponderti punto per punto, come chiedi.
NOTA_ Per iniziare ti prego di tenere a mente queste parole: alla fine non ci troveremo d’accordo. Pur cercando di sviluppare una discussione logica, infatti, ci troveremo sempre a un problema di base: quali diritti riconoscere agli animali non umani? Non esiste una risposta assoluta! Gli animalisti intendono salvaguardare per tutti gli animali, uomo compreso, i tre diritti fondamentali – alla vita, alla libertà, alla non sofferenza; i casi di conflitto saranno numerosi e presenteranno controversie, inevitabilmente, ma l’assunto principale sarà di evitare il dolore quanto più possibile ove vi sia la possibilità di scelta.
Per quanto riguarda il tono delle mie parole: non mi sono sbagliata a scrivere, né a Claudio a riportare quanto gli ho inviato. Mi dispiace aver mostrato poco rispetto o tatto, se questo è accaduto. Ti chiedo, cortesemente, di indicarmi almeno alcuni dei punti in cui il mio sarcasmo è stato eccessivo o fuori luogo e dove trovi una marcata mancanza di rispetto, perché la comunicazione per essere effettiva non dovrebbe scadere in un rilancio di frecciatine. Ho cercato di mantenermi distaccata di fronte a un titolo come “Evoluzione: da nazisti a animalisti o viceversa?” che implica un giudizio morale parecchio duro. Non ho inteso condannare chi ha un’idea diversa dalla mia – vedi la nota nel paragrafo precedente -, ma chi attacca la mia idea su basi poco fondate (parlando ad es. animalisti che trattano animali domestici come persone, noncuranti dei loro bisogni fisiologici; animalisti irrispettosi della legge, cosa che accade ma non è la norma o avremmo molte più denunce a fronte del numero di persone veg in Italia). Critico il tono di Taccola e quelli che reputo suoi errori o lacune o volontari fraintendimenti, non il fatto che abbia un’opinione su diritti e morale differente dalla mia.
Il “lottano la povertà” è un refuso da copia-incolla in Word (redattore Claudio, forse si può correggere?). Intendevo ovviamente riferirmi, in maniera molto generica, ad altre categorie di persone che manifestano il loro pensiero “contro” a varie forme di sopruso su, o indifferenza a danno di, esseri viventi: ad esempio, chi vuole limitare il degrado e la povertà di persone svantaggiate.
Innescare un meccanismo di pietismo e sensi di colpa non è, neppure a parer mio, una strategia vincente. Vero: molti animalisti vi ricorrono, specialmente su Internet (il 90% è discutibile, ma non importa). D’altra parte spesso le immagini forti servono a rendere consapevole il pubblico del problema cui ci si riferisce; il passo immediatamente successivo, se si vuole passare un’informazione e non solo emozione, è commentare e approfondire quanto si vede e riconoscere che, pur in buona fede, dovremmo stare attenti a non diffondere bischerate. Si tratta di errori, ahimé, assai comuni (ero convinta di essermi espressa con sufficiente chiarezza in proposito, mannaggia): hai presente le immagini e “false storielle” annesse in ambito politico, calcistico, sociale…?
Tracci tu stessa una linea di demarcazione fra animalisti e quelli che chiami “animalari”: in questo caso, non so bene cosa dovrei risponderti. Dici che gli animalisti hanno la responsabilità di dissociarsi in maniera più netta dagli elementi meno credibili o raccomandabili: questo viene fatto tutti i giorni, così come in ogni altro contesto. Perché altrimenti esisterebbero varie associazioni, gruppi, movimenti, discussioni, forum, organizzazioni, eventi, e così via? Hanno un unico scopo, ma mezzi diversi. Mi dispiace, ma io come altri non intendo fare a gara a chi urla più forte: vorrei far valere le mie opinioni con decisione e moderazione insieme. Per questo sono a volte accusata di essere anche troppo morbida, non abbastanza impegnata. Eppure cerco di dedicare un minuto di riflessione ad ogni critica; ritengo giusto isolare gli autori di gesti irrispettosi o violenti e cercare un confronto con tutte le altre categorie di animalisti-diversi-da-me.
In quale punto ho generalizzato, dando dei “merdosi” ai non animalisti? Se lo avessi fatto, sarebbe stata una grave mancanza da parte mia. Se l’ho lasciato ad intendere, ripeto, indicami dove: il mio ragazzo merdoso, i miei fratelli merdosi e i miei amici merdosi ci rimarrebbero di merda. Scusa la battutaccia, ma mi soo già ripetuta tante di quelle volte che mi sto venendo a noia da sola: NON vedo il mondo in bianco e nero, e mi ritengo un buon esempio di animalista. Penso che la scelta di non mangiare carne sia sostenibile dall’essere umano, consigliabile, preferibile. Possiamo mangiare carne? Sì. Possiamo scegliere di evitarlo, pur vivendo bene? Sì. Ci troveremo d’accordo su questo punto? No, perché partiamo da due posizioni diverse e perlopiù inconciliabili (di nuovo: vedi il secondo paragrafo del presente commento).
I gatti che sbuzzano le lucertole all’inferno, come no. Ovvia, è chiaro che mi rivolgo, da essere umano, ad alti esseri umani. Noi abbiamo la possibilità di analizzare cause e conseguenze delle nostre azioni, informarci sui valori nutritivi delle sostanze, e capire che il nostro stato di onnivori ci dà un bel margine di scelta. Un coccodrillo no. Ci arrivano anche gli animalisti.
Sul tuo discorso sulla competizione fra specie: penso sia impossibile vivere senza uccidere, anche involontariamente. Per questo l’animalismo dovrebbe essere definito non come un fantomatico punto di perfezionamento etico dell’essere umano, ma come un tentativo di rendere meno disastrosa la sua impronta sulla Terra. Però non ritengo giustificabile l’uccisione di milioni di animali nei laboratori per salvare individui della mia stessa specie (o di animali domestici, la sperimentazione è usata anche per quello). Possiamo discutere di questo per una vita, e ancora una volta rimarremo con ogni probabilità ferme su posizioni diverse: io dirò che non mi sta bene uccidere A per provare a salvare B, tu dirai che A siamo noi e l’uomo deve pensare innanzitutto a sé stesso.
Sono anch’io egoista, perché darei più valore a un essere non umano a me caro che ad un umano sconosciuto. Le leggi e le norme di buona condotta, però, si riferiscono al benessere collettivo e non (solo) a quello individuale; il punto di vista animalista chiede solo che questo “benessere” includa anche gli animali non umani.
E per favore, per favore, credimi: tutti gli animalisti seri, ben informati e pronti alla disanima delle proprie idee (sono tanti quante sono le persone serie, ben informate e pronte alla disanima delle proprie idee; né più né meno) quasi quotidianamente si pongono quesiti sulla “eticità” o meno delle proprie azioni, in un continuo tentativo di migliorarsi. Ci interroghiamo sugli ingredienti dei biscotti: sarà peggio comprare quelli che possono contenere tracce di latte o quelli con olio vegetale, forse di palma, la produzione del quale è responsabile di una massiccia deforestazione? Dovrei spendere i miei soldi per vegetali di origine biologica, a minor impatto ambientale, o fare la spesa al discount e destinare un gruzzoletto al canile? No, quella famosa coerenza di cui trovate gli animalisti sempre carenti non è qualità di questo mondo. Oh, l’ho detto.
“Quando i vostri animaletti da compagnia hanno bisogno di medicine per la loro salute, dovete lasciarli morire, perché anch’esse sono sperimentate su animali, anche di specie diverse.”
Lo so che i farmaci di cui faccio uso io, con la mia ipercolesterolemia genetica; mio nonno reduce dall’infarto; il mio gatto quando aveva il muco… lo so che i nostri farmaci sono passati dalla sperimentazione animale, perché al di là del dibattito scientifico ed etico, in Italia NON si può LEGALMENTE fare altrimenti. Però avevo parlato di questo nel mio articolo (paragrafo sopra la foto dell’elefante incatenato, scusa ma così si capisce subito). Credi forse che non mi sia mai posta il problema, o che lo ignori volutamente? No, ancora una volta: ci penso, non ne sono felice, e come minimo vorrei che fosse possibile avere in commercio ANCHE farmaci non testati su animali. Così come è avvenuto anni fa per i cosmetici, prima della nuova legge.
Anche io mi sono informata sulla ricerca alternativa e devo dire che ho imparato un mucchio di cose. Perlopiù parziali, dimenticate o non utilizzabili correttamente in un dibattito, dato che non ho mai studiato medicina, biologia, farmaceutica o chimica. Se chiamassero me per esprimermi in merito alla sperimentazione animale dal punto di vista scientifico, ti assicuro che non potrei sostenere in modo adeguato la posizione animalista… e neppure l’altra. Non so una cippa di queste cose rispetto a chi se ne occupa da anni. Mi sono informata, ma mi sento troppo ignorante in materia da poterti dire: “La sperimentazione animale è purtroppo ancora necessaria; è utile e non rimpiazzabile” o “La sperimentazione animale è superata; se anche non ci fossero state alternative in passato, oggi ne troviamo in abbondanza e dovremmo limitarci a quelle”.
Quindi ti potrei sparare link, citazioni, studi (nemmeno così tanti perché tendo ad essere selettiva sulle mie fonti): ma avrebbero per me poco valore. E bada bene, se i ruoli fossero invertiti – se fossi tu l’animalista ed io la sostenitrice della vivisezione – la cosa non cambierebbe.
Io non voglio avere figli. Parlo dunque dei miei fratelli. Se fossero in pericolo di vita e per salvarli dovessi uccidere un altro essere umano, incolpevole e indifeso, avrei di sicuro l’impulso a farlo. Ma non penso sarebbe il massimo.
Non ritengo gli animali non umani più buoni di noi. Dico che l’uomo è dotato di maggiore raziocinio e di una marea di possibilità. Vorrei che le utilizzasse in un costante sforzo di ridurre al minimo la sofferenza altrui, non per guadagnarsi il paradiso o perché fa tanto ganzo, ma perché mi sembra un obiettivo auspicabile da un po’ tutti. Personalissima posizione (ultimo rimando, lo prometto, alla nota iniziale del presente commento).
Spero di aver fornito risposte chiare, anche se non per forza apprezzabili o condivisibili.
Oh ma se volevate questi farmaci per evitare la sperimentazione sugli animali, non potevate diventare tutti chimici farmaceutici, studiare un po’ di più per salvare le bestie e non fracassarci i coglioni?
Con amore
Klimt, è vero che non bastano le parole, occorrono persone preparate che passino all’azione. Infatti ci sono veterinari, medici, biologi, infermieri, chimici, ricercatori veg, che fanno obiezione di coscienza all’università e si impegnano nella ricerca alternativa successivamente.
Io no, studiavo lettere.
Ma è un po’ come se tu dicessi che non possiamo protestare contro le marche di abbigliamento che sfruttano lavoratori bambini perché non sappiamo cucire.