26 Dicembre 2024

 

Compilare un CV, almeno per quanto mi riguarda, è da sempre un’operazione che oscilla costantemente tra la ricerca di prove forensi e l’editing di un racconto fantasy.

Alle prese con la filosofia britannica del sell yourself è andata un po’ meglio, nel senso che ho recentemente partecipato a un workshop offerto da Careers Service agli studenti della Royal Holloway University of London e ho avuto l’opportunita di capire che per i Britons ha ben poco senso lo snocciolìo di studi ed esperienze pregresse.


Per dire, come attività formativa potrei anche infilarci il corpo a corpo con la pineapple pizza (sto combattendo una lotta carbonara per veder sparire questo obbrobrio!) il che, tradotto in termini di team working e leadership, potrebbe benissimo riempire un application form di queste parti.

La cosa incredibile di mettere il naso all’estero, e soprattutto in un Paese anglofono, è l’aria stevejobsiana di yes we can che si respira. Non che tutto sia così semplice: qui alla Royal Holloway, dove mi trovo in Erasmus, ci sono stati dei sonori scioperi per un pay rise in ambito accademico e sta letteralmente scoppiando un putiferio per la prossima chiusura della Students Union (perciò mi sento molto a casa, ci manca solo la torre di Pisa).

La differenza, che per me è una droga, è l’aria che si respira. Hai scritto una canzone? Una poesia? Hai girato un corto? Non ti serve essere al posto giusto al momento giusto né conoscere chi sa chi: tutti condividono lo stesso pensiero a proposito dei lavori creativi, anzi, sono creativi e visionari praticamente in tutto, dal marketing alla filologia -e non sei solo come un carciofo se credi che i tuoi interessi, non benché folli, ma proprio perché folli diventeranno una professione.

Io personalmente voglio tornare i Italia con questo bagaglio, perché la mia generazione ha fame di questo, e c’è bisogno di cervelli che facciano del proprio Paese il centro del mondo, continuando a viaggiare e a scoprire, ma senza dover scappare per trovare una voce e farsi capire.

Infatti i video firmati dal trio Collettivo Zero, che hanno lanciato la recente campagna #coglioneNo, sono la riprova che Freelance, creativi e giovani (tre categorie che quasi sempre coincidono) si scontrano brancaleonicamente con l’ostilità di chi non si pone nemmeno il problema della loro esistenza.

Date un’occhiata all’articolo di niente popò di meno che il vicedirettore di Wired Italia, che dà una bacchettata sulle nocche ai birichini creativi e vorrebbe rimetterli in fila tra i banchi, a imparare come si fa davvero un mestiere, a sudare sugli esercizi di tecnica e ad avere pochi grilli per la testa. Perché è vero che si possono fare lavori tecnici creativamente, ma è da miopi pensare che i lavori tecnici siano i soli a potersi chiamare lavori.


Prendiamo il mio campo, il lavoro della scrittura, anche se vale lo stesso per musica, teatro, pittura, cinema e quant’altro. Il talento non cresce sugli alberi, va allenato e curato costantemente, non solo tra i banchi di scuola (se mi aspettassi l’abbiccì del mestiere solo dall’università, starei fresca!).

I lavori creativi sono quelli per cui devi imparare la tecnica fino alla nevrosi, ma poi devi metterla da parte e immergerti nella vita. I lavori creativi sono quelli per cui lavori di più quando perdi lo sguardo fuori dalla finestra di quando ti accechi davanti allo schermo del computer, semplicemente perché per dare vita alle idee ti serve prima di tutto saper vivere bene la tua vita.

Il fatto che questo non sia considerato degno di stipendio offende tutti quelli che sanno che una passione è difficile da coltivare, ma soprattutto, sia sotto forma di musica o di matematica, di poesia o di architettura, è sempre reale e tangibile quanto una busta paga.

Lo diresti al tuo idraulico?

Lo diresti al tuo giardiniere?

lo diresti al tuo antennista?

 

Non credo.

 

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Giulia

Giulia Pedonese, classe 1992, ha cominciato a scrivere prima di sapere la grammatica e, visto che nessuno è riuscito a fermarla, studia lettere classiche all'università di Pisa. Ama cantare, non ricambiata, e nel frattempo si è data un nome d'arte con i baffi.

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