Autonomie sensibili è l’intervento realizzato a Colle Val d’Elsa dallo studio fiorentino OKS Architetti (composto da Eugenio Salvetti e Luca Scollo) in collaborazione con Lorenzo Bacci e Marco Casalena, due giovani architetti livornesi che sperano di poter presto replicare il progetto altrove, anche nella loro città.
Abbiamo quindi incontrato Lorenzo e Marco, che ci hanno raccontato la loro esperienza.
- Autonomie sensibili. Dispositivi per la sensibilità: parlateci dell’intervento e del perché di questo titolo.
Lo studio OKS è stato invitato al FUORIARCHIFEST organizzato dal Comune di Colle Val d’Elsa per allestire una serie di piazze in occasione del festival dell’architettura “2050 ArchiFest- abitare il mondo altrimenti”.
E così è nato Autonomie Sensibili, un progetto appena conclusosi, che ha tradotto la nostra non volontà di dare una funzione specifica a uno spazio pubblico. Non volevamo mettere una predisposizione calata dall’alto, nella quale noi progettisti imponevamo alla collettività cosa e quale funzione dovesse essere sviluppata in quel luogo. Per questo, in modo puramente indicativo, abbiamo tracciato delle x bianche a terra, sulle quali sono stati predisposti dei telai di legno mobili completamente neutri, cosicché i cittadini potessero strutturare in maniera autonoma, e da qui appunto il titolo, la funzione pubblica che preferivano. Si sono così configurati liberamente nuovi spazi collettivi grazie alle sensibilità individuali: a nostro parere queste ultime giocano un ruolo fondamentale, perché permettono alle persone di decidere come allestire una piazza o sviluppare una situazione pubblica secondo quelli che sono i loro bisogni e desideri interagenti.
Il cittadino è al tempo stesso osservatore, fruitore e progettatore dello spazio.
- Qual è stato secondo voi il momento di più bello di Autonomie sensibili?
Appena dopo l’inaugurazione sono arrivati una decina di bambini che hanno iniziato a prendere i cubi, a spostarli, ad entrarci dentro per capire cosa fossero e come dovessero essere fruiti collettivamente. I telai avevano delle tende e i bimbi hanno ritrovato in essi una sorta di riparo,delle capanne primitive in cui hanno giocato insieme.
Ristrutturare la funzione pubblica con loro è stato sicuramente il momento più importante, perché abbiamo visto che la nostra idea funzionava.
- Cosa rappresenta lo spazio generato da questi telai?
Lo spazio creato dall’interazione tra telai è di per sé la funzione pubblica per eccellenza. Il nostro non è un progetto di arredo urbano, da questi spazi vogliamo tirar fuori identità in modo che la cittadinanza si identifichi, attraverso quell’oggetto, nella piazza e viceversa. Si tratta di dispositivi relazionali utili a sviluppare delle relazioni sempre nuove e diverse a seconda di chi vi interagisce e le fruisce. Lo spazio diventa quindi spazio di relazione, potremmo anche dire politico, in quanto è la collettività stessa ad indicare il ruolo pubblico che lo caratterizza.
- Le persone sono pronte a capire questi tipi di progetti? C’è la sensibilità giusta?
In questi giorni abbiamo visto che grazie all’impulso dei bambini anche gli adulti hanno “preso coraggio” iniziando a vivere il progetto, quindi in alcuni momenti lo scambio c’è stato e l’idea ha funzionato. Secondo noi si tratta di un processo in divenire, la sensibilità c’è, va solo tirata fuori piano piano, con l’obiettivo di giungere infine a una gestione comune delle funzioni pubbliche degli spazi.
Altra cosa, tre telai sono spariti,e ce l’aspettavamo. Si stratta anche qui di una questione di sviluppo graduale delle sensibilità; così facendo, idealmente, potremmo anche perseguire un nuovo modello di gestione e riqualificazione orizzontale dei luoghi.
- Quant’è importante un’architettura flessibile e mobile – creata da individui per individui-per creare aggregazione?
Per quanto riguarda l’architettura mobile, il lavoro si ispira a quello di Yona Friedman, che è stato il primo a dire che l’architettura deve essere delle persone per le persone. Discostandosi dalla sua filosofia, per mobile intendiamo che vorremmo riuscire a portare un po’ dappertutto il nostro modello di sensibilità, o comunque riuscire a restituire opportunità di spazio e relazione in luoghi che hanno tante potenzialità di lavoro. Il fatto che sia flessibile è importante perché ci garantisce che la nostra impronta di progettisti non si veda, ma che al contrario venga fuori il risultato di una serie di relazioni che si svolgono dentro questi oggetti. Gli elementi delle architetture flessibili non sono realizzati nel contesto urbano da gesti politici o super-imposizioni, dipendono dalla versatilità degli individui, e proprio per questo motivo possono anche non integrarsi e svincolarsi dal contesto stesso.
- Pensate che questo intervento possa essere migliorato con ulteriori stimoli percettivi?
Un’integrazione con un adeguato impianto di illuminazione garantirebbe una “vita notturna” dello spazio e quindi una serie molto più ampia di interrelazioni, di eventi realizzabili attorno a questi oggetti.
Sognando in grande, ci piacerebbe creare un’istallazione gigantesca per festival, un’architettura dell’evento in cui la gente possa farci festa e altri atti collettivi.
- Il vostro progetto parte dalla sensibilità dell’individuo per arrivare alla creazione di aggregazione. Secondo voi è possibile superare l’individualismo che caratterizza la nostra società?
Il nostro esperimento vuole essere un po’ una ricerca intorno a queste tematiche, sappiamo che determinati tipi di spazi creano collettivismo e mutualismo. Abbiamo pensato un luogo non standardizzato di aggregazione differenziata, un laboratorio di idee che è proprio l’opposto dell’individualismo; non sappiamo se sarà la soluzione a questo problema o a un’educazione capitalistica dello spazio, ma crediamo che l’architettura dal basso possa davvero incentivare il vivere insieme, in collettività.
- Perché vorreste portare il progetto a Livorno, e dove lo realizzereste?
Portare l’installazione a Livorno sarebbe per noi uno step ulteriore verso la realizzazione di una partecipazione comune al progetto. A Livorno l’esperimento sarebbe applicabile in vari contesti e a noi piacerebbe vedere se esso possa funzionare non solo in ambienti urbani (ad esempio in Piazza del Logo Pio) , ma anche in ambienti paesaggistici. Sul nostro territorio c’è una linea netta che divide il sistema urbano da quello delle colline. Potremmo quindi collegare queste due anime della città con il sistema dell’autonomia che abbiamo pensato, per analizzare poi la risposta della cittadinanza.
Nome: Autonomie sensibili. Dispositivi per la sensibilità
luogo: Colle Val d’Elsa (Siena)
Progetto: OKS Architetti + Lorenzo Bacci + Marco Casalena
Hanno contribuito: Sara Masi, Elena Sorace, Gloria Banchi, Lapo Gozzi
Fotografia: Lorenzo Patoia
Benedetta Cirillo