23 Novembre 2024

Luis Sepùlveda era uno scrittore sensibile, la sua delicatezza e dolcezza nel trattare qualsiasi argomento gli ha permesso di essere punto di riferimento nel periodo di crescita e nell’infanzia di molti bambini. Da questo punto di vista era capace più di ogni altro nel riuscire a scrivere storie appassionanti, storie che riuscivano ad entrarti nel cuore e farti riflettere su quel mondo degli adulti che quando sei bambino ti sembra così lontano e inarrivabile. Riusciva a creare racconti in grado di entrare nell’intimo innocente di ogni bambino accompagnandolo nel suo percorso di crescita.

Per questi motivi mi sento di consigliare i libri più famosi per bambini di questo grande autore così capace di donare emozioni ed insegnamenti profondi attraverso la genuinità delle sue opere. I suoi libri sono perle da custodire nel cuore, insegnamenti universali da cui trarre esempio che ricordano anche ai più grandi quei valori importanti e fondamentali per la nostra vita.


Valori che Luis ha voluto trasmettere in tutta la sua produzione letteraria a partire dalla responsabilità che abbiamo verso gli altri e verso l’ambiente, ma non solo, coraggio, tolleranza, diversità, sono tutti principi che hanno contraddistinto le sue opere e la sua vita. “Scrivere, per me, vuol dire resistere” ricordava sempre nelle interviste. Per lui la letteratura era dar voce a chi non ha voce. Spesso è proprio raccontando una storia con parole semplici che si può contribuire a far emergere pensieri, riflessioni e condanne.

 

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.

Bene, gatto. Ci siamo riusciti – disse sospirando – Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante – miagolò Zorba – Ah sì? E cosa ha capito? – chiese l’umano – Che vola solo chi osa farlo – miagolò Zorba

Tutto ha inizio quando Kengah, una giovane gabbiana, si tuffa insieme al suo stormo nel mare, pronta ad azzuffare un bel banco di arringhe. Purtroppo, però, al momento di volare via, Kengah si attarda e viene avvolta da qualcosa di scuro e appiccicoso, una distesa orribile di petrolio che si attacca senza tregua al suo piumato, impedendole di spiccare un volo adatto. Kengah tenta in tutti i modi di raggiungere il suo stormo, ma riesce meramente a raggiungere la terra ferma, dove stremata crolla su un balcone di una casa di Amburgo. Qui viene trovata da un gatto nero e grande, Zorba, al quale chiederà un aiuto. Kengah, infatti, prima di morire depone un uovo, affidandolo al gatto sul rispetto di tre solenni promesse: non mangiare l’uovo, averne cura fino alla nascita del piccino e, soprattutto, insegnargli a… volare.

Zorba accetta, e corre subito dai suoi amici gatti, per chiedere aiuto. Purtroppo, però, la sorte della giovane gabbiana è già decisa, a causa dell’opera impietosa dell’uomo. Zorba, con l’aiuto di altri gatti strani ma ugualmente divertenti, e di una “Enciclopedia”, si impegnerà per far in modo di rispettare perfettamente le promesse. Assegnerà un nome alla bella gabbianella, Fortunata, e si prenderà effettivamente cura di lei.

Il tema principale di questo libro è quello della paura per il diverso.

Solo attraverso la collaborazione e il riuscire ad amare e rispettare chi è profondamente diverso da noi si può realizzare qualunque sogno, “vola solo chi osa farlo”.


Un altro valore di fondamentale importanza che troviamo in questo racconto è la condanna dell’azione spregevole e devastante perpetrata dell’uomo nei confronti dell’ambiente, incurante dell’importanza della cura del proprio pianeta e di ogni altra forma vivente.

 

  

Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico.

Gli amici si danno man forte, si insegnano tante cose, condividono i successi e gli errori. Quando gli amici sono uniti, non possono essere sconfitti. I veri amici condividono il meglio che hanno.

 

Il giovane Max è cresciuto insieme a Mix, un gatto dall’austero profilo greco, fedele compagno di mille avventure che, se combina un guaio, si sdraia a pancia su e viene subito perdonato. Invecchiando, Mix perde la vista ed è costretto a rinunciare alle sue abitudini di agile e indipendente gatto di città. Fino a che non incontrerà Mex, un furbo topolino che decide di “prestargli gli occhi” e di raccontargli il mondo oltre la finestra dell’appartamento: il limpido e trasparente cielo in primavera, il viavai dei tedeschi in bici la mattina, i fiori che timidamente iniziano a sbocciare dalle aiuole e “sembrano deliziosi fiocchi di cereali”. Come Max e Mix, anche il gatto e il topo, alla faccia della proverbiale inimicizia, diventeranno inseparabili.

 Ancora una volta il tema principale è il racconto di un legame che nasce nella differenza non limitandosi a superarla, ma rendendola un punto di forza.

 

Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa.

La minuscola sardina non attacca un’altra sardina, la lenta tartaruga non attacca un’altra tartaruga, il vorace pescecane non attacca un altro pescecane. A quanto pare gli uomini sono l’unica specie che attacca i propri simili, e non mi piace questa cosa che imparai da loro.

 

Da una conchiglia che un bambino raccoglie su una spiaggia cilena, a sud, molto a sud del mondo, una voce si leva, carica di memorie e di saggezza.

È la voce della balena bianca, l’animale mitico che per decenni ha presidiato le acque che separano la costa da un’isola sacra per la gente nativa di quel luogo, la Gente del Mare.

Il capodoglio color della luna, la creatura più grande di tutto l’oceano, ha conosciuto l’immensa solitudine e l’immensa profondità degli abissi, e ha dedicato la sua vita a svolgere con fedeltà il compito che gli è stato affidato da un capodoglio più anziano: un compito misterioso e cruciale, frutto di un patto che lega da tempo immemore le balene e la Gente del Mare.

Per onorarlo, la grande balena bianca ha dovuto proteggere quel tratto di mare da altri uomini, i forestieri che con le loro navi vengono a portare via ogni cosa anche senza averne bisogno, senza riconoscenza e senza rispetto.

Sono stati loro, i balenieri, a raccontare finora la storia della temutissima balena bianca, ma è venuto il momento che sia lei a prendere la parola e a far giungere fino a noi la sua voce antica come l’idioma del mare.

In questa breve storia si dà ancora una volta importanza alla preservazione dell’ambiente, al rispetto della natura e alla difesa delle diversità.

Temi per cui Luis ha sempre lottato nella sua vita partecipando attivamente alle azioni in difesa dell’ambiente da parte degli equipaggi di Greenpeace.

 

 

Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà.

Crescemmo insieme nelle brevi estati e nei lunghi inverni australi. Insieme imparammo dal vecchio Wenchulaf che la vita va accolta con gratitudine. Così, per esempio, il piccolo Aukaman ed io lo guardavamo con rispetto quando prendeva una pagnotta e, prima di tagliare le fette per Kinturray e per sé, ringraziava il Ngunemapu per quel cibo offerto dalla terra.

La storia parla di Aukamañ e Aufman, un cucciolo d’uomo e un cucciolo di cane cresciuti come fratelli nella comunità Mapuche, la Gente della Terra. Dopo anni, Aufman, il cui nome significa leale e fedele, viene strappato al suo amico e gli viene affidata una missione: dare la caccia a un misterioso fuggitivo, che si nasconde al di là del fiume.

Nel racconto Sepùlveda riesce con estrema semplicità a sottolineare quanto sia fondamentale la libertà di tutti, riuscendo attraverso questa tenera favola ad insegnarci l’importanza di non negare a nessuno i propri diritti essenziali.

L’ambiente e la sopravvivenza delle comunità indigene sono temi purtroppo molto attuali soprattutto in Sud America, continente natale di Sepùlveda.

 

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza.

Un vero ribelle conosce la paura ma sa vincerla.

Il prato che cresce attorno all’albero del calicanto si chiama Paese del Dente di Leone. Nel Paese del Dente di Leone vive una bella comunità di lumache. Come tutte le lumache, anche queste sono lente, molto lente, e conducono la loro esistenza lentamente e silenziosamente, senza nemmeno chiamarsi per nome. Già, perché le lumache non hanno un nome. Tra di loro si chiamano semplicemente “lumaca”. Tutto il giorno, tutti i giorni, da che ne hanno memoria, e sempre molto lentamente.

Ma perché non avere un nome? E perché tutta questa lentezza? Perché è così importante andare lenti? Se lo chiede spesso una lumaca diversa da tutte le altre, che mal sopporta il non avere un nome e il non sapere cosa ci sia al di la del nastro asfaltato che delimita il Paese del Dente di Leone. Così un giorno, nonostante la disapprovazione delle compagne, la lumaca parte per un viaggio alla ricerca del proprio nome e dei motivi per cui essere lenti è così importante.

Ultima ma non per importanza, questo inno alla riscoperta della lentezza, divenuta al giorno d’oggi un’illusione per una società frenetica e senza sosta dove veloce è sinonimo di migliore.

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