24 Novembre 2024

Pirati dei Caraibi – La Maledizione del Forziere Fantasma

Jack Sparrow è alla ricerca del forziere di Davy Jones, prezioso scrigno dove all’interno è conservato il suo cuore. Il recupero è necessario a Jack per poter porre fine al patto stretto con il capitano dell’Olandese Volante tre anni or sono: la sua anima in cambio della Perla Nera. Nel frattempo Will ed Elizabeth devono pagare lo scotto per aver aiutato il famigerato pirata, con la sua ciurma, ad evadere dalla prigionia e conseguente pena di morte, gesto che li ha portati ad avere a che fare con Lord Cutler Beckett, neo rappresentante della forza della marina britannica e della colonia delle Indie Orientali con base a Port Royal, anch’egli interessato alla ricerca del forziere per fini tutt’altro che nobili. Si assiste ad un lento, ma incontrollabile cambio di valori nel mondo della pirateria, un passaggio cruciale che vede schierate le forze del bene e del male sulla scacchiera dei mar dei Caraibi.


Ogni personaggio in questo film vuole Jack Sparrow, il pirata senza bandiera, oltre che senza alcun senso civile, della morale, della decenza e dell’igiene, ma dal cuore tenero, è l’oggetto del desiderio posto al centro del secondo capitolo diretto da Gore Verbinsky, a cui si deve la prima trilogia della saga marinaresca le cui origini vanno ricercate in un’attrazione esotica nei parchi a tema Disney. Sparrow è una calamita non solo per mirabolanti avventure con improbabili scappatoie, solitamente rappresentate da una fuga arrembante di fronte al pericolo, ma attrae uomini e donne nel vortice senza regole con cui affronta la sua vita da pirata. E’ un outsider tra gli outsider, non è prevedibile e tanto meno un abile stratega, sfrutta ogni sua possibile influenza per ottenere un risultato concreto, ma non riesce mai ad andare fino in fondo se si tratta di mettere in pericolo quei (pochi) compagni che lo seguono in lungo e in largo. Johnny Depp è perfetto nei panni sporchi, ma dal fascino irresistibilmente volgare, di un protagonista romantico totalmente alieno alla rappresentazione realistica del periodo storico in cui vive, ma al contrario di quanto avviene nel capitolo capostipite della serie dove Jack era un’incognita al limite del tollerabile per le convenzioni del tempo, un pirata ambiguo sia sul lato politico che su quello sessuale, qui gioca tutto a favore della personalità plastica di un (anti)eroe perfetto nel saper dare il via a quei sogni proibiti ed egoistici che tracciano un forte parallelismo tra la vita e la libertà: essere pirata non è sinonimo di azioni malvagie o atti punibili con la prigionia, è l’unico modus vivendi attraverso cui l’essere umano possa tornare a riabbracciare una posizione di libertà che lo pone al di sopra di ogni legge scritta sia terrena che religiosa.

La Maledizione del Forziere Fantasma gioca considerevolmente sul contrasto tra ciò che tiene i personaggi contornati in un mondo in estinzione, fatto di leggende e mostri, in contrapposizione al lento avanzare di una civiltà vuota, priva di pulsioni naturali, giuste o sbagliate che siano, piegata ai burocrati ed alle regole. E’ un dichiarato assalto indirizzato all’ordinario che vuole affondare ogni aspetto del mondo straordinario, Verbinsky allestisce una maestosa pittura per rimarcare la bellezza che può suscitare la meraviglia dell’impossibile attraverso il filtro dell’intrattenimento: non è infatti la figura dell’Olandese Volante a stridere con la poetica di questo mondo, ma l’entrata in scena di un esercito della marina di sua maestà il re a contaminare un ritratto in cui vivono in armonia il fantastico ed il verosimile.

E’ un tour de force dove su più piani si lavora per giustificare gli intrecci che sono inseriti ad incastro in un meccanismo capace di complicarsi sempre di più, riprendendosi a buon diritto set e scenografie viste ne La Maledizione della Prima Luna per poi prendere il largo per approdare su lidi sconosciuti e inenarrabili. Dead Man’s Chest ha tutto quello di cui non ha potuto godere il predecessore: una trama più matura, effetti speciali più curati, una colonna sonora barocca e rumorosa i cui temi hanno fatto breccia nell’immaginario, ed una risoluzione narrativa drammatica al limite dell’eccesso.

Il capitolo di mezzo respira con i propri polmoni ed attinge ad un compendio leggendario senza sovraccaricare i propri contenuti, inserendo una nemesi differente dall’Hector Barbossa di Geoffrey Rush: mentre l’ex primo ufficiale della Perla Nera arraffava bottino per porre fine alla temibile maledizione del tesoro Atzeco, il Davy Jones di Bill Nighy muove i suoi tentacoli tra onde più insidiose, virando la sua vita all’eterna ricerca delle anime dei morti in mare per dare a questi un’ultima possibilità di sopravvivenza da pagare con un prezzo elevato: cento anni sotto il suo comando sull’Olandese per posporre il giudizio finale. Jones è un traghettatore corrotto, deviato e punito dall’amore verso una donna (la cui identità si scoprirà essere la dea Calypso), sofferente anima dannata relegato a ruolo di Caronte, il rovescio della stessa medaglia dove recto e verso hanno le fattezze di quest’ultimo e del famigerato Jack. 

La regia di Verbinsky fa del mare un deserto western pronto a declinare su toni crepuscolari dall’impronta leoniana, dove al virtuosismo si predilige una staticità nelle immagini accompagnate sempre da una messa a fuoco precisa sui volti dei protagonisti. La fotografia che vira sul verde, colore che richiama i fondali marini così come le alghe di cui è composto l’Olandese, conferisce la sensazione che la minaccia sia tangibile e totale, che non si possa scappare o farla in barba ad un signore del mare come Jones, egli stesso pronto ad indossare sul proprio capo un tricorno il cui profilo assume le fattezze di una corona di molluschi e conchiglie.

I Pirati dei Caraibi trovano una formula efficace, film per ragazzi che si traveste da pellicola per adulti, scherzo fatto sotto coperta da un regista appassionato di cinema di genere che sembra voler affondare la propria visione del mondo della settima arte nel fianco di una delle major più famose dell’industria cinematografica: la Disney. Questo secondo atto, la cui chiusa dimostra un coraggio non da poco avviando la conclusione dell’epopea ad un terzo capitolo necessario, è cosparso di omaggi e richiami evidenti che non hanno, ma nemmeno chiedono, alcuna ogni logica visiva, ma sfruttano appieno ogni risorsa e circostanza, al cui interno ci sono uomini e donne cacciatori di tesori e reliquie maledette contraddistinti da una passione ardente, la stessa bramosia che abbiamo già visto al cinema negli occhi di icone intramontabili. Sparrow è un Indiana Jones alla ricerca del Graal, un Tuco analfabeta di fronte alla tomba senza nome nel cimitero de Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, un Lawrence d’Arabia senza patria che agogna di arrivare a toccare un sogno irrealizzabile, disilluso demiurgo che struttura la materia del reale in un arcipelago immateriale di situazione incontrollabili ed impossibili da gestire a sua insaputa.


La Maledizione del Forziere Fantasma è un inciso preparatorio ad un finale che purtroppo non riuscirà a mantenere quella compostezza appagante, perdendosi in dettagli e complicazioni non necessarie ed evitabili. Le premesse per fare una conclusione solida qui ci sono tutte e tanto basta. Johnny Depp nel giocare con il fato viene “tradito” a morte dall’alleato meno prevedibile e più cinico: Elizabeth, unica donna in un triangolo maschile non ancora pronta ad abbracciare la natura di pirata e l’essenza della pirateria stessa; sul ponte della Perla Nera, ormai distrutto dalla forza devastatrice del Kraken di Jones, Sparrow è costretto a scegliere, sottrarre il proprio ego e a dimostrare che le leggende attorno alla sua persona sono un’aberrazione cromatica necessaria a proteggere la sua vera indole generosa.

Gli eroi e l’eroine dei Caraibi si lanciano contro le difficoltà insormontabili dell’oceano con la stessa dose di follia con cui Ahab si scaglia contro la balena bianca, sono nature irrequiete non ancorate ai dettami della modernità, figli e figlie di un Dedalo degli abissi dove al sole si preferisce di gran lunga fare un volo pindarico verso le profondità del mare, nel silenzio e nell’oscurità del blu in cui ogni uomo fa i conti con se stesso e con la giustizia divina che ha il volto di Davy Jones. Il tono epico della grande letteratura americana segue la rotta dei kolossal del passato, gli elementi per fare di questo intrattenimento mainstream un prodotto trovano forza l’uno dall’altro e vengono alla luce, accompagnati da un allestimento scenografico e visivo maestoso e imponente. Chiamatelo pure capitano perché, per chi crede a queste storie, Jack Sparrow è al timone di una nave delle meraviglie dalla cui coffa lo sguardo si può perdere in un oceano dove naufragare significa sognare ad occhi aperti.

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Claudio Fedele

Nato il 6 Febbraio 1993, residente a Livorno. Appassionato di Libri, Videogiochi, Arte e Film. Sostenitore del progetto Uninfonews e gran seguace della corrente dedita al Bunburysmo. Amante della buona musica e finto conoscitore di dipinti Pre-Raffaelliti.
Grande fan di: Stephen King, J.R.R. Tolkien, Wu Ming, J.K. Rowling, Charles Dickens e Peter Jackson.

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