Recensione di How I Live Now
How I Live Now rappresenta una nuova sfida per il regista Kevin Macdonald, già dietro la macchina da presa per il famoso L’ultimo Re di Scozia, State of Play e The Eagle nonché vincitore di un premio Oscar per il miglior documentario nel 2011; Abbandonato il lungometraggio a stampo storico, spionistico/giornalistico e thriller, il figliol prodigo scozzese decide di cimentarsi, dunque, in una pellicola appartenente al genere apocalittico, ambientandola in un futuro prossimo non tanto però lontano dall’odierno presente. Un solo vero nome vanta una certa risonanza e rilievo a livello mondiale ed è quello della giovane Saoirse Ronan, la piccola Briony Tallis in Espiazione di Edgar Wright, la dolce quanto sfortunata Susie Salmon in Amabili Resti di Peter Jackson, la temibile assassina in Hanna. Prendendo spunto dal romanzo di Meg Rosoff, Macdonald tenta di portare alla luce una storia il cui tema principale è quello della guerra e delle nefaste conseguenze che essa comporta.
Daisy, orfana di madre, è una adolescente insicura e ribelle che viene mandata dal padre in Inghilterra, dai cugini e dalla Zia, dagli Stati Uniti, per una vacanza estiva. Le giornate passano tranquille e superati i primi attriti, le nuove conoscenze ed i disagi, Daisy scoprirà non solo che il posto in cui vive le piace, ma che è sempre più attratta dal cugino Edmond. A rompere questo bucolico scenario vi è, tuttavia, il terribile scoppio di una guerra mondiale, che spazzerà del tutto la felicità della famiglia inglese e allontanerà la giovane americana dal resto del gruppo, costringendola a lottare per riottenere quello che iniziava ad amare: una casa, un ragazzo e tutta la serenità a cui un adolescente possa fare appello.
Ad un primo impatto sembra che l’unico motivo concreto per cui Macdonald si sia scomodato (ed abbia scomodato attori e troupe) a realizzare questo lungometraggio vada cercato nella ricerca di catturare la bellezza della natura, delle foreste, dei boschi nella campagna inglese mettendola in contrasto con i sobborghi e le brutalità di cui è capace l’uomo. A voler essere pignoli pare che il regista cerchi di cogliere nei raggi di sole, nelle foglie, nei ruscelli o nelle pianure quella bellezza artistica quasi pittorica che tempo addietro Trier era riuscito a conquistare nel film Melancholia. Eppure, laddove Lars von compiva un lavoro eccellente sotto tutti i punti di vista (amalgamando beltà a inquietudine), qui non si può dire che il prodotto finale sia del tutto soddisfacente, poiché il grande problema di How I Live Now (la cui data di rilascio in Italia è ancora sconosciuta) è quello di avere una trama o sceneggiatura così debole che anche laddove la fotografia e le scenografie cercano di mettere in risalto la pellicola, questa risulta sempre scialba, scadente, prevedibile ed a volte senza senso. Ci sono personaggi solamente accennati, che sarebbero dovuti entrare in scena, ci sono attori chiamati in causa solo per approfondire appena alcuni aspetti psicologici della protagonista e che poi, purtroppo, vengono fatti sparire e a pellicola terminata gettati nel completo oblio; ci sono, inoltre, storie davvero imbarazzanti che non riescono ad essere credibili e a stare in piedi da sole se a queste si applica un certo rigore logico: la cugina che viene da oltre oceano si innamora perdutamente del (bel) cugino inglese il quale ricambia il sentimento senza tante domande e senza porsi alcun problema, ma che persino sprona quest’ultima affinché l’amplesso si compia! Forse è questo l’aspetto peggiore dell’intera produzione, ovvero di voler inserire la componente amorosa in un film che vuole mettere in risalto due condizioni umane e che alla fine dei conti risulta totalmente fuori luogo, assurda e beffarda; risultato di un lavoro fatto veramente in modo superficiale e che si adatta ai canoni delle più squallide love story. Non c’è niente di male ad inserire una storia d’amore tra due membri della stessa famiglia e non sarebbe un qualcosa di nuovo nell’infinito panorama cinematografico, tuttavia a patto che ciò sia ben analizzato o decentemente approfondito con tutti i suoi aspetti negativi o positivi, ma principalmente che sia realistico e non stereotipato.
La guerra è poi un elemento veramente poco sfruttato: accennata e usata solo come espediente per allontanare i due neo innamorati, quest’ultima non viene nemmeno lontanamente presa in considerazione in modo serio, ma Macdonald decide di regalare allo spettatore tutto un campionario di scene e desolazione a cui ormai persino un giovane di 10 anni è abituato a vedere e che non fanno alcun effetto, né aumentano in modo netto il dramma o la tragica atmosfera della vicenda narrata. L’unica nota positiva è che l’aspetto estetico qui è ancora maggiormente privilegiato, mettendo in contrasto la luminosità della natura e la serenità dell’uomo con la brutalità e l’oscurità che portano i conflitti.
Per quanto riguarda gli attori è senza dubbio da apprezzare la performance di Saoirse Ronan, ormai cresciuta, sempre più bella, brava e pronta a mettersi alla prova, qui attraverso una scena di sesso molto soft ma che evidenzia il coraggio e la voglia di recitare della giovane irlandese. Il resto del cast rimane su livelli standar, soprattutto a causa della musa di Edgar Wright che fa indubbiamente piazza pulita di talenti e non riesce ad essere eguagliata da nessuno dei giovani attori coinvolti sulla scena.
How I Live Now era già un film che partiva svantaggiato, ma che aveva tutte le premesse di essere un buon lavoro, su cui far riflettere gli spettatori e sorprendere anche i più scettici. Sebbene tecnicamente non sia da buttare l’opera ultima di Macdonald, la sceneggiatura è tanto deludente e piena di lacune che mette sotto cattiva luce tutto quel che di buono può essere pescato da una pellicola come questa. La storia d’amore tra gli stessi membri della famiglia, i problemi e le insicurezze della giovane Daisy mal affrontati durante tutto il lungometraggio, i personaggi abbozzati, stereotipati e dimenticati qua e là portano a non promuovere How I Live Now se non per quanto è stato fatto per ciò che concerne la fotografia, davvero buona, le scenografie e la performance della Ronan ormai attrice affermata che da prova del suo talento troppo spesso dimenticato dal cinema e dagli autori internazionali. Ma tutto questo non basta e per fortuna, possiamo dire sinceramente, che “l’odissea” di Daisy per tornare a casa (unicamente per riabbracciare il suo Edmond) dura solo un ora e mezzo e quel poco di decente che si può trovare in questo film rimane, forse, nella scena finale, dove Macdonald ha il coraggio di far concludere una storia in un modo imperfetto e giusto.
Claudio Fedele
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