A inaugurare la nuova Stagione Danza 2019/2020 del Teatro Verdi di Pisa, scelta dal direttore artistico Silvano Patacca in collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo Onlus, è stata la compagnia vicentina Naturalis Labor di Luciano Padovani, che ha portato in scena in una prima nazionale Cenere Cenerentola, lo scorso sabato 9 novembre.
La Cenerentola di Padovani è però tutt’altro che disneyana e lontana dalla celebre fiaba dei fratelli Grimm. Tutto è grigio, cupo e cinereo. Le donne sono alla mercé degli uomini che abitano un sobborgo minerario dickensiano, come la celebre Coketown di Hard Times- For This Times. Il fumo avvolge e sovrasta un tappeto di cenere sopra il quale novelle cenerentole, con lunghi abiti pastello, si uniscono in una vorticosa danza con i loro principi-minatori.
L’amore però è aggressivo e opprimente. L’incanto del primo incontro, le illusioni di un happy ending sono da subito disattese. Un’attrazione malsana che trasforma il rito del corteggiamento in un susseguirsi di fughe e rapimenti, alternate a più morbide e armoniose gestualità quasi di abbandono all’altro, che mostrano una forte tecnica dei danzatori e un sapiente controllo del corpo. I danzatori si fronteggiano in una danza intensa, ritmata e primordiale. E subito prendono forma i ricordi delle numerose vittime di femminicidi che ancora oggi, purtroppo, occupano le prime pagine di cronaca nera. Fino a quando il quintetto di donne, compatto e in perfetta sincronia, si allea e si ribella. Una sequenza di grande impatto visivo che ha come modello ispiratore la drammatica coreografia Le Sacre du printemps di Pina Baush, dove il rito sacrificale violento e impetuoso, si compie sopra una distesa di terra.
Le scarpe sono lanciate da ogni parte della scena sopra le quali, le sventurate cenerentole, cercano di calzare la “scarpetta di cristallo” avidamente ambita, ma senza successo. Zoppicanti e coperte di cenere, tentano allora di ritrovare il loro equilibrio. Ed è qui che, ancora una volta, emerge la forza delle donne. Senza perdere la speranza, cadono e si rialzano in un flusso continuo e ciclico interrotto da un gesto liberatorio: una danzatrice si sfila definitivamente le scarpette. Solo così le donne possono finalmente rinascere dalle loro ceneri, come leggendarie fenici.
Non ci sono fate turchine a cancellare questa violenza o a trasformare i topolini in altezzosi cavalli e zucche in splendide carrozze. Noi siamo voyeur inermi di questi amori malsani. Noi siamo spettatori complici di una grande forza, la Resilienza.
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