Il professor Lamberto Giannini può a pieno titolo essere considerato una sorta di istituzione a Livorno, avendo sempre fatto parlare di sé in diversissimi ambiti, da quello artistico a quello politico.
Quel 25 aprile 1962 che gli diede i natali si rivelò profetico ed emblematico per la successiva presa di posizione politica del professore, che si dichiarerà sempre apertamente e veracemente comunista.
Giovanissimo recita in una compagnia di clown e opera in comunità terapeutiche e carcere.
A 27 anni si iscrive al corso di laurea in Pedagogia che conseguirà con il massimo dei voti. Dopo la laurea si afferma come pedagogista scrivendo anche diversi libri di interesse scientifico ed inizia ad insegnare come professore di Storia e Filosofia nei licei.
Nel 1997, insieme allo psicologo Pier Giorgio Curti, avvia il progetto ‘Mayor Von Frinzius’, compagnia teatrale composta da attori disabili e non, che quest’anno riceverà il Gonfalone dalla Regione Toscana, massimo riconoscimento regionale.
Nel 2009 a Livorno, si candida in Consiglio Comunale con Sel dove è presidente della commissione cultura. Carica da cui si dimette dopo tre anni quando Sel esce dalla maggioranza, continuando comunque l’attività di consigliere comunale fino al 2014.
Attualmente fuori dalla bagarre delle elezioni, sosterrà però attivamente la candidatura a Sindaco di Marco Bruciati.
Buonasera Lamberto, per prima cosa vorrei che tu mi parlassi dell’esperienza fatta in Consiglio Comunale insieme a Sel nella stagione 2009-2014.
Se dovessi fare un bilancio dell’esperienza la considererei ottima dal punto di vista emotivo. Ottima perché mi ha dato modo di conoscere gruppi e angoli di città di cui mai avrei scoperto l’esistenza.
L’esperienza di consigliere comunale è totalizzante, in Comune la gente viene non è come in Provincia, non è come in Regione, non è un ente astratto ma un ente che ha forte contatto col cittadino ed il territorio, a cui il cittadino ed il territorio si rivolgono. E quindi, sotto questo profilo è stata un’esperienza che mi ha dato tanto.
Da un punto di vista politico invece è stata devastante perché la scelta iniziale di stare in maggioranza col Partito Democratico, che mi aveva già visto molto scettico, si rivelò fallimentare visti i contrasti che da subito si ebbero con Cosimi, che portarono poi al 2011 e quindi alla rottura. Dopo la rottura mi sono divertito.
Sono risceso in campo alle regionali del 2015, dove ho ottenuto un buon risultato personale, ma tutto sommato, visto ciò che è successo alla sinistra nel 2008, anche nella lista.
Perché nel 2012 usciste dalla maggioranza?
Intanto c’erano state delle difficoltà nella gestione di Livorno: eravamo in dissenso sull’ospedale e su come stava per essere progettato il piano regolatore, quindi su elementi importanti. Poi ci fu la crisi del Caprilli, dove io ero presidente di commissione e mi dimisi dando il via al processo che portò alla rottura in maggioranza. Non potevo fare altrimenti perché avevamo dato delle garanzie alla città sulla gestione del Caprilli e sul trattamento dei lavoratori che stavano per essere disattese dalla giunta. Inoltre quando nel 2011, dopo la caduta del Governo Berlusconi e la formazione del Governo Monti -a mio avviso il peggiore della storia della Repubblica, che rivedendo l’art.81 ha reso di fatto vana la costituzione -, il Partito Democratico lo sostenne, non ho più ritenuto possibile una collaborazione con quel partito. Una collaborazione con un partito che ha sostenuto la legge Fornero, non fu più possibile allora, e credo che non lo sarà mai più.
La destra fa paura, vince dappertutto e si teme possa prendere anche Livorno. Stando ai dati però, non è mai stata così debole (Maurizio Zingoni 2004- 25%, Marco Taradash 2009- 28,3%, Andrea Romiti – secondo i sondaggi di Qui Livorno- 19%). Quindi non è la destra ad essere tanto più forte, quando la sinistra ad essere più debole. La debolezza deriva dalla sua frammentazione? Ti senti in qualche modo colpevole di questo?
No, non mi sento assolutamente colpevole. Vero è che stiamo assistendo al fatto inconsueto che la destra con meno voti possa comunque sfruttarli per portare il candidato Sindaco al risultato. Il 28% di Taradash è stavo vano, mentre oggi con un 28% si potrebbe tranquillamente essere la coalizione in testa.
Se la sinistra è frammentata e debole la colpa è solo e soltanto di chi, sotto l’egida e il nome della sinistra, ha fatto cose palesemente di destra, perdendo la propria identità e il proprio elettorato.
La candidatura di Romiti, spero di non sbagliarmi, mi sembra una candidatura debolissima, e sopratutto di un esponente non leghista. Questo mi fa pensare che la Lega, il partito italiano di destra più forte, non ha puntato troppo su Livorno.
E a chi ritiene la presenza di giovani nelle liste a sostegno di Marco Bruciati ingombrante e strumentalizzata cosa rispondi?
Ma guarda, io non vedo ne troppi vecchi, ne troppi giovani, vedo tanti bravi, nient’altro. Ed è un bene che questi siano giovani. Sono anni che la politica dice: “Largo ai giovani, largo ai giovani” e poi vedo la lista del Partito Democratico e altre liste, e di questo largo ai giovani nemmeno l’ombra. Nel caso di Bruciati invece non è solo slogan, è realtà.
Poi è chiaro, se si pensa di vincere mettendo gente giovane ci si sbaglia, si vince mettendo gente brava, ma per questo in area Potere al Popolo/Buongiorno Livorno posso dirmi più che fiducioso.
Elettore che guarda a sinistra: a Livorno si trova davanti diverse scelte per il sindaco, le cui principali sono Salvetti e Bruciati. In città si avverte un po’ la tendenza a vedere, se non sul piano ideologico almeno su quello programmatico, i due leader come sostanzialmente identici. Quindi: differenze tra un Salvetti e un Bruciati?
I programmi dei due leader sono sostanzialmente diversi. Ed è inoltre diversa la possibilità di incidenza, di interlocuzione, ma sopratutto di credibilità. Se qualcuno vuole far credere che siano simili sta giocando sporco e sicuramente viene da una determinata parte politica.
C’è una parte politica, ovvero il Partito Democratico, che ha tutta la convenienza a far credere alla città che il loro programma sia simile al programma di Marco Bruciati. Li differenzia in primis un discorso di credibilità: con che credibilità il Partito Democratico potrà andare a stabilire nelle gare d’appalto del comune alcune tutele ai lavoratori? Se si mette quel tipo di tutela ai lavoratori si va contro la storia del Partito Democratico che ha governato, e che è sostanzialmente quello attuale.
Ci sono visioni completamente differenti anche sulla portualità e sulla dimensione della sicurezza. La visione di sicurezza in area Salvetti è ancora legata ad uno schema di controllo del territorio, meno potente di quello propinato dalle destre, ma comunque della stessa natura; mentre l’idea di sicurezza che viene dal nostro tipo di sinistra è improntata sul far vivere il territorio. Se un territorio è vivo, ricco, pieno di feste, di movimento, vissuto, partecipato, diventa un territorio sicuro.
Inoltre il sindaco è chiamato a prendere posizioni che riguardano il livello regionale e il livello nazionale. Non è che io voglia per forza fare una campagna contro il Pd, basta che però non si dica che stiamo proponendo la stessa cosa, perché così non è. Il gioco che sta facendo l’area Salvetti forse è questo: mostrare la nostra inutilità dicendo che siamo la stessa cosa, quando in realtà siamo radicalmente alternativi.
Si sente spesso dire che voi in certo senso “giustificate” l’occupazione abusiva per il principio secondo cui “là dove la politica fallisce i cittadini è giusto che si prendano quello che gli spetta, in quanto il diritto alla casa è inalienabile”. Avete effettivamente questa visione? Se sì, spiega.
Non siamo noi a dirlo, è la costituzione italiana. La Costituzione italiana dice che le persone hanno diritto alla casa quindi, io non è che sia a favore dell’occupazione abusiva, ci mancherebbe, ma nella vita bisogna scegliere. Se ci troviamo di fronte alla scelta: far dormire delle persone per strada perché la politica non ha saputo dare risposte o riconoscere una dose di incolpevolezza nelle loro azioni e giustificarle, scelgo la seconda. Il grande problema della sinistra riformista è che non ha ancora capito che legalità e giustizia sono due termini diversi: ciò che è legale non è detto che sia giusto. E non sto perorando un spinta verso l’illegalità, ma se non ci fossero stati i partigiani che si mossero nell’illegalità questo paese non sarebbe stato libero. I partigiani si mossero per la giustizia.
Darsena Europa: progetto originale o ripensata in una versione ridotta? Perché?
Questo è da valutare: vedere pro e contro e non avere pregiudiziali. Il programma è stato scritto, ma non è stato scritto sulla pietra. Non è stato scritto sulla pietra perché ci sono delle dinamiche e delle mediazioni da fare in itinere. Teniamo ben presente che il porto è un soggetto delicato che richiede molto attenzione. Questa città senza il porto muore. Nessuno può avere la presunzione di entrare nell’amministrazione comunale e imporre la propria visione di porto. La visione di porto è una visione che va mediata fra tutte le forze in campo quindi è ancora presto per dire la parola definitiva sull’argomento.
Marco Bruciati sindaco come intende creare lavoro in città? Attirare capitali da fuori, stimolare chi ha i soldi in città? Scommettere sulle tradizionali vocazioni di Livorno o su potenziali vocazioni che la Livorno del domani potrebbe avere?
Nessuno ha una bacchetta magica. Quindi Bruciati Sindaco non è che farà sparire i problemi dall’oggi al domani, secondo me però attenuerà i problemi. Il problema è questo: Livorno non sta male solo per la crisi del 2008. Livorno è una delle città che hanno avvertito maggiormente l’impatto della perdita delle partecipazioni statali. E un ritardo sul piano regolatore del porto ne ha frenato e ostacolato l’ammodernamento facendo perdere competitività all’intera città. Il piano regolatore del nostro porto che è stato mandato in pensione da quello attualmente vigente nel 2015, era del ’53, e questo è tutto dire.
La vera scommessa è non perdere le vocazioni, non andarsene ad inventare di nuove. Livorno una città turistica? anche! Ma non possiamo convertirla solo al turismo, semplicemente perché non ha questo tipo di vocazione.
Livorno ha delle vocazioni importanti da valorizzare, come quella degli operatori culturali. Potrebbe benissimo essere un centro di aggregazione sociale di arte e cultura. Una sorta di piccola Parigi che attiri pittori, scultori, teatranti. Lavoro complesso da gestire che metterebbe in difficoltà molte altre città. Ma non Livorno. Livorno questo ce l’ha nel dna, ha una capacità infatti di investire in cultura da non sottovalutare.
Il punto nodale deve però restare il porto, tutto si gioca lì. L’industria è una stagione che ormai vedo purtroppo tramontata. Si poteva lottare di più certo, ma ormai le scommesse sono altre. Sopratutto perché un Sindaco può farci ben poco. Sicuramente prima o poi un reindustrializzazione di questo paese andrà pensata, ma un Sindaco da solo può farci veramente poco. E’ una lotta importante che deve portare avanti il Governo con l’Unione Europea, perché la deindustrializzazione è stata una desertificazione in Italia.
Porta a porta targato Movimento Cinque Stelle. Cosa ne pensi?
Io ritengo che non si possa tornare troppo indietro,anche perché la direzione dell’aumento della percentuale di rifiuti differenziati è una direzione sacrosanta. Il limiti del porta a porta cittadino sono quelli di una gestione ideologica fatta senza tenere conto di determinate dinamiche della città. Questo vuol dire non conoscere la struttura sociale di Livorno e pensare di poter indurre un cambiamento perché te pensi che il mondo debba essere così.
Lo stesso discorso è avvenuto per gli stalli blu.
A proposito degli stalli blu (ora gestiti da Tirrenica Mobilità s.c.): Marco Bruciati sostiene a gran voce l’internalizzazione del servizio. Vantaggi di questa operazione?
L’internalizzazione a nostro avviso è solo un vantaggio. I profitti prodotti in questo modo vanno all’interno e vengono redistribuiti e reinvestiti sul territorio, nel sociale e nei bisogni della città.
L’ultima domanda a concludere è di carattere più generale:
Tutto quello che c’è a sinistra del PD, viene visto -forse erroneamente- come ideologico e a tratti velleitario. Non ritieni a questo proposito rischiosa la battaglia che Pap e altri movimenti fanno al capitale. Il capitale odierno a volte è più potente della politica nazionale, è internazionale, fluido. Arriva nei posti, li sventra e se ne va lasciandosi dietro il deserto. Mette le nazioni l’una contro l’altra e le costringe a farsi concorrenza con dumping fiscale per attirare investitori.
E’ in grado di ricattare la politica nazionale e ancor di più quella locale.
Ritieni che l’Italia abbia le spalle abbastanza larghe per portare avanti una battaglia del genere?
E’ però una battaglia necessaria.
Si basa tutto su un rapporto di forza: noi dobbiamo lavorare per ottenere un consenso che per ora non c’è e di questo ne siamo consapevoli, ma non è una buona scusa per arrendersi.
Il conflitto col capitale è ancora letto dal mondo purtroppo, come una cosa radical chic di un piccolo gruppo di intellettuali che non ha di meglio da fare. Invece bisogna prendere coscienza che il capitalismo è un cancro. Poi per carità, puoi anche decidere che su un cancro non si possa intervenire perché in quel momento è chirurgicamente impossibile, l’organismo non reggerebbe. Però dialogare con dei gruppi riformisti che magari mi vengono a dire che il capitalismo ha anche un volto buono direi di accantonarla come idea. E’ come dire che il cancro ha un volto buono, non è così, se non ce l’hai è meglio. Poi certo, una volta contratto, si può discutere sulle varie metodologie di lotta.
Quindi qual’è il piano realistico? Creare la presa di coscienza, puro e semplice metodo marxista. Far prendere coscienza alle persone di come potrebbero stare meglio in un sistema diverso. Il sistema diverso di cui parliamo non ha un riferimento storico ai sistemi passati, è un sistema nuovo, perché quello che la scuola di Francoforte ci ha insegnato è che l’errore di Marx è stato vedere la soluzione ai problemi causati dal capitale nel passaggio dei mezzi di produzione dalle mani dei privati alle mani del pubblico. In questo modo se comunque non si cambia il discorso pubblico non cambia nulla, perché il grande potentato diventerebbero i dirigenti pubblici e sarebbero loro a gestire tutto.
Bisogna quindi cambiare il discorso pubblico, quello di cui si parla. Di cosa parliamo: del rigore non dato, del rapporto Cinque stelle-Lega, dell’immigrazione (che a mio avviso non esiste, è una cosa ampiamente gestibile, non è niente), e non si a parla più di un sistema diverso.
Un sistema diverso non solo è possibile, è necessario.
Dobbiamo togliere determinati tabù a parole come comunismo e socialismo. Questo ovviamente non si fa in un attimo e non lo fa Bruciati, ma si avvia. Il nostro è il costituirsi di un percorso di avvio.
Pensate che risonanza potrebbe avere, non solo al livello nazionale, ma al livello europeo, una vittoria di Bruciati.
Livorno diventerebbe un laboratorio di sinistra.
-Intervista di Gigi Annarelli e Enrico Raugi.
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