Il direttore artistico della Stagione Lirica della Fondazione Teatro Verdi di Pisa, Stefano Vizioli, ha raccontato la sua personale visione del teatro oggi, gli aspetti di criticità, ma anche i punti di forza.
Noi abbiamo avuto il coraggio di proporre titoli poco frequenti – spiega Vizioli – come dovere culturale di far sapere che esistono anche altre opere oltre quelle famose[..] La cultura dovrebbe essere sostenuta dal Ministero della Salute, perché la cultura è salute.
Quale idea di teatro è alla base del suo impegno come direttore artistico della Stagione Lirica della Fondazione Teatro Verdi di Pisa?
In quanto direttore artistico della Lirica, per me il teatro è un baluardo di civiltà all’interno di un contesto sociale, non è solo un luogo di divertimento, ma deve assumersi la responsabilità di un impegno civile, sociale e morale. Il teatro deve essere un punto di riferimento per il contesto civile nel quale si contestualizza. Nella scelta dei titoli e nel rapporto con la città prevedo di toccare a “compasso” i punti nevralgici della città non strettamente legati alla competenza musicale o lirica. Recentemente abbiamo realizzato un’opera di Gioachino Rossini intitolata Mosè in Egitto, che tratta di popoli in fuga a caccia di un’identità, ma anche di temi legati alla contemporaneità quali il fondamentalismo religioso e l’intolleranza. In questo caso abbiamo organizzato un convegno sulla figura di Mosè invitando l’Arcivescovo e la comunità israelitica per un confronto su questi temi. Siamo partiti quindi da un’opera di Rossini, ma insito nel titolo ci possono essere tematiche che aggancino l’esperienza cittadina e ne diventino interlocutori.
Il secondo mio scopo è quello di far ascoltare musica “rara”. A marzo faremo La Voix Humane, un’opera di Francis Poulenc su testo di Jean Cocteau, che parla di una donna abbandonata al telefono dal suo compagno (1 e 3 marzo). È un grande monologo sull’abbandono, ma anche una riflessione sull’utilizzo di mezzi altri che non sono più il confronto diretto.
Quanto ha influenzato nella programmazione il contesto cittadino?
Sicuramente il Teatro Verdi è molto aperto nelle proposte dei titoli coraggiosi. Abbiamo una fisionomia importantissima come la figura di Titta Ruffo, grande baritono italiano, che è stata una gloria e lo è tutt’oggi ascoltando i suoi dischi. Seguendo la sua figura abbiamo ricercato dei titoli che ha cantato, per esempio l’Edipo Re, su musica di Ruggero Leoncavallo, scritta per Titta Ruffo che sarà presentato venerdì 1° marzo e domenica 3 marzo, insieme a La Voix Humane. Quest’opera è stata pensata sia come omaggio per il grande baritono, ma anche come modo per far ascoltare titoli poco conosciuti. Il mio motto è “non ti do quello che desideri ma quello che non sai di desiderare”.
Quali sono, secondo lei, le maggiori criticità di un teatro dal punto di vista artistico?
Io credo che lo scollamento con la città possa essere uno dei pericoli più grandi. Inoltre, le aziende private dovrebbero investire di più nel teatro, come art benefit. Il teatro deve essere un’opportunità di investimento, visibilità e partecipazione anche per i privati, riprendendo quell’idea di mecenatismo in cui si donavano soldi al teatro, perché un teatro senza pubblico e senza contestualizzazione nella città è solo un contenitore vuoto.
Un’altra criticità è quella di non considerare la vita culturale di una città come una questione di compartimenti stagni: il pubblico dell’opera, il pubblico dei concerti della Normale, il pubblico della danza, il pubblico della prosa. La cultura è unica. Non ci possono essere queste classificazioni. Eppure, ancora oggi ci sono forme di settarismo classistico fra i generi, chi va all’opera non va ai concerti della Normale. Il teatro deve essere considerato il luogo della città e non come luogo altro. È la casa di tutti e come tale va amata e rispettata.
Quale rapporto c’è tra la tradizione e la contemporaneità, da un punto di vista artistico-culturale?
Non si può parlare di futuro se non si conosce il passato. La tradizione è fondamentale, non va confusa con la routine, che al contrario è pericolosa. La tradizione è una cosa da rispettare, confrontare con i linguaggi alternativi, con la contemporaneità della nostra sensibilità di oggi, che è diversa da quella del pubblico di cento anni fa. Il confronto deve avvenire anche sulla base dell’esperienza acquisita e con i nuovi mezzi di comunicazione. Oggi ci sono molti spettacoli con videoinstallazioni e videoproiezioni. Il mezzo moderno però è un valore aggiunto, non deve essere una sostituzione delle abilità tecniche. Uno scenografo deve saper disegnare una prospettiva con la matita, altrimenti non è uno scenografo, anche se molto bravo con la tecnologia.
Quanto sono importanti per lei i social network per promuovere l’opera?
Per me è molto importante il lavoro sui social network. Mi spendo nel fare film “poco ortodossi” sulla presentazione dei titoli, che acquisiscono così una grande quantità di visualizzazioni sulla pagina Facebook della Fondazione Teatro Verdi di Pisa. Ad esempio, per l’opera The Beggar’s Opera, (20 e 21 ottobre), mi sono travestito da mendicante sul Ponte della Fortezza e, parlando con un cane, ho raccontato la trama dell’opera, mettendomi in gioco. Ho rimediato anche 79 centesimi, poi devoluti a un vero mendicante. Questi video sono dei piccoli trailer che portano a conoscere l’opera in una forma meno didascalica e paludata. Girare video per la città ha anche un valore sociale per me ed una posizione “politica”, intesa come polis, ovvero l’essere parte di una comunità.
Quali strategie vengono adottate per avvicinare il pubblico all’opera?
Noi apriamo le prove al pubblico, organizziamo le conversazioni aperitivo prima degli spettacoli, facciamo molte presentazioni bibliografiche. Questo teatro è sempre pieno, grazie anche a queste attività collaterali, i trailer, i social. Un’altra cosa fondamentale è che da parte nostra ci sia più un senso civile ed etico del lavoro che stiamo facendo. Il nostro è un lavoro sulla dirittura morale, dobbiamo andare a combattere l’immoralità. Se l’immoralità è assorbita dal sistema allora bisogna andare contro il sistema. Io vedo che vengono molti giovani a teatro e questa è una cosa che mi fa molto piacere. Pisa ha una politica dei biglietti molto bassa, quindi siamo in un range economico che il ragazzo si può permettere. In tutto questo la comunicazione è fondamentale. È importante che la città sappia che il teatro è parte del tessuto sociale. Senza il pubblico il teatro muore. Se il teatro è vuoto il problema è la comunicazione, non è mai colpa del titolo. Se sappiamo come arrivare al cuore dello spettatore e renderlo parte viva e non passiva, allora otterremo un grande risultato. Bisogna far sentire lo spettatore parte integrata di un tutto.
Ringraziamo il direttore artistico Stefano Vizioli per la sua disponibilità e ricordiamo il prossimo appuntamento con l’opera La Bohème, di Giacomo Puccini, il 16 e 17 febbraio.
Per maggiori info. https://www.teatrodipisa.pi.it/calendario-opera
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