23 Novembre 2024

Non è stata un’impresa da poco conto quella in cui si è imbarcato il Teatro Verdi di Pisa e cioè portare in scena tre differenti opere nell’arco di un’unica sera: brevi, folgoranti nella loro concisione, difficilissime nell’esecuzione. Arditissima anche l’idea di accostare due autori, Paul Hindemith Giacomo Puccini, contemporanei ma incredibilmente distanti nello stile compositivo, negli intenti e nella filosofia artistica. E tutto questo racchiuso in una produzione targata esclusivamente Teatro di Pisa.

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Da sinistra: Sumie Fukuhara ed Elisabetta Farris in Sancta Susanna

Una premessa di questo tipo è sufficiente ad attirare una notevole attenzione, se poi aggiungiamo anche la grande pubblicizzazione dell’evento risulta naturale che il numerosissimo pubblico che sabato 19 novembre ha occupato la sala grande del Verdi avesse aspettative molto alte. Credo di poter affermar che sia uno degli allestimenti più interessanti e più riusciti che abbia visto al Teatro Verdi negli ultimi anni. Le belle scene di Emanuele Sinisi, la regia di Lorenzo Maria Mucci, intelligente ed efficace ma mai greve (sua l’ottima idea del fondo oro che racchiude tutti gli elementi del Trittico) e soprattutto abilissima nell’adeguarsi a qualsiasi genere teatrale, unite alla splendida esecuzione del cast artistico hanno magistralmente sorretto la splendida esecuzione di questo insolito Trittico in perfetto equilibrio tra religiosità e sensualità, inganno e verità, Paradiso e Inferno.


Prima di addentrarci nello specifico dei tre elementi operistici, è d’obbligo rivolgere uno speciale applauso all’Orchestra Arché e al suo direttore, il M° Daniele Agiman, per l’esecuzione non solo impeccabile ma viva e sentita. Stupefacente la loro interpretazione di Sancta Susanna, primo elemento del Trittico, che ha veramente rasentato la perfezione artistica, mirabile per precisione e uniformità nell’esecuzione, nonché per la scrupolosa fedeltà alla partitura di Hidemith. L’Orchestra Arché ha saputo egregiamente muoversi tra le asperità armoniche di Sancta Susanna per poi passare, apparentemente con nonchalance, tra le celesti sonorità estatiche di Suor Angelica e – infine – si è gettata in quella meravigliosa frenesia che è Gianni Schicchi, mettendo in risalto i momenti più gustosi della partitura, tra le moine di Lauretta e i motti di spirito salacemente toscani, chiudendo con una sincera risata una sera che è iniziata con l’urlo di Suor Susanna.

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L’epilogo di Sancta Susanna

Proprio Sancta Susanna è stata la vera rivelazione del Trittico: opera poco conosciuta e ancor meno eseguita, nei suoi venticinque minuti di durata afferra prepotentemente lo spettatore per il colletto e lo inchioda sulla poltrona dalla prima all’ultima nota. Se poi i due personaggi principali della vicenda sono interpretati da due superbe cantanti come Elisabetta Farris (Suor Susanna) e Sumie Fukuhara (Suor Klementia), il risultato appare quasi scontato: due interpreti validissime non solo per quanto concerne l’esecuzione musicale in senso stretto, ma soprattutto per la grande prova attoriale fornita, capaci di rendere quasi tangibili l’angoscia, il turbamento, il desiderio e in un melodramma che dura meno di mezz’ora questa è davvero la carta vincente. A onor del vero, devo confessare di aver maggiormente apprezzato la Farris in quest’opera che nella successiva, Suor Angelica, in cui ha interpretato appunto l’omonima protagonista. In questo caso le spiegazioni possono essere molte: è possibile che fosse provata dalla feroce interpretazione che richiede il personaggio di Hindemith, è possibile che, non amando affatto Suor Angelica, il mio giudizio non sia imparziale, ma personalmente ritengo che la sua interpretazione di Suor Susanna sia stata tanto straordinaria e toccante da offuscare poi il similare ruolo nell’opera pucciniana.
A proposito di Sancta Susanna, sono da segnalare il “cameo” di Giulia De Blasis nel ruolo della serva che si esprime in un tedesco un po’ stentato (ad esempio «ik» al posto del corretto «ich») – personaggio apparentemente minore, riveste una grande importanza nell’economia dell’opera in quanto è proprio lei a causare il grande turbamento di Susanna – e il corteo delle suore guidato dalla Suora Anziana (Maria Candirri); molto suggestiva la scelta di far recitare la preghiera finale con la pronuncia tedesca del latino, che aumenta notevolmente la verosimiglianza della scena.

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Una scena di Suor Angelica

Rispetto a questo piccolo, grande capolavoro hindemithiano, il successivo pannello del Trittico è passato in sordina ma non certo per “colpa” degli interpreti: con le sue le tinte troppo tenui e il suo (lungo) inizio eccessivamente bucolico, Suor Angelica risulta piuttosto fiacca dopo aver assistito a Sancta Susanna. Ma probabilmente lo è anche in confronto al Tabarro. Nonostante la trama debole, tuttavia, ci sono stati passi di grande fascino e scenicamente molto ben riusciti, uno su tutti quello della terribile Zia Principessa, molto ben interpretata da Sumie Fukuhara che ancora una volta ci ha regalato un personaggio di notevole spessore.

Straordinario successo, invece, del capolavoro comico di Puccini e ultimo elemento del TritticoGianni Schicchi. In questa pagina ricca di spirito, giocosità ma anche di uno spiccato senso per il grottesco, si può ben dire che gli interpreti abbiano raggiunto il loro akmé: ognuno dei quindici cantanti è stato assolutamente perfetto nell’economia dell’opera e ognuno di loro ha saputo caratterizzare il proprio ruolo in modo unico e peculiare cosicché si può legittimamente parlare di quindici personaggi e non di un coro di quindici persone. Onestà imporrebbe di elogiare ciascuno dei quindici cantanti, uno per uno, perché anche chi ha avuto parti più corte è sempre stato perfettamente credibile, ma per motivi di lunghezza non è possibile; un esempio che valga per tutti è Alessandro Martini nel ruolo del notaio Ser Amantio.

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Gianni Schicchi (Sergio Bologna) con i parenti di Buoso Donati

Ottimo Marco Iannamorati (Simone), così come Candida Guida (Zita), che a una solida preparazione canora sono riusciti ad abbinare una vis comica davvero ammirevole. Validissimo il tenore Andrea Giovannini: non ha le physique du role per interpretare un ventiquattrenne Rinuccio, ma di fronte al suo splendido timbro vocale non si può che perdonare questa incongruenza anagrafica, così come le due piccole scivolate nelle puntature dell’aria Firenze è come un albero fiorito, prontamente rimediate e peraltro molto curiose dato che penso di poter affermare con sicurezza che per tutta l’opera ha cantato in modo davvero eccezionale.

Giulia De Blasis, qui nelle vesti di Lauretta, è per me un graditissimo ritorno sulle tavole del Verdi: dopo aver assistito alle sue interpretazioni nella scorsa Stagione Lirica mi auguravo di poterla nuovamente ammirare in altre produzioni e direi che il risultato finale ha pienamente valso l’attesa. La sua Lauretta è fresca, astuta e quando vuole qualcosa sa esattamente come ottenerla: è appunto il caso della celeberrima aria O mio babbino caro che le ha valso un meritatissimo applauso a scena aperta. L’elemento che ho maggiormente apprezzato della sua interpretazione di questo particolare momento dell’opera è che ha – giustamente – puntato sull’aspetto lezioso del testo di Puccini, mostrando bene che – a differenza di quello che avviene secondo l’immaginario collettivo – quelle di Lauretta sono tutte moine. La recitazione misurata, accuratamente studiata e convincente, unita al suo timbro cristallino e all’impeccabile tecnica vocale ne fanno una Lauretta che difficilmente dimenticheremo.


Sergio Bologna è stato indiscutibilmente il centro dell’attenzione degli spettatori nei cinquantacinque minuti dell’opera e non solo perché impersonava il protagonista, il suo Gianni Schicchi è straordinario: lasciando perdere qualsiasi considerazione sul suo timbro vocale (che comunque per quest’opera è assolutamente perfetto), ciò che ha stupito, meravigliato e conquistato il pubblico è la eccezionale recitazione, incominciando dal marcato accento toscano con cui ha caratterizzato il suo Schicchi ma soprattutto per l’infinità di ornamentazioni e varianti aggiunte alla partitura per sottolineare certi momenti di comicità davvero irresistibile, ad esempio durante la dettatura del testamento il trillo che sa di pernacchia sulle parole «Se gridano, sto calmo e canterello». Quando un cantante riesce a tenere nel proprio pugno un’intera platea e a suscitare tante genuine emozioni non si può che esclamare: «Viva la gente nova e Gianni Schicchi!».

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Photocredit: Massimo D’Amato (articolo), Imaginarium Creative Studio (copertina)

Luca Fialdini

luca.fialdini@uninfonews.it

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Luca Fialdini

Luca Fialdini, classe '93: studente di Giurisprudenza all'Università di Pisa e di pianoforte e composizione alla SCM di Massa e sì, se ve lo state chiedendo, sono una di quelle noiose persone che prende il the alle cinque del pomeriggio. Per "Uni Info News" mi occupo principalmente di critica musicale.

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