Giulia ci porterà per mano nel viaggio solidale in India, raccontandoci i suoi momenti piu’ intimi di tristezza e frustrazione a contatto con la povertà e la disperazione di queste famiglie ma anche la gioia di portare speranza e di sapere che questa esperienza cambierà il suo sguardo nei confronti del mondo.
02/11 KARANGABAHLA
Martedì 29 ottobre, arriviamo all’aeroporto molto presto, vedendo il bellissimo sole spuntare durante il viaggio. Le bimbe impazziscono vedendo negozi occidentali per mangiare, in effetti è un mese che mangio solo riso e verdure, ma non cedo, ormai sono in mentalità indiana salutista. Voliamo fino al famosissimo aeroporto di Ranchi, dove ad attenderci ci sono le suore del nuovo centro che andremo a visitare per valutare se possa essere inserito nel progetto dell’associazione. Il paesaggio è nuovamente cambiato: molto più verde, un sacco di campi, non c’è il caos della città. Questo centro accoglie sessanta ragazze, con alle spalle storie di violenza, sfruttamento minorile e situazioni familiari pessime. Qui oltre che a studiare, hanno modo di fare lavoretti di cucito e producono assorbenti a partire dal puro cotone grezzo che poi vendono ai villaggi vicini. Ci fermiamo una mezzora e poi ripartiamo in vista di Karangabahla. La terra si fa più rossa, bambine che a bordo strada camminano portando sulla testa grandi contenitori di acqua, la carnagione delle persone è più scura. Ci stiamo muovendo verso sud. Dopo 6 ore di macchina finalmente arriviamo al centro. Nonostante sia piuttosto tardi, le bambine ci hanno aspettato e ci danno il benvenuto con una canzoncina di “Hearty Welcome” che ormai sentiamo in ogni centro ma remixata in maniera diversa ahah. Abbiamo la camera a tre e prima di dormire salviamo un rospino che saltellava in mezzo ai nostri zaini.
In questi giorni si celebra il Diwali, che non abbiamo capito se abbia una data di inizio e una di fine, perché è 3-4 giorni che lo sentiamo dire e la gente spara i botti. Visitiamo le famiglie dei bambini. Le case sono fatte di argilla e escrementi di mucca, sono composte da corridoi e all’interno ritroviamo l’essenzialità delle case dei villaggi indiani. La maggior parte dei genitori fa lavoretti giornalieri oppure lavora nei campi. Nonostante la situazione povera, il paesaggio, la natura rendono più piacevole per noi la visita e ci sembra che sia una dimensione molto rurale e un po’ arretrata ma non di estrema povertà. Il pomeriggio giochiamo un po’ con le bambine, qualche scambio a badminton, qualcuno fa un puzzle, altre studiano. La sera ci attende uno spettacolino per celebrare la nostra presenza e in più il Diwali! Si inizia con una preghiera in giardino e l’accensione di candele intorno alla casa, per scacciare il male. Accendiamo anche alcune candele di un bel candelabro, una ciascuno. Molto bello e anche solenne. Poi i bambini impazziscono quando le suore tirano fuori i botti e le stelle luminose. Gente che corre e ride ovunque. Dopo ci accomodiamo tutti in una stanza e parte lo spettacolo. Canti e danze. Alla fine ci proviamo anche noi l’orecchino che dal naso arriva all’orecchio ma che è anche collegato alla testa. Non so come si chiami e non so spiegarvi per bene come sia fatto. Chiaramente ci buttiamo in danze improvvisate. Ormai abbiamo anche dei passi studiati che riproponiamo sempre e sono il nostro pezzo forte. A letto subito dopo che la mattina seguente abbiamo la lezione di yoga! Due ragazze fanno da insegnanti e noi altre 30 ci sistemiamo alla meglio nella stanza e si parte con l’attività fisica! Saluto al sole, qualche piede in faccia e qualche spallata ma fa bene alla nostra pigrizia! Ed eccoci all’ultimo giorno nel centro. Noi tre donne andiamo a completare le visite alle famiglie, tutto tranquillo finché non ci imbattiamo in un villaggetto in cui tutti hanno bevuto birra di riso (che producono da soli) per celebrare il Diwali. E fin lì tutto bene. La mamma sdentata che ride da sola, un ragazzo a cui cade di braccio un bambino, ma ancora niente di che. Ad un certo punto esce un altro uomo da non si sa dove e inizia ad urlare contro di noi e barcollando si avvicina. Noi scappiamo a gambe levate e ci chiudiamo in macchina. Arriva l’autista e ci allontaniamo vedendo che il tipo continua a sbraitare. Si era creata intanto un po’ di folla e sembravano tutti alticci, con vestiti molto poveri, sporchi e abbiamo pensato a quei bambini che erano lì con loro e ci è venuto un po’ il magone. Tornando a casa, la suora ci dice che deve comprare il pollo. Ci fermiamo in mezzo alla strada e vediamo che il signore del negozietto (una baracca) prende un pollo vivo per il collo e lo porta nel dietro bottega. Dopo poco torna la suora con una busta! Vi lascio immaginare cosa ci sia dentro, visto e considerato che fino a 20 secondi prima era vivo e vegeto. Tornata al centro faccio un po’ di lezione di hindi. Le bambine mi circondano e nonostante non parliamo la stessa lingua riusciamo a capirci e in qualche modo a comunicare. Quadernino alla mano e prendo appunti. Si aggiungono poi le suore che si scrivono delle frasi in italiano sulla mano per ricordarsele. Elena è un po’ malatticcia e alla fine tenta di arrivare alla guarigione con una seduta di agopuntura fatta da una sister, che tira fuori mappe e libri per vedere quali siano i punti collegati alle zone dolenti del suo corpo. Nel frattempo io lascio la macchina fotografica ad una bambina che impazzisce e la tiene per un’ora facendo foto a tutto e a tutti. Prima dei saluti aiutiamo le bambine ad aggiustare una zappa con cui stavano lavorando l’orticello e le vediamo mentre prendono l’acqua da un laghetto con dei secchi per annaffiare le piante.
Sarà che abbiamo passato qui qualche giorno in più, ma abbiamo creato dei bei legami, abbiamo visto occhi e sorrisi pieni di gioia e speranza nonostante le difficoltà. Soprattutto una bambina mi ha colpito, Muskan, di dieci anni. Sempre sorridente che mi veniva sempre incontro e mi parlava nonostante non capissi assolutamente niente. Le suore ci hanno raccontato poi che insieme alla sorella erano state portate lì da un dottore che le aveva trovate a chiedere le elemosina alla stazione di Mumbai, dopo che il padre aveva tentato di ucciderle insieme alla madre e ad altri fratelli, che erano riusciti a fuggire. Loro invece erano talmente piccole che sono dovute rimanere col padre che le mandava a chiedere le elemosina. Storie come queste ce ne sono quante ne volete, ma non direste mai che sono collegate a quella bambina con quel bel sorriso stampato in faccia. Un po’ con i lucciconi salutiamo tutti e ci dirigiamo verso la stazione di Jharsuguda, dove prenderemo il treno notturno per arrivare ad Araku.
Dall’India è tutto. Dopo essermi caduta una saponetta nella turca mentre facevo la doccia col secchio vi auguro buona giornata. Ah e ho scoperto che orso in hindi è “balù” come l’orso del libro della giungla! Delizioso! 😀
Dil Namastè. (Ciao di cuore)
06/11 ARAKU
Vi avevo lasciato all’arrivo alla stazione di Jharsuguda, dove avremmo dovuto prendere il treno notturno per la stazione di Rayagada, mercoledì 2 novembre. Ecco, alla fine sul quel treno non ci siamo mai saliti. Arrivati alla stazione infatti ci accorgiamo che sui biglietti c’è una sigla strana. Le suore di Karangabahla che ci hanno accompagnato ci comunicano che siamo in lista d’attesa. Il che vuol dire che non c’ è stata la conferma della prenotazione dei biglietti. Dopo aver mangiato in piedi davanti alla stazione con la cena portata dalle suore stile famiglia da Tirrenia domenicale (hanno paura che non mangiamo abbastanza), andiamo alla ricerca di un hotel nelle vicinanze perché il treno da prendere è la mattina seguente. Troviamo un hotel a 5 euro a testa, nemmeno troppo malvagio e aspettiamo il giorno dopo. Salutiamo le suore che si son fatte un bel po’ di ore di auto e che devono ritornare a casa. La mattina siamo carichi, abbiamo infatti dormito su un letto vero, con un materasso alto più di 2cm. Ci avviamo alla stazione, ma i problemi non sono finiti. Appena arrivati veniamo seguiti da un ragazzo che lavorava all’hotel che ci accusa di non aver pagato una camera, senza parlare inglese continua a rimanere lì. Alla fine fortunatamente arriva anche un altro tipo e ci lasciano prendere il treno che nel frattempo era già arrivato! Saliamo e ci sistemiamo subito sulle cuccette e, dormendo, tiriamo dritto per qualche ora. Per fortuna il treno non è affollato come quello che avevo visto la prima volta con Fede e passiamo velocemente le 8 ore di tragitto. Elena viene multata di ben 200 rupie (nemmeno tre euro) perché beccata a fumare alla porta (che rimane aperta tutto il tragitto) del treno. Ecco la nostra fermata! Ad attenderci c’è il prete del centro di Araku. In macchina non c’è abbastanza posto e ci ritroviamo in quattro nei sedili posteriori ad incastro, facendo a turno con le posizioni di lato. Non male sapendo che ci sono 5 ore di macchina prima di arrivare nell’Araku Valley. È buio ormai, ma dalle curve in salita capiamo che stiamo salendo. La valle infatti è a 1000m. Scopriamo che qui non si parla hindi! Proprio ora che avevano imparato qualche parola e pensavamo di essere ganzi ahah; qui si parla il telugu! Arriviamo finalmente dopo cena e i bambini ci salutano velocemente prima di andare a letto. La mattina due ragazzi ci accompagnano per vedere il centro. L’aria è più fresca rispetto a Karangabahla e il cielo per la prima volta nuvoloso! Ci sono vari dormitori, e i più piccoli, che ancora a volte si fanno la pipì addosso dormono in terra! I ragazzi ci dicono che questi bambini quando smetteranno di farla verranno promossi nelle camerate dei “grandi” dove ci sono i letti! Vediamo poi una stanza con un bambino sdraiato in terra sotto le coperte; è la stanza dei malati, che inizialmente ci fa un po’ pensare quanto sia giusto isolare un bambino per giorni, ma invece poi capiamo che lasciarlo nella sua camera insieme ad altri 40 bambini significherebbe contagio sicuro. Dopo colazione partiamo subito per la visita delle famiglie. Ci portano in un villaggio sperduto, a due ore di viaggio dal centro. Siamo in una zona tribale, dove questi piccoli villaggi sono piuttosto isolati dalla città. È affascinante, sembra di essere in un racconto dell’India dei primi del 900, siamo come degli esploratori che si addentrano in questi villaggi dove l’uomo bianco non è mai passato prima. Immersi nella natura verde, case di legno e paglia, pozzi, donne anziane con tre orecchini al naso, collane e bracciali, bambini mezzi nudi in giro con al collo collane fatte di legni e pietre. Rimaniamo affascinati. Ed è strano ancora di più come queste famiglie siano così semplici e il loro bambino viva nel centro e sappia parlare inglese benissimo a differenza dei genitori. Mi sono sentita veramente fortunata a poter visitare questi villaggi, irraggiungibili da un turista qualsiasi. Il pomeriggio iniziamo le interviste ai bambini che sono super simpatici e parlano tutti un ottimo inglese (meglio del mio!). Nel tardo pomeriggio ci portano a visitare il museo del caffè dove alla fine esco con un’amaca che pesa 10kg, comprata nel negozietto vicino, e alla quale dovrò trovare una collocazione intelligente nello zaino. Prima di cena i bambini mettono la musica nello spazio aperto centrale della struttura e iniziano a ballare. Si creano file tipo serpente (animale sacro per gli hindu) e il primo della fila fa partire un movimento che tutti ripetono. Assistiamo ad una danza tipica tribale ed è bellissimo. Chiamata dai bambini, non ci penso due volte e mi butto in mezzo a loro! La musica, il ritmo del tamburo, i movimenti, sapere che le tribù locali fanno questi tipi di ballo è bellissimo, è stato uno dei momenti più belli e divertenti del viaggio! A malincuore dobbiamo andare a cena, ma chiediamo ai bambini di rifarlo anche la sera successiva! La mattina usciti di camera assistiamo all’entrata a scuola dei bambini che si trova a 5min di cammino dal centro. Dopo colazione i bambini si mettono calzini e scarpe.. c’è chi ha la scarpa bucata, i calzini diversi uno dall’altro, lo zaino con la cerniera rotta più grande di lui. Poi gelatina e pettinata davanti ad uno specchio comune. Poi senza che nessuno dica niente si crea una fila e passando i bambini ci salutano “good morning sister” belliniiiii 🙂 super dolci! Io intanto ho già scelto i miei preferiti come in ogni centro. È venerdì, e cosa fa il venerdì mattina il livornese medio? Mercatino! Si, perché il venerdì mattina nell’Araku Valley c’è il mercato! Con due ragazzi che ci fanno da guida ci addentriamo nel caos che regna tra i banchetti di frutta e verdura, ma non solo. Troviamo signore che vendono pesce, prodotti per la casa e per finire passiamo dal luogo in cui si comprano le capre! Gente che le tasta, toglie loro delle ciocche di peli, guarda sotto gli zoccoli. Tutti chiaramente ci guardano perché saremo i secondi bianchi che vedono andare al mercato di Araku, anche se ci dicono che da qualche anno a questa parte sta diventando una zona frequentata da turisti. Proseguiamo poi verso altri villaggi da visitare. Mi piacerebbe vivere una settimana in uno di questi villaggi dove regna la pace e la serenità. Ah bene! Il pomeriggio cricket! I bambini mi vogliono in squadra con loro e inaspettatamente sono fortissima, anche se non ho capito bene le regole. I bambini mi fanno il tifo finché non inizia a piovere e il gioco finisce. Siamo arrivati all’ultima sera e vogliamo ballare! I bambini sono contentissimi e ripartono i balli tribali, cambio gruppo di tanto in tanto e cerco di andare a tempo. Dopo il prete divide i bambini in tre squadre in base all’età e le fa sfidare! Ma dovete vedere come sono bravi! Io ero gasatissima perché mi piace da morire vedere la gente che balla hip hop e questi bimbetti di 7 anni che andavano a mille cattivissimi ahah eccezionali! Ci siamo divertiti un sacco. È l’ora di andare a letto e i bambini ci salutano con gli occhioni sapendo che domani partiremo. Lucciconi! La mattina dopo salutiamo con baci e abbracci tutti i bimbi che inizialmente ci danno la mano per dirci “goodbye” ma io poi li stringo a me ahah. Dopo che sono andati tutti a scuola, carichiamo le valigie e partiamo. Abbiamo l’aereo per Hyderabad tardo pomeriggio e il padre si offre di accompagnarci facendoci fare una mini gita. Prima tappa le “Borra Caves”: delle profonde cave che troviamo sulla strada del ritorno. Illuminate da luci colorate stile disco dance anni ’80 e pieni di pipistrelli sono visitate da indiani molesti che ogni 3 passi ci chiedono di fare un selfie e urlano nelle grotte. Per 50 cents, da buoni turisti occidentali vecchio stampo, ci facciamo fare una foto nella cava da un ragazzo che ce la stampa nel momento. Usciti ci muoviamo direzione mare! L’aeroporto è infatti sul mare e il padre ci porta a mettere i piedi nell’Oceano Indiano. Mare terribile, ma un po’ d’aria marina ci rincuora e ci fa pensare alla nostra Livorno. Pranziamo con banane e mandarini e arriviamo all’aeroporto dove ci dividiamo da Lucia, che vola diretta a Bangalore, mentre noi 3 passiamo prima a visitare il centro di Thorrur. Dopo qualche problema con le valigie e con i biglietti saliamo sull’aereo, ripensando un po’ a tutti i centri visitati. Riflettendo che il tempo é volato, ma allo stesso tempo sembra una vita fa che abbiamo visitato il primo centro a Loni. Anche se non siamo ancora arrivati alla fine di questo viaggio penso che sono stata fortunata a farlo, a vedere cose che da normale turista non avrei visto, conosciuto ragazze e bambini eccezionali, con storie di sofferenza e difficoltà ma che adesso vivono al meglio la loro vita, bambini che con un solo sguardo ti conquistano. Qui ho visto gli occhi più belli ed espressivi di sempre. E in fondo in fondo continuerei ancora un po’ questa esperienza, ormai mi sono abituata al ritmo indiano! Per ora è tutto, qui è tutto “very andam” (bello in telugu).
Alla prossima, Giulia!
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