25 Novembre 2024

Testa di Rame : Inizia la nuova stagione al Teatro della Brigata 

14192112_547611835444537_4674825432152120274_nIeri sera a Livorno si è tenuta l’inaugurazione del Teatro della Brigata, una scuola di recitazione e corsi di drammaturgia portata avanti da Andrea Gambuzza e Ilaria Di Luca, la stagione ha preso il via con uno spettacolo inedito che ha visto quest’ultimi protagonisti sia sul palco che nella stesura dell’opera trasposta davanti al pubblico assieme a Gabriele Benucci. Testa di Rame si è dunque rivelato non una serie di sketch, ma un dramma in tutto e per tutto, cogliendo quelle sfumature di commedia classica che portano le persone a passare due ore in maniera spensierata, ma al contempo in modo pur sempre intelligente.


I protagonisti, il palombaro Mario, detto Scintilla, e sua moglie Rosa, rappresentano il perfetto connubio di sfumature tipiche di quelle generazioni labroniche nate poco prima gli anni della Liberazione, che hanno vissuto la guerra sulla propria pelle e visto con i loro occhi, nonché contribuito, una volta finita con l’arrivo degli Americani, alla ripresa della città di Livorno. E’ una vita dura, fatta di sacrifici e miseria, ma non priva di gioie, felicità e soddisfazioni, figlie più dell’umiltà che delle ambizioni. In questo contesto socio marinaresco le incomprensioni, gelosie e desideri dei due coniugi prendono sempre più forma, fino al momento fatidico, dove entrambi sono chiamati a fare i conti con la loro coscienza e compiere il passo decisivo per fidarsi l’uno dell’altro.

Testa di Rame si apre con tutta una serie di dialoghi frizzanti e dal ritmo forsennato, conditi da quella parlantina e caparbietà riscontrabile tra le vie del centro di Livorno ancor oggi, ove Scintilla e Rosa, a turno, fingono di discutere con un ipotetico ed immaginario interlocutore rivolgendosi, di fatto, a noi, il pubblico, per permetterci di entrare fin da subito nella storia, nell’atmosfera e nel contesto sociale in cui 14364662_551543661718021_5466204838488012180_nl’opera è ambientata e prende forma. Sono scambi verbali efficaci e originali, dove si spazia dalla derisione scanzonata, tipicamente labronica, verso gli abitanti di altre cittadine limitrofe a Livorno, vedi Fauglia, fino all’esegesi sul “Deh” e del perché è tanto importante.

“Oh metteteci un toppino, deh!”

Un primo atto condito da scene ben orchestrate dove Gambuzza e Di Luca dimostrano di essere capaci non solo di saper rendere al meglio i loro personaggi tramite una mimica facciale straordinaria, spesso lasciando agli sguardi intensi e magnetici lo spazio che le parole non saprebbero altrimenti riempire,  ma anche, e soprattutto, grazie all’ottimo utilizzo del proprio corpo nello spazio del palcoscenico, riuscendo a trasmettere una naturalità fuori dal comune, e con il continuo muoversi fluido di scenografie che, per quanto ridotte al minimo, stuzzicano costantemente la fantasia di chi le guarda segnando in maniera netta i vari passaggi spazio-temporali. Una giostra di situazioni che, partendo da un preciso momento cronologicamente posto nel “loro” presente, tende ad andare a ritroso per raccontare la storia dei due Livornesi.

Se, infatti, nelle prime scene si ride e si scherza, i toni cambiano lentamente con l’arrivo del secondo Atto, ove ci si addentra in un clima più realistico e tragico. Ricorda un po’ il Woody Allen di “Amore e Guerra” la pièce da questo momento in poi, dove, vuoi per il vernacolo o la parlata colorita, le difficoltà nel saper cogliere le parole di una lingua straniera quale l’inglese dall’accento americano, i toni si mantengono sempre leggeri e frivoli, seppur ora intrisi di una certa tragicità quotidiana, perché il palombaro non è un lavoro semplice e chi decide di andare nel profondo del mare, per recuperare merci o far tornar su imbarcazioni ha poco da guadagnare ed un’intera vita da perdere, là, dove nessuno può aiutarti o sentirti chiamare aiuto, nel silenzio delle acque profonde. Gli autori solleticano il puro e semplice “divertimento”, ma nel farlo inseriscono nelle battute qualcosa di amaro e tragico. Così apprendiamo come dietro ai sorrisi ed ai modi da sbruffone di Scintilla, dietro alla sua voglia di vivere e voler andare oltre i limiti di una vita impostagli più dal destino che dalla propria volontà, vi è comunque un forte senso di sopravvivenza e consapevolezza di ciò che fa, un istintivo impulso di conservazione che gli permette di ponderare ogni sua decisione, non andare mai oltre il dovuto e mantenere quella calma glaciale la quale lo porta a tornare a casa da sua moglie ogni sera.14344111_551218021750585_5990034608038491736_n Persino laddove egli si identifica quasi come un Dio, una volta indossata la pesante armatura da palombaro, come un “Gesù con Lazzaro” nel riuscire a riportare in vita le navi dagli oceani come gli uomini dalla morte, riconosce i suoi limiti e non sfida né il fato, né Dio né se stesso.

Proprio grazie a questo confronto riusciamo a comprendere appieno il personaggio di Rosa, donna dal grande carisma, gelosa e semplice nel suo volersi approcciare al prossimo, tipica donna che potreste ancor oggi incontrare al mercato di Piazza Cavallotti o in Borgo Cappuccini, devota al marito, ma pronta a mettere in discussione alcuni suoi atteggiamenti. E’a lei che vanno i momenti più allegri e divertenti nella seconda parte del dramma, che permettono di equilibrare la messa in scena affinché non affondi in un vero e proprio dramma umano, affinché lo spettatore rida ed al contempo si commuova, un po’, potremmo azzardare a 14355046_551217941750593_881740413336746093_ndire, come se l’opera cercasse di cogliere il senso della vita, ed in particolare l’essenza di una generazione vissuta a Livorno.


Nel cercare di far questo Testa di Rame compie un lavoro egregio, laddove in molti hanno fatto della parlata livornese un sinonimo di ignoranza e scurrilità Gambuzza e Di Luca fanno uscir fuori la semplicità e l’immediatezza di un popolo che ancor oggi si pone secondo le sue più nobili tradizioni, senza dimenticare le proprie origini o la propria storia. Così, alla fine della fiera, Testa di Rame altro non è che un tuffo nel passato, una camminata negli oceani di una società del dopo guerra che prova in ogni modo di tornare a galla, e forse il difficile, al momento in cui il sipario cala, per il pubblico è proprio risalire, tornare alla realtà e abbandonare la magia, la potenza e l’energia che solo il teatro sa far nascere nei cuori di chi lo fa e di chi lo guarda.

A cura di Claudio Fedele & Matteo Taccola 

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Claudio Fedele

Nato il 6 Febbraio 1993, residente a Livorno. Appassionato di Libri, Videogiochi, Arte e Film. Sostenitore del progetto Uninfonews e gran seguace della corrente dedita al Bunburysmo. Amante della buona musica e finto conoscitore di dipinti Pre-Raffaelliti.
Grande fan di: Stephen King, J.R.R. Tolkien, Wu Ming, J.K. Rowling, Charles Dickens e Peter Jackson.

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