Più di un anno fa, chiunque si fosse chiesto chi sarebbe stato il candidato democratico alle presidenziali, che si terranno negli USA questo novembre, non avrebbe avuto nessun dubbio: sicuramente Hillary Clinton.
Ebbene questa certezza non ha mai abbandonato il lungo cammino delle primarie che hanno avuto inizio nel febbraio del 2016. Sicuramente è stata un punto di forza per l’ex First Lady, ma anche un elemento di debolezza. Se originariamente si pensava che non avrebbe incontrato ostacoli, così non è stato, Bernie Sanders, il suo rivale, conosciuto ai più per la sua storica posizione politica, definendosi un socialista in un Paese in cui il maccartismo ha dominato tra le ideologie culturali per decenni, ha avuto un successo incredibile quanto inaspettato.
Senza dubbio la Clinton, in termini di delegati, si è sempre mantenuta in vantaggio sul rivale, anche perché ha goduto dell’appoggio della stragrande maggioranza dei membri del Partito.
Per il Partito Democratico infatti non c’è nessun tipo di esitazione, il candidato migliore non può essere che la Clinton, il cui curriculum vanta una lunga serie di incarichi politici, l’ultimo come Segretario di Stato, uno dei più prestigiosi nel gabinetto che affianca il Presidente. E così la pensa una buona fetta dell’elettorato democratico, che vede la sua scelta come la più razionale, e in un popolo in cui regna il pragmatismo non è da sottovalutare. L’ex Segretario di Stato trasmette sicurezza e le competenze più affini, rispetto ad ogni altro candidato, per ricoprire il ruolo di Barack Obama.
Eppure la crisi economica, scoppiata nel 2008, ha mutato fortemente la percezione che gli americani hanno della politica.
Nonostante i vari sforzi dell’amministrazione Obama, secondo recenti dati Oxfam, il divario tra le diseguaglianze economiche negli ultimi 5 anni è aumentato, questo vuol dire che cospicue fasce della popolazione non vivono in condizioni ottimali. In preda a questa situazione, all’elettorato americano non basta più la sola Ragione, molte scelte vengono intraprese con l’emotività, spesso dura e cruda come quella cavalcata dal front runner repubblicano Donald Trump. Per l’appunto questa ondata emotiva non ha lasciato indenne nemmeno l’elettorato democratico, ed è qui che Bernie Sanders suscita più entusiasmo.
Le responsabilità che Wall Street ha avuto prima ,e durante, la crisi economica non sono passate inosservate, e se dovessimo stabilire, a seconda dei finanziamenti elargiti ai vari candidati, chi è il suo candidato, troveremmo in cima alla lista proprio Hillary Clinton con 21 milioni di dollari.
Dopo una serie di sconfitte, Clinton ha collezionato una sequenza di vittorie molto importanti, tra cui New York dove venne eletta senatrice, e poi i quattro Stati (Connecticut, Delaware, Maryland e Pennsylvania) sui 5 in palio il 26 aprile, lasciando al suo sfidante solo il Rhode Island . Tuttavia queste vittorie avrebbero dovuto rafforzarla, come è successo per Trump dopo il trionfo in Indiana con cui ha ottenuto il ritiro dei suoi avversari Cruz e Kasich, e invece non è riuscita a fare altrettanto perdendo le primarie in Indiana.
Ormai la nomina alla Convention del Partito Democratico, che si svolgerà questo luglio, è sempre più vicina, ma le sfide per l’ex Segretario di Stato non finiranno lì.
Se vorrà arrivare a ricoprire l’ambita carica di Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump sarà l’ultimo dei suoi problemi, intanto dovrà impiegare molte energie per riunificare dietro al suo nome la base elettorale democratica. Quindi dovrà riconquistare gli ex sostenitori di Sanders, tra cui la maggioranza dei più giovani, compresi nella fascia 18-30 anni. È proprio tra questi che la Clinton dovrà faticare di più, perché con essi la sola razionalità non è sufficiente, animati da sogni nel cassetto, speranze e voglia di cambiamento, hanno preferito il racconto che Sanders ha saputo portare avanti abilmente!
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