NEW YORK – Oggi ricorre il triste anniversario degli attentati dell’11 settembre del 2001, sono passati dodici lunghi anni, ma la ferita è ancora aperta.
Uni Info News non vuole oggi far luce su ciò che successe quel fatidico giorno, non vuole indagare su quale terribile verità si nasconda dietro a un gesto così violento, così inumano.
Mi ricordo di quel giorno.
Io ero piccolo, avevo da poco compiuto otto anni, avevo ancora fresche nella mente le immagini della festa di compleanno, in quel momento stavo guardando un programma alla televisione quando d’improvviso il telegiornale prese il posto alla mia spensieratezza.
Urla, dolore, sangue, polvere, polvere ovunque, gente che correva, caos, edifici che crollano, credevo fosse un film, poi capii, era tutto tragicamente vero.
L’immagine che non posso e non voglio dimenticare: un uomo si getta nel nulla, da lì a pochi minuti il suo corpo toccherà terra, morirà.
Di quest’uomo è stata scattata una foto emblematica, dal titolo “The falling man”, ma molte altre persone fecero la stessa cosa, preferirono cadere nel vuoto che farsi divorare dalle fiamme.
Non avevano scelta, se non quella di poter morire come volevano, non avevano vie d’uscita, se non la morte.
Disperazione.
Quanto dolore in quell’attentato che si prese la vita di 2.974 persone innocenti, ignare, donne, uomini, bambini e anziani.
Le lacrime però non avevano tempo di scendere, c’èra qualcuno da salvare sotto le macerie.
Non morirono però soltanto chi si trovava in quelle Torri e negli altri edifici colpiti.
Morirono 411 soccorritori.
La morte non costituisce un singolo momento, ma si trascina, portando con sé la propria disperazione, difatti solamente 1600 persone del World Trade Center vennero identificate, tutt’oggi i parenti delle altre vittime non hanno neppure i resti, neppure un brandello su cui posare lacrime amare.
Matteo Taccola
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