Ieri 5 gennaio si è spento a 90 anni Pierre Boulez, ne hanno dato l’annuncio stamane i familiari. Boulez è stata una delle più illustri e significative figure musicali del XX secolo, la cui lunga e fortunata carriera ha toccato ogni aspetto della musica: dalla composizione alla direzione d’orchestra alla saggistica alla didattica, ottenendo sempre ampi consensi.
Nato il 26 marzo 1925 Montbrison, il giovane Boulez intraprende studi matematici a Lione per poi abbandonarli in favore del Conservatorio di Parigi, dove ha come insegnanti, tra gli altri, René Leibowitz, Andrée Vaurabourg ed il grande Olivier Messiaen. Negli anni ’40 inizia a scrivere le prime composizioni che destano l’interesse di alcuni compositori del Secondo Dopoguerra, grazie ai quali entra a far parte della Scuola di Darmstadt ed ha la possibilità di conoscere e stringere amicizia con alcuni dei più promettenti giovani musicisti di quegli anni, tra cui John Cage, Bruno Maderna, Theodor Adorno, Edgard Varèse, Luciano Berio, György Ligeti, Luigi Nono, Vittorio Fellegara e Karlheinz Stockhausen.
Anima inquieta, fa della ricerca il fondamento del proprio stile compositivo, ciò spiega i frequenti cambi di indirizzo e di scuola della sua musica: dalla dodecafonia alla Neue Musik, al serialismo integrale, al postwebernianismo, allo strutturalismo, al simbolismo francese, alla musica aleatoria, divenendo così un profondo conoscitore della musica del secondo Novecento ed un grande sperimentatore, difatti nel suo universo compositivo hanno grande rilevanza elementi di tipo filosofico e matematico.
Accanto al successo come compositore ottiene anche grandi risultati in qualità di direttore d’orchestra: nel 1959 dirige le prime assolute di Rimes pour différentes sources sonores di Henri Pousseur ed Epitaphium di Igor Stravinskij, mentre nel 1964 le prime assolute di Couleurs de la cité céleste di Olivier Messiaen e di Épitaphe pour le prince Max de Fürstenberg di Stravinskij. Dal 1966 al 2005 è ospite fisso del Festival wagneriano di Bayreuth in cui dirigerà più volte il Parsifal, la tetralogia dell’Oro del Reno, La Valchiria, Sigfrido ed Il Crepuscolo degli Déi.
Dagli anni ’60 in poi diviene uno dei musicisti più seguiti e premiati del panorama musicale internazionale: nel corso della sua carriera riceve ben ventisei Grammy Awards (l’ultimo dei quali, nel 2015, alla carriera), la Gran Croce dell’Ordine di San Giacomo della Spada in Portogallo, la medaglia per le scienze e per le arti in Austria, la Croce al merito di I Classe, inoltre diviene Commendatore delle Arti e delle Lettere in Francia e Cavaliere dell’Ordine al Merito in Germania. Riceve anche il Glenn Gould Prize ed il Leone d’Oro alla carriera dalla Biennale Musica di Venezia.
Personalmente ho un rapporto conflittuale con la figura di Boulez: le nostre idee su cosa debba essere la composizione e quale sia la sua funzione sono drasticamente opposte ed inconciliabili, perciò eviterò di parlare di questo aspetto (dato che non potrei far altro che esprimermi in modo fortemente negativo) a differenza di quanto fece lo stesso Boulez che, nel 1951, non attese altro che la morte di Schönberg per pubblicare l’articolo “Schönberg est mort“, ricordato da Glenn Gould come «un condensato di cattiverie», nel quale il compositore francese non fece altro che snocciolare le proprie tesi sulla “nuova musica”, pavoneggiarsi e denigrare spietatamente Arnold Schönberg.
Preferisco di gran lunga ricordarlo come direttore d’orchestra, ambito nel quale raggiunse veramente vette che prima di lui pochissimi direttori sono riusciti a raggiungere. Lo stile e le teorizzazioni di Boulez hanno rinnovato profondamente la figura del direttore d’orchestra e l’arte della direzione in sé e segnano un solido punto di riferimento per i giovani interpreti e direttori di oggi: è grazie alle incisioni di Boulez che ho scoperto i balletti russi di Stravinskij – L’Uccello di Fuoco, Petruška, La Sagra della Primavera – e la Notte trasfigurata di Schönberg (di quest’ultima, quella di Boulez è la mia versione preferita), autentiche pietre miliari dell’interpretazione musicale. Ascoltando le interpretazioni di Boulez si nota come emergono ulteriori dettagli per via della sua innegabile bravura nel mostrare legami e connessioni nella struttura interna della composizione oltre che per la sua intelligenza nel comprendere le intenzioni del compositore.
Alla fine, le parole più efficaci sono quelle del M° Riccardo Muti: “Con la perdita di Pierre Boulez, il mondo della musica è infinitamente più povero”.
Luca Fialdini
luca.fialdini@uninfonews.it
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