Recensione di A Christmas Carol
“Marley era morto, tanto per incominciare, e su questo non c’è alcun dubbio. Il registro della sua sepoltura era stato firmato dal sacerdote, dal chierico, dall’impresario delle pompe funebri e da colui che conduceva il funerale. Scrooge lo aveva firmato, e alla Borsa il nome di Scrooge era buono per qualsiasi cosa che decidesse di firmare. Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta.
Badate bene che con questo io non intendo dire che so di mia propria scienza che cosa ci sia di particolarmente morto nel chiodo di una porta; personalmente, anzi, propenderei piuttosto a considerare il chiodo di una bara come il pezzo di ferraglia più morto che si possa trovare in commercio. Ma in quella similitudine c’è la saggezza dei nostri antenati, e le mie mani inesperte non la disturberanno, altrimenti il paese andrà in rovina. Vogliate pertanto permettermi di ripetere con la massima enfasi che Marley era morto come il chiodo di una porta.
Scrooge sapeva che era morto? Senza dubbio; come avrebbe potuto essere altrimenti? Scrooge e lui erano stati soci per non so quanti anni; Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, , il suo unico procuratore, il suo unico amministratore, il suo unico erede, il suo unico amico e l’unico che ne portasse il lutto; e neanche Scrooge era così terribilmente sconvolto da quel dolo- roso avvenimento da non rimanere un eccellente uomo di affari anche nel giorno stesso del funerale e da non averlo solennizzato con un affare inatteso e particolarmente buono.
Menzionare il funerale di Marley mi ha ricondotto al punto dal quale ero partito. Non c’è alcun dubbio che Marley fosse morto.”
E’ poco consono all’ambiente ed alle circostanze iniziare una recensione riportando per intero il testo di un libro a caso o, per l’occasione, dell’omonimo libro da cui è tratto il film che a breve verrà analizzato, tale è una verità assoluta, perché chi scrive è la prima persona ad ammettere che mai Cinema e Letteratura debbano essere messe a confronto, ma piuttosto essere unite assieme affinché, da tale collaborazione, fuoriesca un prodotto capace di mescolare sia l’una che l’altra in modo omogeneo, dimostrando quanto a volte esse siano affini.
Teniamo conto, tuttavia, che Un Canto di Natale di Charles Dickens non è solo un bellissimo libro che probabilmente in milioni hanno letto e riletto, durante le feste o nel resto dell’anno, ma anche un vero e proprio simbolo, dato che esso rappresenta, senza alcun dubbio, uno dei cardini del Natale per come lo intendiamo oggigiorno noi tutti, e se nelle nostre case si cerca ancora quell’umanità o quella sensibilità dentro i cuori di chi amiamo è grazie in particolar modo a questo racconto, che nel secolo scorso ha visto più e più volte riproposte trasposizioni cinematografiche o televisive, alcune delle quali riuscite, mentre altre di certo meno degne del nome che con tanto orgoglio avrebbero fatto risplendere nei propri titoli di apertura.
A Christmas Carol per alcuni lettori, spettatori o curiosi occasionali, è il Natale, la festa, le luci, la compagnia, il dolore, il cambiamento e la rinascita; esso non è unicamente un’opera destinata ormai ad assurgere ad essere un’icona a tutto tondo, simboleggia un valore morale capace, persino nel ventunesimo secolo, di rimanere attuale e saldo ed è per questo che la vicenda legata a Scrooge, il personaggio principale il cui nome verrà adottato anche dalla Disney per indicare “Zio Paperone”, si palesa ai nostri occhi tanto verosimile quanto fantasiosa, intrisa di quella critica orientata ad un preciso modello di società, ma al contempo contaminata da tutti quegli aspetti sovrannaturali che persino ad una lettura più superficiale stregano coloro che vi posano, sopra di essi, gli occhi.
Tutto ha inizio con una semplice frase, una sentenza tanto macabra quanto categorica, capace di risuonare nelle orecchie dello spettatore così come negli occhi e nella testa del lettore “Marley era morto, tanto per cominciare….” ed anche in quest’occasione, nel bene o nel male, inizieremo ad analizzare il lavoro di Zemeckis laddove Dickens stesso decise, ai tempi, nel lontano 1843, di dare il via alla sua storia: “Marley era morto, come il chiodo di una porta”
Disney’s A Christmas Carol di Robert Zemeckis alza il sipario su uno sfondo che fin da subito ci immerge nell’atmosfera Vittoriana del tempo in cui è ambientata la storia, o quanto meno negli anni in cui è stata scritta, ove dietro ad una finestra è possibile vedere lampioni a gas, neve che scende e carrozze che vanno da una parte all’altra, mentre all’interno della stanza a illuminare è solo una candela che, grazie alla sua luce, fa risplendere gli interni di quelli che sembra essere una qualunque abitazione londinese. La telecamera indugia quel tanto che basta per permettere allo spettatore di abituarsi alla stereoscopia 3D e analizzare tutti i particolari, prima di immergersi letteralmente, esattamente come farà nel 2015 Guillermo Del Toro con Crimson Peak e come ha fatto Stevenson in Jane Eyre con Orson Wells, in quello che è il libro di A Christmas Carol di Charles Dickens.
Come già riportato poco sopra, nei decenni successivi questa storia è stata adattata sullo schermo un numero infinto di volte, che fosse poi per la televisione o per il cinema questi restano particolari irrilevanti dinnanzi al ripetersi di produzioni mai stanche di portare in cantiere una nuova versione di uno dei più bei classici Natalizi. Robert Zemeckis, che alla fine degli anni 2000 aveva sviluppato un certo interesse per la Motion Capture, vale a dire quella tecnica ove sullo schermo appare una versione interamente digitalizzata dell’attore, dopo la riuscita di Polar Expresse e La Leggenda di Beowulf decise di concludere questo suo percorso nel dare alla luce una versione nuova ed originale di un vero e proprio monolite della letteratura anglosassone degli ultimi duecento anni, una scelta coraggiosa ed al contempo molto sperimentale, oltre che rischiosa.
Prima di andare oltre con l’analisi dell’opera, per quei pochi ancora orfani della trama di questa storia, basterà dire che tutto inizia dopo la morte del socio di Ebenezer Scrooge, Jacob Marley, durante una vigilia di Natale come tante. Con il lento trascorrere degli anni Ebenezer passa le proprie giornate nello studio legale assieme all’impiegato Bob Cratchit, che paga una miseria, senza tener conto degli avvenimenti che condizionano il paese, né tanto meno del clima di Festa che si respira tra le strade di Londra con l’avvicinarsi del Natale. Proprio la sera della Vigilia, Scrooge, ammonito in un primo momento dal fantasma del suo vecchio socio, riceverà la visita di Tre Spiriti, ognuno dei quali rappresenta un preciso momento del tempo, essi sono, infatti, il Fantasma del Natale Passato, Presente e Futuro. Grazie alla compagnia di questi, differenti nell’aspetto e nella personalità, egli riuscirà piano piano a riscoprire il calore e le gioie della vita, dando ancora una volta più importanza, come soleva fare da giovane prima che il denaro e l’ambizione lo persuadessero, agli affetti che agli oggetti, cominciando nuovamente a comprendere che il vero tesoro di questo mondo non è l’oro, ma l’amore che gli uomini e le donne possono provare nei confronti gli uni degli altri.
Sotto il lato tecnico, dietro al valore creativo ed alla padronanza nel saper muovere la telecamera, la pellicola è oggettivamente una gioia per gli occhi, composta e compatta, ricca di virtuosismi mai troppo marcati né vittima di momenti morti o lontani dalle atmosfere della storia originale. A dare supporto ad una messa in scena curata a puntino vi è poi una profondità percepibile anche senza l’ausilio degli occhiali 3D, grazie ai quali è possibile ammirare Un Canto di Natale al massimo di quanto questi possa offrire allo spettatore: neve che vola in ogni momento per le strade della City o che lentamente cade dinnanzi ai nostri occhi, oggetti capaci di fuoriuscire apparentemente dallo schermo, personaggi tanto tridimensionali da sembrare di averli accanto a noi, sono tutti elementi e dettagli che arricchiscono un’esperienza visiva ancor oggi straordinaria e dimostrativa del talento di chi è stato dietro alla macchina da presa.
Zemeckis, non a caso, si concentra molto sul tema legato ai viaggi del tempo, una sfumatura del suo Cinema importante e più volte ripresa in altri lavori, vedi la trilogia di Ritorno al Futuro o Cast Way o Beowulf; in ognuno di questi tre titoli le ore e gli anni, così come i secoli e le date, hanno un’importanza fondamentale capace di ripercuotersi sui personaggi ed i protagonisti, mutarli nel bene o nel male, e la storia di Ebenezer Scrooge si modella alla perfezione alla necessità del regista di voler dimostrare quanto quest’ultimo maturi un vero e proprio cambiamento interno con il lento passare delle ore durante la notte della Vigilia di Natale grazie alla compagnia, terribile, gioiosa, ambigua degli Spiriti del Natale.
Al contrario, magari, degli intenti originali dell’autore inglese, questa nuova lettura del classico natalizio accantona relativamente un po’ tutte quelle critiche sociali e quei valori vittoriani del tempo, per allestire un racconto on the road sulle strade di Londra o nelle lande innevate della campagna inglese; A Christmas Carol è infatti un lungo cammino, di coscienza e consapevolezza, prima che una vera e propria denuncia ad una società cambiata radicalmente con l’entrata in scena delle macchine e della rivoluzione industriale che colpì prevalentemente le classi meno agiate ed i lavoratori.
Se, perciò, si respira un considerevole cambio di interesse, nella sua messa in scena e nei contenuti, è altrettanto vero che, analizzato nel dettaglio, anche questo Canto di Natale coglie molti degli aspetti della poetica di Dickens, non alterando mai la storia, ma, anzi, riprendendola con grande dovizia nei dialoghi e nelle scene, mostrando più e più volte una considerevole riconoscenza nei confronti del materiale di partenza. E’ la dimostrazione della grandezza dei classici, che possono essere letti in diversi modi e possono offrire svariate sfumature, senza però mai, questi, essere completamente stravolti o radicalmente cambiati, poiché il messaggio al loro interno è tanto forte da dimostrarsi inamovibile al lento scorrere del tempo.
Per questo motivo A Christmas Carol, pur scegliendo di andare oltre e non sottolineando determinate situazioni, rimane colmo di quell’atmosfera percepibile fin dalla prima riga del libro originale, e lo spirito di Dickens permane, in ogni inquadratura, in una delle più belle ballate natalizie mai scritte.
Dato che, inoltre, la scelta di Zemeckis è quella di voler rappresentare il tutto dietro ad una lente digitale, non ci addentreremo nel modus operandi che ha portato alla vita questo progetto, basti dire che, ad oggi, le animazioni alternano situazioni in cui i personaggi mostrano espressioni credibili, ad altre in cui questi appaiono un po’ legnosi. La fotografia, tuttavia, e le scenografie colmano alcune lacune evidenti, e sebbene gli anni si facciano sentire visti i recenti miglioramenti in altre pellicole nella tecnica della Motion Capture, a riscaldare, in questa produzione, non è tanto la resa grafica quanto la storia che vi si respira al suo interno.
Grazie, inoltre, al cast a disposizione, ogni personaggio presente in Un Canto di Natale gode del carisma necessario per non essere dimenticato dagli spettatori, a cominciare dal taccagno Scrooge, interpretato da un Jim Carrey in stato di grazia, che con i suoi modi burberi e scontrosi, la sua versatilità ed espressività, saprà conquistare, scena dopo scena, l’odio e la simpatia di chi lo guarda dando al suo alter ego una sensibilità ed un’umanità davvero toccante; Colin Firth nel ruolo del nipote del protagonista e Gary Oldman nei panni digitali dell’impiegato Bob Cratchit, chiudono il cerchio, assieme a Robin Wright e Bob Hoskins, del team chiamato per rappresentare i molto comprimari sullo schermo.
Disney’s A Christmas Carol è una delle migliori rappresentazioni del classico di Charles Dickens degli ultimi anni, non solo per la sua voglia di sperimentare e andare oltre i soliti canoni della settima arte, ma soprattutto per aver offerto una chiave di lettura inedita ed al contempo classica dell’opera per antonomasia legata al Natale nella cultura occidentale del post Età Vittoriana. Scrooge, uno dei più meschini uomini della terra, grazie all’intervento degli Spiriti del Natale Passato, Presente e Futuro, avrà la possibilità di cambiare la propria esistenza e comprendere quali siano i veri valori nella vita di un uomo, cogliendo anche l’importanza del Natale, che per inciso, non va considerato solo in un particolare momento, ma conservato all’interno dei nostri cuori in ogni giorno dell’anno. Attingendo a piene mani dall’opera originale, cogliendo alcuni dei rimandi e dei tanti dettagli della società del tempo, Zemeckis trascina lo spettatore in un viaggio temporale affascinante e straordinariamente ispirato, ove le musiche di Alan Silvestri donano la giusta enfasi e incisività per una storia tanto sincera quanto commovente.
Lontano anni luce da quei luoghi comuni retorici ed opportunistici, intriso di pungente ironia, ed in alcuni frangenti persino colorato da tinte puramente horror riscontrabili alla presenza dello Spirito del Natale Futuro, A Christmas Carol arriva dritto al cuore, fa commuovere e divertire, senza farci vergognare di averlo fatto, fa vibrare le corde del nostro animo scatenando in noi reazioni contrastanti e quando un regista, così come uno scrittore, riesce ad arrivare a tanto, il giudizio finale non può che essere che di sincero entusiasmo e riconoscenza per aver dato conferma, ancora una volta, che le belle storie esistono e sono vere.
E dopo quanto scritto, per coloro i quali magari non ricordano bene (o affatto) il finale o sono curiosi di conoscere la conclusione di questa storia, che potrete gustarvi in compagnia o davanti ad un fuoco scoppiettante la prossima Vigilia di Natale con in mano una buona tazza di vino o di tea e nell’altra un piatto di dolci o altri tipi di leccornie, vi basti sapere che “Scrooge fece più che mantenere la parola. Fece tutto quanto, e infinitamente di più: e per il piccolo Tim, il quale non morì, fu un secondo padre. Divenne un amico, un padrone, un uomo così buono, come poteva mai averne conosciuto quella buona vecchia città, o qualunque altra buona vecchia città, borgata o villaggio di questo buon mondo. Alcuni ridevano, vedendo il suo cambiamento; ma egli era abbastanza saggio da sapere che su questo globo niente di buono è mai accaduto, di cui qualcuno non abbia riso al primo momento. E sapendo che in ogni modo la gente siffatta è cieca, pensò che non aveva nessuna importanza se strizzavano gli occhi in un sogghigno, come fanno gli ammalati di certe forme poco attraenti di malattie. Il suo cuore rideva e questo per lui era perfettamente sufficiente.
Non ebbe più rapporti con gli spiriti; ma visse sempre, d’allora in poi, sulla base di una totale astinenza; e di lui si disse sempre che se c’era un uomo che sapeva onorare nel migliore dei modi il Natale, quell’uomo era lui. Possa questo esser detto veramente di noi, di noi tutti! E cosi, come osservò il piccolo Tim, che Dio ci benedica, tutti!”
Comments