Dopo gli attentati di Parigi e l’intensificarsi delle attività terroristiche dello Stato Islamico nel cuore dell’Europa, un po’ tutti, anche chi normalmente non si interessava di questioni geopolitiche, abbiamo iniziato a discutere di cosa si dovrebbe o non si dovrebbe fare per porre fine a questo incubo di terrore.
Ognuno ha la sua ricetta e spesso la diversità di opinioni ci porta anche a litigare più o meno animatamente gli uni con gli altri, come tutti abbiamo potuto verificare frequentando negli scorsi giorni, bar, luoghi di ritrovo e ovviamente i social network.
Mi sono reso conto che il più delle volte i contrasti sorgono perché ciascuno parte da analisi diverse del problema, individuando diversi obbiettivi e di conseguenza anche diverse soluzioni, talvolta addirittura opposte.
Per questo penso che sia importante fare chiarezza sul quadro della situazione, sulle sue cause e i suoi sviluppi, perché si possa discutere del problema e dei rimedi e soluzioni con maggiore consapevolezza.
Partiamo dalle cause.
Come è possibile che degli esseri umani possano arrivare a compiere atti, come quelli compiuti a Parigi e in molte altre parti del mondo (anche se facendo meno notizia), che di umano non hanno praticamente nulla?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo capire, inanzitutto, cos’è lo Stato Islamico e come nasce.
Cos’è lo STATO ISLAMICO?
Lo Stato Islamico (detto ISIS, o ISIL, o Daish) è un’organizzazione terroristica che è nata in Iraq nei primi anni anni 2000 come “Jamā’at al-Tawḥīd wa l-jihād”.
Inizialmente guidata da Al-Zarqawi, la milizia ha svolto principalmente attività terroristica e di guerriglia contro l’invasione americana del 2003 e la successiva occupazione da parte delle truppe della coalizione.
Dall’ottobre del 2004, dopo che Al-Zarqawi giurò fedeltà a Osama Bin Laden, i media hanno iniziato a riferirsi a tale organizzazione come ad “Al-Qāʿida in Iraq”.
In realtà Al- Qāʿida e il movimento di Al-Zarqawi hanno sempre mantenuto identità distinte, e si sono contesi negli anni il ruolo di guida del movimento jihadista globale, fino alla rottura tra le due organizzazioni nel 2013, quando hanno iniziato a combattersi in Siria.
Terminata l’occupazione militare americana il gruppo ha continuato le sue attività contro le forze regolari del neonato governo iracheno, considerato una marionetta nelle mani degli Stati Uniti, ma il “successo” e la notorietà internazionale sono arrivati solo nel 2011, quando il gruppo, ormai guidato dal “Califfo” Al-Baghdadi (Al-Zarqawi era rimasto ucciso nel 2006), è intervenuto nella guerra civile siriana, facendosi notare per la particolare brutalità e spietatezza nel massacrare indistintamente sunniti, sciiti, cristiani, curdi, solo per il fatto di opporsi alla sua avanzata.
Proprio durante tale conflitto, nel 2014 lo “Stato Islamico” è stato ufficialmente proclamato.
Sempre negli scorsi anni, con il caos provocato dalla caduta di Gheddafi, l’IS ha iniziato a diffondersi e radicarsi anche in Libia, e si sono registrate affiliazioni all’organizzazione da parte di gruppi terroristici di alcuni paesi africani.
Chi lo ha sostenuto e finanziato?
Inanzitutto con l’ingresso nel conflitto siriano contro il regime di Assad l’organizzazione ha potuto contare sul sostegno di molti paesi arabi nostri alleati, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, nemici dichiarati del governo siriano che contrasta i loro interessi economici nella regione.
Inoltre anche gli Stati Uniti, interessati nella caduta del regime siriano, hanno lasciato correre e finanziato e fornito armi a gruppi ribelli siriani spesso vicini al gruppo terroristico.
La Turchia, paese membro della NATO, diverse volte si è ritrovata a facilitare e favorire le attività dello Stato Islamico con l’intento dichiarato di colpire ed indebolire le milizie curde, al fine di scongiurare la creazione di uno Stato curdo tra Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Quindi, lungi dal poter considerare l’attuale situazione nei termini semplicistici di “noi buoni contro loro cattivi”, bisogna rendersi conto delle cause che hanno portato alla diffusione del terrorismo, e di come, purtroppo, noi occidentali abbiamo avuto un ruolo decisivo destabilizzando per decenni certe aree geografiche per i nostri interessi economici, spesso anche rovesciando democrazie (per es. in Iran nel 1953) e sostenendo dittatori e gruppi terroristici perché combattessero contro i nostri nemici.
Molto spesso questi stessi dittatori (per es. Saddam Hussein) o gruppi terroristici (per es. Al- Qāʿida) ce li siamo ritrovati qualche anno dopo, cambiate le condizioni geopolitiche, come avversari.
Il tutto in un’unica certezza: la perenne condizione di instabilità e di terrore, e di conseguente povertà materiale e spirituale, delle popolazioni di quei paesi, che tra periodici interventi bellici e continui bombardamenti aerei, colpi di stato e rivoluzioni, di cui noi “impiccioni” occidentali siamo sempre stati in qualche modo responsabili, hanno perso tutto il necessario per qualunque prospettiva di vita.
Tra chi ha perso la casa, chi i propri familiari, molti hanno smarrito la propria umanità, e, ormai completamente devastati dalla disperazione, sono pronti a compiere qualsiasi atto di violenza per avere vendetta per tutto ciò che hanno subito, individualmente e come comunità, negli ultimi decenni.
Che poi urlino di farlo in nome di Dio poco conta.
Rendiamoci conto di come, non solo abbiamo negli anni creato terreno fertile e condizioni perfette per far sviluppare il terrorismo, ma poi lo abbiamo anche direttamente strumentalizzato e finanziato per combattere le nostre battaglie, per conseguire i nostri interessi economici e geopolitici.
Quindi no, non siamo i buoni.
I foreign-fighters europei
Più di recente si è sviluppato anche il terrorismo compiuto da cittadini europei affiliati all’IS.
Queste persone certamente non hanno subito il “trattamento” delle popolazioni del medio-oriente, e anzi si tratta spesso di giovani che da piccoli sognavano di “fare il calciatore”.
Nel loro caso le cause specifiche che conducono a compiere atti terroristi e ad aderire allo Stato Islamico sono, a mio avviso, da ricercarsi nella situazione di particolare emarginazione sociale che essi vivono, nel quadro di un contesto economico come quello attuale che comunque non consente esaltanti prospettive di vita per i più giovani. Su di loro, privi di grandi valori e punti di riferimento, ha fatto facilmente breccia la propaganda dello Stato Islamico, che è diventato appunto il “qualcosa in cui credere”, per cui vivere e per cui morire di cui avevano bisogno.
Lo STATO ISLAMICO e l’ISLAM
C’è chi semplicisticamente vorrebbe ricondurre il terrorismo all’Islam, in realtà la maggior parte delle vittime dell’IS sono fedeli musulmani, inclusi membri di altre milizie jihadiste, come Al-Nusra (Al- Qāʿida in Siria).
Inoltre la stragrande maggioranza dei musulmani professano l’Islam come religione di pace e ritengono assurdo che si possa uccidere nel nome di Allah.
Basti ricordare le condanne dei vari attentati terroristici pronunciate dalle più alte autorità dell’Islam, sia sunnita che sciita, oltre che le mobilitazioni di massa organizzate da moltissimi fedeli musulmani nelle piazze e nei Social Network (virale è stato in questi giorni l’hastag #notinmyname) .
Certamente l’Islam è però strumentalizzato dai terroristi per la propria propaganda e la manipolazione degli individui, anche se di fatto i leader dello Stato Islamico perseguono per lo più materialissimi interessi economici e geopolitici.
COME REAGIRE ALLA MINACCIA DELL’IS
Analizzate le cause alla radice del problema si può meglio discutere delle soluzioni.
Come sostenne Terzani, io ritengo che la soluzione da adottare, qualunque essa sia, debba avere come obbiettivo la causa del problema, e non tanto i suoi sintomi superficiali.
Per questo ritengo che si debba in qualche modo intervenire lì, dove tutto è nato, ma evidentemente non con le formule già sperimentate dei bombardamenti aerei che colpiscono tutti senza distinzione e che non possono che alimentare l’escalation di violenza di cui si nutre il terrorismo.
Certamente non si può restare a guardare, certamente bisogna agire, ma la soluzione non può essere solamente militare e deve necessariamente essere anche diplomatica e politica (coinvolgendo popolazioni e Stati della regione mediorientale), interrompendo ogni finanziamento ed ogni fornitura di armi alle organizzazioni terroristiche, oltre che mettendo fine alla politiche intromissive ed imperialistiche degli ultimi decenni.
Solo con la fine della guerra e della violenza nel medio-oriente e con lo sviluppo culturale, economico e politico della regione potrà essere efficacemente contrastato il terrorismo dello Stato Islamico, privandolo del terreno fertile della disperazione, nel quale ha potuto crescere rigoglioso negli anni.
C’è chi invece vorrebbe soluzioni che non richiedano il nostro benché minimo intervento o che, per motivi di estremo pacifismo, prospetta soluzioni improntante al dialogo con i terroristi. A me pare che soluzioni di questo tipo siano purtroppo impraticabili, vista la particolare brutalità e spietatezza dello Stato Islamico (che come abbiamo detto non è Al-Qāʿida) che massacra sistematicamente chiunque si opponga alla sua avanzata. Temo che di fatto tali soluzioni non possano che risolversi in un immobilismo senza portare ad alcun risultato.
C’è inoltre chi sostiene soluzioni che guardano invece più alla superfice del problema, pensando alla chiusura delle frontiere, alla riduzione delle libertà civili per motivi di sicurezza e all’intervento militare indiscriminato. A me pare che reazioni di questo tipo sarebbero esattamente ciò che i terroristi si augurano per poter continuare a prosperare sulle spalle della disperazione delle popolazioni del medio-oriente e per ottenere un cambiamento definitivo del modello di vita occidentale, con la rinuncia alle libertà ed ai diritti civili che ne costituiscono l’essenza, in un perenne stato d’allerta.
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