24 Novembre 2024

Recensione di Southpaw

Southpaw-Teaser-PosterSu Southpaw era possibile nutrire delle speranze, non molte, in tutta sincerità, ma un po’ era lecito crederci, forse perché i film sulla boxe riescono sempre a dare qualcosa in cui credere, un motivo per cui tifare il protagonista o un co-protagonista motivato al massimo, o perché l’America ha sempre visto in questo sport un modo attraverso il quale redimersi e cercare di andare oltre i propri errori, quasi fosse una via crucis con cui il protagonista di turno possa affacciarsi al mondo intero come un Cristo redento e iniziare una nuova storia, una vita ed imparare qualcosa dai peccati commessi in passato, dove una vittoria ha quasi un sapore di riscatto sociale e morale.


La vicenda legata a Billy Hope, pugile professionista imbattuto da più di quaranta combattimenti sul ring, è una come tante, che non fa della propria originalità un punto di forza, sottoponendo lo spettatore ad una storia di dolore, martirio e risalita sociale ed economica, umana e personale a cui ormai, probabilmente, siamo abituati da tempo. Billy, da campione imbattuto, vede andare tutto a rotoli dopo la tragica morte della moglie, dovuta ad una rissa nata dietro alle provocazioni di un giovane pugile colombiano in una serata di beneficenza; da questo momento in poi la vita di Hope prende una svolta improvvisa, questi cade nella depressione più nera, dimenticandosi persino di sua figlia. Allontanata, quest’ultima, dal padre a causa dell’instabilità e la natura violenta, privata di una famiglia ed una casa in cui abitare ed affidata ai servizi Film-Review-Southpaw-1sociali, la piccola Maureen sarà il motivo per cui Billy tenterà di riprendere la scalata al successo e, motivato come non mai, non esiterà un istante a combattere sul ring per riavere sua figlia, la propria vita e vendicare sua moglie.

Dietro alla sceneggiatura di Kurt Sutter si celava un intreccio che poteva avere degli spunti interessanti, non inediti, certo, ma quanto meno essenziali per costruire una pellicola che sapesse combinare tutta una serie di elementi attraverso cui dare alla luce un qualcosa di tecnicamente valido e concreto.

Un vero peccato scoprire che i virtuosismi di macchina di Antoine Fuqua, regista che potremmo catalogare come demiurgo d’opere di serie B, semi-acclamato ed odiato dalla critica, ma sempre sulla cresta dell’onda, sebbene la scarsa qualità palese nei suoi lavori, rendano Southpaw un qualcosa di puramente prolisso e  jake-gyllenhaal-southpaw-shirtless-1iperbolico sotto molti aspetti, distruggendo ogni cosa che di buono era possibile riscontrare in un film di genere sportivo.

Per non dilungarci troppo sui particolari o le motivazioni, vi basterà sapere che  l’ultima fatica di Fuqua è incapace di mostrare non solo una sufficiente qualità, ma un minimo di spirito di originalità, un guizzo, un’identità, un’ idea tecnica o visiva, per cui varrebbe la pena soffermarsi a tesserne le lodi. E’ un prodotto capace di andare al K.O. dopo un solo round, che non prova nemmeno a rialzarsi, tant’è incapace di mostrare la sua vera natura e le sue vere intenzioni.

Se pensiamo, infatti, agli innumerevoli film ambientati nel mondo della boxe, dai più riusciti, quali Million Dollar Baby, a quelli che avevano tutta l’intenzione di mostrare lo spietato e cinico mondo del pugilato sotto un alone romantico, come Cindarella Man, per poi passare, per estensione, ad un semi capolavoro come Warrior, ci possiamo rendere tranquillamente conto che, tali storie, possedevano una luce propria grazie, unicamente, ai personaggi che vivevano all’interno di esse, grazie ai quali lo spettatore andava ben oltre un superficiale legame affettivo, cercando di analizzare e scoprire la natura dei molti Southpaw+Movieprotagonisti che hanno preso parte a questi lavori, i quali, belli o meno, hanno comunque dimostrato di voler descrivere con sincerità una storia tanto curata da apparire vera sullo schermo.

In Southpaw a non funzionare sono proprio i personaggi, oltre che i momenti e le situazioni, ad eccezione di alcuni comprimari che attingono a piene mani da produzioni recenti o fanno propri precisi cliché incredibilmente datati, e per questo motivo, al di là di lacune considerevoli nella sceneggiatura ed una regia che opera chirurgicamente nel modo sbagliato spezzando in toto la magia del Cinema, si arriva ai titoli di coda allibiti e delusi, per aver assistito, in definitiva, ad una mera occasione sprecata.


Capita, inoltre, che pellicole, pur non del tutto riuscite, si salvino grazie ad un cast affiatato o ad interpretazioni magistrali e sebbene Jake Gyllenhaal non si vergogni a mostrare muscoli e talento, la sua performance è anni luce lontana da quella prova strabiliante fatta ne Lo Sciacallo, questo perché, in sua difesa, va riconosciuto la complessità di interpretare un ruolo quasi sempre sopra le righe, tutt’altro che profondo, e arricchito da dialoghi a volte imbarazzanti e situazioni surreali. L’unico attore a convincere è Forest WhitakerSOUTHPAWanche se ricalca la figura dell’allenatore burbero proprietario di una vecchia palestra in un quartiere semi-malfamato, brutta copia di quel Morgan Freeman che vinse l’Oscar nel capolavoro degli anni 2000 di Eastwood.

Southpaw è il peggior film di boxe degli ultimi anni, e pensare che il potenziale per presentarsi come una grande pellicola lo aveva tutto. In fondo, sono veramente pochi i registi che possono vantare un cast di tal portata per un progetto di questo tipo, ma Fuqua riesce ad annientare ogni regola da rispettare nei film di pugilato e tutto ciò che di buono questa pellicola poteva dire su più livelli, rivelando tutte le pecche e gli errori del suo cinema, distribuendo di new-movie-southpaw-was-created-for-eminem--but-heres-why-the-role-ended-up-going-to-jake-gyllenhaaltanto in tanto un velato razzismo e annientando il pathos necessario per far si che il tutto coinvolga lo spettatore.

I primi venti minuti, ad essere buoni, possono anche risultare accettabili, poi il tutto scivola in un vortice di non senso, incapace di indirizzare la storia in una precisa direzione, mettendo così tanta carne in tavola da creare un’indigestione visiva, causata anche da una sceneggiatura priva di momenti esaltanti ed una regia che, con semplicità, annienta quanto di bello, registi di altra risma, avevano realizzato sul ring negli scorsi decenni. Cercando, proprio con determinate riprese, di essere rivoluzionario ed originale, Southpaw cade al tappeto in modo pietoso, non porta rispetto alla memoria di James Horner, che sarebbe giusto ricordarlo per aver scritto colonne sonore di vera e rara bellezza e dimenticare il suo nome presente, qui, nei titoli di testa e di coda. Fuqua, ancora una volta, si mostra incapace di esprimere il meglio di se stesso ed il suo cinema rimane un’esclusiva personale, difficile da condividere e altrettanto ostico da ingerire, privo di quella sincerità e concretezza finale che porta a credere a quello che vediamo in una sala. Freddo e spietato, una delusione amara da buttare giù.

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Jake Gyllenhaal, Rachel McAdams, Antoine Fuqua, Boxe, Movie, Film,
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Claudio Fedele

Nato il 6 Febbraio 1993, residente a Livorno. Appassionato di Libri, Videogiochi, Arte e Film. Sostenitore del progetto Uninfonews e gran seguace della corrente dedita al Bunburysmo. Amante della buona musica e finto conoscitore di dipinti Pre-Raffaelliti.
Grande fan di: Stephen King, J.R.R. Tolkien, Wu Ming, J.K. Rowling, Charles Dickens e Peter Jackson.

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