Recensione de Il Mistero di Sleepy Hollow
Nella vasta e poliedrica filmografia di Tim Burton, Sleepy Hollow possiede un valore particolare, tanto che potremmo definirlo un film contaminato da innumerevoli fattori, non tanto per quelli che concernono la storia, tratta da un classico della letteratura americana, bensì per tutta una serie di elementi che vedono proprio nella sua messa in scena quel qualcosa di variegato e amalgamato a precise sfumature che hanno, con il tempo, sempre più contraddistinto lo stile del cineasta americano, che qui trovano, finalmente, la loro definitiva consacrazione.
Questa ennesima collaborazione con Johnny Depp, che sottolinea ancor più saldamente l’ormai trentennale sodalizio tra questi ed il regista, iniziato con Edward Mani di Forbice, porta al suo interno le vesti di un cinema puramente europeo e di fatto Il Mistero di Sleepy Hollow non si vergogna a rivelare le fonti da cui attinge, proponendo costantemente tutta una serie di situazioni e rappresentazioni che richiamano non solo un espressionismo nostrano, con cui familiarizziamo con grande facilità, così come un senso del gotico quasi letterario, ma mai barocco, dagli echi vittoriani, ma che fanno appello ad un egregio signore, ormai di fama mondiale, che ha lasciato la sua impronta nel cinema di genere (e non solo), quale Mario Bava.
Non è infatti un caso che, per chi ha dimestichezza con le opere del film-maker italiano, la storia di Crane e del Cavaliere senza Testa sia intrisa e riempita fino all’inverosimile di echi e rimandi al lungometraggio noto come La Maschera del Demonio ed il successivo I Tre Volti della Paura. Particolari scenografici, effetti speciali e visivi, impostazioni di macchina, tagli di luce e citazioni riempiono questa fiaba gotica, tratta dall’omonimo racconto di Washington Irving, dal quale però Burton trae una versione tutta sua, pienamente nelle sue corde e con il solito stile estetico a lui riconducibile, nel quale si diverte ad inserire personaggi o oggetti presenti in altri suoi lavori, come l’immortale Jack Skeletron di Nightmare Before Christmas, per l’occasione travestito da spaventapasseri. Strizzando l’occhio all’episodio dei Wurdalak, il burattinaio di Burbank si lascia andare nel muovere il suo protagonista Johnny Deep in una piccola cittadina di campagna, a qualche miglia di distanza da New York, dove il bigottismo e l’ignoranza degli abitanti locali, entrato in contrasto con la fede che l’ispettore Crane ha verso la medicina, la scienza e la deduzione.
Un giallo ed un thriller macchiato di horror in piena regola, che segue gli schemi e i canoni del genere di appartenenza, pur rimanendo fedele all’anticonformismo ed alla voglia di ribaltare i punti di vista, aspetti tipici del cinema di Burton, al quale ancora una volta non sfugge, grazie all’ironia ed al sarcasmo nero come la pece, ma sempre elegante e sobrio, di lanciare qualche critica alla società, ai creduloni ed al contempo, però, anche a chi non crede nella magia e che pretende di vivere un’esistenza “quadrata”, priva di quell’alone di mistero che ci fa sentire vivi.
Ichabod Crane si mostra così come un personaggio precursore dei suoi tempi, ma fragile, un fidato servo della deduzione e del metodo investigativo alla Sherlock Holmes, a cui purtroppo, manca la fantasia e la fiducia verso l’ignoto e l’irrazionale, una lezione che imparerà presto, dalla vita e dall’esperienza, e che, al contrario dei cittadini di Sleepy Hollow, proverà a comprendere ed applicare su un piano logico, che tocchi sia il fiabesco, ma non dimentichi di essere impiantata in una vicenda che pone l’uomo e la magia su uno stesso livello, senza fare appello a voli pindarici o momenti estremi dove il fantasy prende il sopravvento.
Poiché la pellicola non si configura come un capolavoro, né possiamo enunciarla tale, anche in virtù dei tanti altri progetti nati dalla mente del regista, va comunque riconosciuto a Il Mistero di Sleepy Hollow che il lavoro fatto da Burton sia intriso di tutta una serie di meccanismi scenografici e scenici di grande impatto, che fanno funzionare sempre a dovere l’impianto narrativo e che grazie alla fotografia di Lubezki trovano un’originalità nella messa in scena capace di mettere in risalto ogni elemento visivo, sorretti, poi, da un cast ben amalgamato ed ispirato e le sempre evocative musiche di Danny Elfman, qui leggermente più maestoso e forse meno personali di altre brillanti produzioni .
Mettendo, dunque, mano e dando un giudizio generale all’opera con la quale potremmo sentirci, per certi aspetti, più affini, nonché ricca di omaggi rivolti ad un maestro della settima arte quale Bava, Burton compone un altro tassello importante nella sua filmografia, non cadendo nella citazione gratuita, nel fare di se stesso un qualcosa di già preconfezionato, allontanandosi dal concetto di apparire ormai datato o “burtoniano”, per meravigliare e stupire con colori e immagini di grande impatto e bellezza, con una storia suggestiva ed angosciante, bella e letale, come la figura del cavaliere senza testa, desiderosa di recidere capi dal busto degli sventurati abitanti di Sleepy Hollow, maledetti e dannati, peccatori e colpevoli, come in ogni fiaba dell’orrore che si rispetti.
Comments