Recensione de Il Cavaliere Oscuro
Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan è senza ombra di dubbio uno di quei film visivamente ed emotivamente tanto potenti da andare ben oltre il genere di appartenenza, capaci persino di assorbire al proprio interno alcune delle tematiche e complessità che sono i cardini della cinematografia del noto registra inglese, che con il passare degli anni si è saputo far apprezzare sia per le doti tecniche, che per le sceneggiature tutt’altro che lineari, prendiamo due, forse, dei casi più eclatante degli ultimi anni: Memento ed Inception.
La vicenda di Batman offre naturalmente una struttura, a livello di trama, molto meno articolata, se confrontata con altri suoi lavori, che non predilige un esoscheletro a spirale sia nei contenuti, che nella messa in scena o nello svolgimento dei fatti, che avrebbero potuto, magari, portare lo spettatore a momenti di confusione o stand-by, ma resta comunque un lavoro tutt’altro che superficiale, ove al cui interno è chiara e lampante la voglia, nonché volontà, di esaminare, in modo certosino e attento, la figura del super-eroe per eccellenza della DC Comics (dopo Superman) in modo tanto inedito, sotto il profilo del cine-fumetto, quanto classico, nella sua veste più umana e drammatica.
Il tenebroso e turbato Bruce Wayne, che finalmente ha il volto di un attore di estremo talento, Christian Bale, dopo anni ed anni di delusioni, così tanto tempo è passato che bisognerebbe chiamare in causa Tim Burton e il suo Michael Keaton per fare appello alla qualità e doti recitative degne di nota, è chiamato a vedersela con un nuovo criminale, il Joker, la nemesi per eccellenza del Cavaliere Oscuro, colui il quale rappresenta l’essenza di quella criminalità che in più di un’occasione ha segnato il destino e la particolarità della città di Gotham, la quale sfocia in una sfumatura di pura anarchia e caos.
H. Ledger grazie alla sua strabiliante interpretazione, così sopra le righe da sembrare contenuta perfettamente nelle vesti del folle antagonista, si è assicurato, meritatamente, un posto nella leggenda e nel cuore dei fans dell’uomo-pipistrello, lasciando impresso il proprio marchio nell’immaginario collettivo, anche grazie alla frase “Why so Serious?”, tracciando un’impronta indelebile in quella calda estate del 2008, che segnò l’uscita nelle sale del secondo capitolo della nuova trilogia diretta da Nolan, pochi mesi dopo la sua prematura morte in New York.
Laddove il Joker di Jack Nicholson, di cui Burton si prendeva amorevolmente la briga di curare sia la genesi che la crescita, faceva della creatività il suo punto di forza, dando vita, quale demiurgo impazzito, dal caos ad un ordine sovversivo ed anticonformista, rivisitato in una chiave criminale e schizofrenica, Nolan conferisce al suo uomo dal volto dipinto da quel sorriso slabbrato e da quelle cicatrici, di cui non sapremo mai la verità, un’aura crudele tanto letale quanto distruttiva, la quale si confà, in tutto e per tutto, ad una semplice natura anarchica.
Batman è costretto a vedersela non solo con un rivale in carne ed ossa, ma una vera e propria icona, un simbolo, una malattia che si identifica nella peggior parte di Gotham, una metropoli veramente sull’orlo della crisi, degli attentati e del terrorismo, ed allora, in tempi di grande disperazione, è giusto, forse eleggere un protettore? E potrà mai questi metter fine al supplizio?
Nolan cinicamente mostra a noi tutti, lavorando molto sulla metafora, come persino Batman, l’eroe senza macchia, dinnanzi alle debolezze umane, del suo alter ego, poco possa fare ed i silenzi, accompagnati dal dolore per la scomparsa di persone care e dal sacrificio, sono l’unico modo per salvare il luogo dei propri natali, laddove questi sono sconquassati da persone di cui nessuno riesce a comprenderne la natura e la logica.
A distanza di sette anni The Dark Knight si rivela, tutt’ora, una pellicola capace di lasciare il segno, un progetto tanto saldo e rivoluzionario da mettere in ombra decine di produzioni parallele ad esso, che mette in chiaro un lascito che persino adesso, dispiace ammetterlo, non è stato colto o superato da altri registi, né da Christopher Nolan stesso, incapace di ripetersi con un terzo capitolo finale nel 2012.
Un’opera imponente, creativa e oscura, accompagnata da una maestosa colonna sonora ed un’elegante e sobria fotografia, che si innalza in volo come solo il Cavaliere Oscuro sa fare, sorretta da una regia brillante ed una messa in scena spettacolare, che non predilige l’esaltazione fine a se stessa, ma punta tutto su i personaggi e su i loro peccati, mostrando ai più non tanto le virtù, ma le debolezze di questi e la vicenda di Harvey Dent, procuratore distrettuale di Gotham, nonché nuova speranza per la lotta al crimine, rappresenta la perfetta incarnazione di questa decadenza esistenziale, laddove proprio lui, nel momento di maggior difficoltà, cadrà vittima delle lusinghe e dei pensieri del Joker, abbracciando la natura malvagia insita in esso, gettando la maschera dell’uomo per bene, per indossare quella del neo criminale Due Facce, nato dalle ceneri di un’animo nobile che credeva nella giustizia e nell’ordine, ormai sopraffatto dal dolore e dalla disperazione, convinto seguace delle leggi del caso, della sorte e della vendetta. Un film capace di conquistare ogni spettatore, che si distacca con prepotenza dalla natura di appartenenza, rientrando con orgoglio tra i migliori film tratti da i fumetti e degli ultimi anni.
Lode e lunga vita al Cavaliere Oscuro ed al suo Joker.
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