Recensione di Transformers
Nel 2007 l’uscita di Transformers fu attesa e poi accolta con grande entusiasmo da parte del pubblico, finalmente avremmo visto una trasposizione in live-action al Cinema, diretta da un regista che di scene spettacolari ne sapeva fin troppo e prodotta dal l’onnipotente Steven Spielberg, dei famosi robot targati Hasbro. Era il momento giusto, la realizzazione di un sogno da parte di molti, il punto di rottura che avrebbe significato la svolta: non più cartoni animati o tavole da disegno per dare vita ad Optimus Prime e Megatron, ma effetti speciali e computer grafica.
E’ perciò un grande peccato constatare che Transformers, primo capitolo di una saga che nel 2016 arriverà al quinto episodio, dopo un quarto concepito e realizzato come un semi-reboot, sia invero l’esatto opposto che un blockbuster estivo dovrebbe essere, anzi, un “buon” blockbuster per correttezza. Se, infatti, la pellicola viene analizzata seconda un’ottica puramente coerente alla produzione passata (e futura) del regista, ci si rende conto che il lungometraggio è tanto nelle corde del regista, quanto atipico sotto molti punti di vista, regalando tuttavia momenti abbastanza ben costruiti, tipo l’arrivo sulla terra degli Autobots o la sequenza di apertura, continuamente però penalizzati da scelte tecniche discutibili.
Di Michael Bay ricordiamo sempre le tante e ripetute scene cariche di esplosioni, quel tipo di fotografia così satura da rendere ogni inquadratura bidimensionale o priva di tagli particolarmente illuminanti di luce, per le co-protagoniste femminili astutamente affascinanti, sempre pronte ad essere le classiche “damigelle in pericolo” e talvolta dotate di poca personalità nonché superficiali (e davvero qui ci troviamo davanti al caso più eclatante, perché Megan Fox tutti la ricordiamo, ed è possibile azzardare dire “ricorderemo”, per essere stata scoperta dal regista di The Rock ed Armageddon ed inserita in questo film) e poi ci sono i momenti interminabili, le sequenze preparatorie alle tante scene adrenaliniche che costantemente Bay mal calibra, rendendole infinite, più lente dei rallenty da lui abusati, appesantendo il prodotto fino all’invero simile.
I Robot di Cybertron non fanno eccezione a tale regola, anzi, sottolineano quanto la pellicola abbiamo avuto, probabilmente, delle pressioni notevoli da parte della produzione, affinché il regista non si lasciasse prendere troppo la mano, non considerando il fatto che, così facendo, il risultato finale è stato di gran lunga penalizzato. Dovendo, quindi, gestire ed imbastire una storia, che sapesse catturare o quanto meno non annoiare il suo pubblico, il film-maker impiega quasi più di un’ora, su un minutaggio totale di 130 minuti, per presentare tutti i personaggi e innescare la narrazione in modo definitivo; una scelta, questa, davvero poco condivisibile, se ci rendiamo conto che gran parte delle prime sequenze sono se non superficiali, talvolta tediose, imbarazzanti e particolarmente lente, incapaci di brillare di quella ironia e sarcasmo, fascino grottesco o poca serietà che negli episodi successivi è stata messa malamente a nudo proprio in quanto prodotti unicamente orientati a far sorbire allo spettatore uno spettacolo di sole botte e combattimenti.
Appare quasi voler nutrire della ambizioni considerevoli Transformers, sin dal prologo che viene narrato con la voce fuori campo di Prime, ed invece il castello di carte di Michael Bay è destinato a crollare su sé stesso, non solo per la storia in sé, dato che la sceneggiatura alla fine dei conti così pessima non è, piuttosto per la poca ispirazione ed impegno messo dal team nella realizzazione dei personaggi, veramente superficiali, stereotipati, sovraccaricati di battute banali, spacconi e sopra le righe in modo innaturale.
A questo, poi, aggiungiamo l’ottica di Bay, un regista che vuole massacrare il suo paese sempre nel modo sbagliato, non costruendo mai, attraverso le immagini, una critica intelligente, ma piazzando qua e là situazioni credibili, ma inverosimili o dal cattivo gusto etico. I Militari Americani che rinfacciano un loro “compagno” di origini messicane di non parlare “la loro lingua”, il rivenditore di macchine di fiducia, rigorosamente di colore e dai modi ambigui che sfrutta a nero gli immigrati (anch’essi messicani), mentre, a gli Americani vengono sempre, costantemente, dati i ruoli, anche nella società, che ogni uomo bianco vorrebbe avere, poiché sono loro il simbolo dell’unico paese “libero” al mondo e per questo devono apparire senza macchia. Una divisione netta ed una critica verso un mondo che Bay non si disturba a mostrare in tutto il suo essere manicheo, culminando nella piccola rappresentazione di un presidente U.S.A. occupato solamente a chiedere al proprio staff, sull’Air-Force-One, un particolare tipo di dolce, mentre collaboratori e segretari sono indaffarati a combattere contro una minaccia aliena.
Lasciamo, a questo punto, stare tutta la politica, apprezzabile o meno, del giocattolo di Bay e addentriamoci nella storia, che vede il giovane Sam Witwicky catapultato nella lotta tra Autobots e Decepticons, a causa dell’All Spark, un’antica reliquia capace di creare e trasferire energia con la quale un suo antenato era venuto a contatto.
Un plot narrativo tutt’altro che originale, ma, come esplicato sopra, non troppo da condannare, con la costante dicotomia tra buoni e cattivi, bene e male, ove alle tante esplosioni e massacri dei Decepticon, Optimus Prime, leader degli Autobots, risponde con una retorica da seconda guerra mondiale a volte tanto fuori luogo, quanto coerente con il personaggio stesso, poiché se dopo quaranta-minuti si assiste solo a frasi fatte, alla fin fine, si inizia anche a crederci o arrenderci all’idea che un robot, in effetti, non possa far altro che discorsi che strizzano l’occhio ai più noti cliché bellici.
Transformers poteva essere un discreto film, pur rimanendo comunque il migliore, per adesso, della saga, ed invece si è rivelato un prodotto distrutto da un potenziale inespresso e da una mal gestione dei tempi, condito solo da una buona colonna sonora, ma in alcuni punti ripetitiva e troppo figlia delle composizioni di Hans Zimmer. Un prodotto che ogni tanto si prende la briga di omaggiare pellicole cult quali Terminator, Incontri Ravvicinati con il Terzo Tipo, E.T., e tante altre, senza mai però conquistare lo spettatore, o meglio, quel tipo di pubblico con delle pretese. Perché chi nutriva una qualunque aspettativa probabilmente rimarrà deluso da questo primo atto, mentre chi sperava in un ammasso di scontri al cardio palma resterà (in parte) soddisfatto, a patto di restare per 70 minuti sulla poltrona ed assistere a dei robot impediti che distruggono il giardino di un umano senza rendersi conto delle loro proporzioni. Un cast sprecato, ad eccezione della bellezza di Megan Fox, che bilancia tanto ben di Dio per gli occhi con una performance superficiale e dimenticabile, su cui Bay punta tutti i riflettori per mettere in risalto la pelle abbronzata della sua nuova (ex) pupilla, ed un reparto tecnico non al top, coadiuvato, va detto, con grandi effetti speciali e sonori, chiudono il cerchio di un produzione nata unicamente per divertire il pubblico e fare soldi, velata ogni tanto da un forzato sentimento di nostalgia. I soldi, di sicuro, li ha fatti, il pubblico magari non tutto l’avrà divertito.
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