Recensione de L’Uccello dalle Piume di Cristallo
“Il primo film di Dario Argento dietro la macchina da presa”
Il 19 Febbraio del 1970 è una data tra le più importanti per il Cinema italiano, un giorno che non deve essere dimenticato in futuro né tanto meno da prendere alla leggera o attribuirgli poco valore. Il motivo è molto semplice: viene distribuito al cinema per la prima volta L’Uccello dalle Piume di Cristallo di Dario Argento.
A soli ventinove anni Dario A. realizza una pellicola destinata a fare la storia della settimana arte, mostrandosi a gli occhi di tutti da un lato come un regista prodigio, pieno di potenziale da esprime e voglia di mettersi in gioco, e dall’altro come una persona spinta dal bisogno di sperimentare tenendo a mente, però, tutti quegli autori suoi contemporanei (o recenti) capaci di ispirarlo per i suoi lavori.
L’Uccello dalle Piume di Cristallo, primo della così detta “trilogia degli animali” composta anche da Il Gatto a Nove Code e 4 Mosche di Velluto Grigio, è un lungometraggio che Argento riuscì a plasmare nella sua mente grazie alla lettura del libro La Statua che Urla di Frederic Brown. A casa del regista Bernardo Bertolucci, il giovane Dario si ritrova tra le mani il romanzo di Brown, chiede al collega se può prenderlo in prestito e dargli un’occhiata, Bertolucci lo lascia fare, convinto che quella potrebbe essere la volta buona e che forse, con lui, possa uscirci un film discreto da quel racconto, anche se le difficoltà sono molte a partire da una componente psicologica insita nel manoscritto che non sarebbe stata semplice da trasporre sul grande schermo.
Così è Dario Argento ad occuparsi ufficialmente del progetto, all’epoca questi era un nome conosciuto nell’ambito cinematografico, poiché aveva aiutato Sergio Leone nella stesura della sceneggiatura della pellicola C’era una Volta il West, ed occupava una posizione di critico presso la rivista Paese Sera, ma L’Uccello dalle Piume di Cristallo avrebbe comunque segnato l’esordio del prodigo regista e la pressione, così come le aspettative, era considerevole.
Oggi assistere alla visione di questo lungometraggio è senza dubbio un’esperienza unica, capace adesso come all’ora di suscitare forti emozioni in chi lo guarda, mostrando a noi tutti che il film gode di una freschezza ed una invulnerabilità alla vecchiaia davvero eccelsa. Non riesce ad invecchiare un film come questo, né a scemare con il tempo, ma anzi, più gli anni ed i decenni passano e la polvere si posa su di esso, più si comprende il suo valore e l’importanza che l’esordio di D. Argento ha significato per il cinema nostrano.
Nella sua più semplice ed oscura essenza il primo film dell’ormai noto regista romano non attanaglia lo spettatore per la storia in sé per sé, anche se va detto che un noir, un thriller, o un comune “giallo” hanno sempre il potere di acchiappare l’attenzione dello spettatore in modo diretto rispetto ad altri generi cinematografici/letterari. L’Uccello dalle Piume di Cristallo resta impresso come un marchio nella mente di chi lo guarda grazie soprattutto alla regia ed all’impostazione scelta dal regista nel voler raccontare una determinata storia carica di mistero e fascino.
Eppure il valore di quest’opera è ben lungi dal fermarsi qui, poiché siamo di fronte ad un qualcosa di rivoluzionario, un film che per la prima volta cambiò quelle che erano le regole ed i canoni del genere giallo in Italia e promosse tutta una serie di innovazione a cui ormai siamo bene abituati. Prima de L’Uccello dalle Piume di Cristallo si aveva quasi sempre una concezione del thriller alla Agatha Christie, tanto per fare un esempio concreto, ove l’ispettore o il detective si impegnava a scoprire il colpevole dopo tutta una serie di peripezie e processi logici. C’era stato ovviamente, anche Arthur Conan Doyle, nel 1800, con Sherlock Holmes ed il suo “giallo deduttivo” ove si arrivava alla conclusione del romanzo ed alla conseguente rivelazione dell’assassino (o colpevole) grazie a tutta una serie di processi logico/mentali eseguiti stavolta dal brillante detective di Baker Street.
Argento invece cambia quelle che sono le carte in tavola del genere, le inverte, le modifica, le “snatura” persino, fino ad arrivare a siglare un prodotto intessuto di una atmosfera onirica condita da quell’alone di mistero e suspense che per la prima volta veniva mostrata al pubblico italiano del 1970.
Il protagonista, Sam Dalmas (Tony Musante), è un americano che soggiorna a Roma, una sera, intento a tornare alla sua abitazione, questi assiste a quello che sembra essere un tentato omicidio in piena regola in una galleria d’arte come tante. Con il mancato omicidio e la conseguente la fuga del presunto assassino, la polizia cerca di arrivare a capire chi possa essere il colpevole, ma sarà lo stesso Sam, spinto da una morbosa curiosità, a mettersi sulle tracce e ad indagare su il colpevole dei tanti efferati omicidi che nelle settimane precedenti hanno disturbato la quiete romana.
Sam Dalmas si immedesima quindi nel detective d’occasione, nell’ispettore che con i propri mezzi e le limitate conoscenze cerca di far chiarezza sull’accaduto, mostrando, sotto un profilo puramente contenutistico, il primo cambiamento di quello che sarà il cinema di Argento, il quale propone così un protagonista completamente estraneo da un ambiente o una carriera di poliziotto o investigatore privato, invischiato fino al collo (ed in prima persona) in una storia pericolosa alla quale vorrà, lui stesso, arrivare a dare una soluzione.
Quel che tuttavia ci porta a mettere L’Uccello dalle Piume di Cristallo, tra i migliori lavori del regista romano, è in primis la messa in scena, orchestrata alla perfezione e ricca di spunti interessanti. Argento gioca tutto sul fattore “vedo, non vedo” ove il protagonista è messo fin da subito dinnanzi alla evidenza dei fatti, così come lo spettatore stesso, ma l’occhio e per estensione la nostra mente, vede solo ciò che davvero vuol vedere, non analizza la scena e ciò che abbiamo intorno in modo oggettivo e così finisce che un’azione possa godere di una duplice interpretazione e rovesciare, in questo modo, la realtà. L’intrigo realizzato da D.A. funziona non solo perché si rivela essere sempre ben realizzato, alla base, anche sotto quello che potremmo chiamare “introspezione psicologica”, ma poiché è capace di inscenare tutta una serie di situazioni dove lo spettatore si sentirà minacciato, non si fiderà più di nessuna comparsa sullo schermo e capirà quanto in realtà fosse semplice, ed evidente, la soluzione una volta giunti all’epilogo della storia rimando appagato dal tutto una volta arrivato ai titoli di coda.
Argento, inoltre, non solo si dimostra capace di saper sfruttare già nella sua opera prima lo spazio, le inquadrature, il suono, la tensione, non solo si rivela padrone della telecamera, facendo appello a tutto il proprio bagaglio culturale e prendendo come esempio alcuni tra i più grandi registi al mondo (vedi Hitchcock con i suoi grandi classici o Mario Bava con i film “Sei Donne per l’Assassino” o “La Ragazza che sapeva Troppo”), ma mette in luce una certa maestria anche quel che concerne l’utilizzo dei corpi sulla scena, specialmente quelli femminili che di certo non passano mai inosservati, ma si dimostrano veri protagonisti della pellicola. Alle donne Argento non solo riserva un ruolo importante, come in gran parte dei suoi film, ma da loro tutta una serie di caratteristiche che le permette sempre di rimanere impresse nella mente dello spettatore sia in positivo che in negativo.
Commento Finale
L’Uccello dalle Piume di Cristallo, opera prima di Dario Argento, uscita nel lontano ormai 1970, è un classico del cinema italiano, che spazia oltre il genere, che sa dare allo spettatore tutto quello di cui ha bisogno, rivelandosi un prodotto realizzato non solo da un uomo a cui è interessato l’intreccio, ma che ha ha dato tutto se stesso nella realizzazione certosina di una storia che sotto il profilo tecnico si dimostra sperimentale ed esaltante pur rimanendo fedele a molti capisaldi del nostro Cinema. Dando i giusti rispetti ed omaggi ai lavori di Bava e Hitchcock, Argento riesce andare oltre, sigla un prodotto che non sarà il suo capolavoro, ma che di certo rivoluzionerà il giallo all’italiana, dando inizio, in tal modo, non solo alla carriera di un promettente regista, ma ad una nuova concezione di fare Cinema.
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