1992 – L’Italia: Terra del Peccato e dei Cavalieri
Commento all’Episodio 3 & 4
Partiamo con il parlare della sigla, perché sarebbe davvero ingiusto affiancare questa sferza di titoli di testa a tanti altri siparietti che aprono le danze ai tanti episodi delle tante altre serie tv di tutto il mondo. La traccia musicale che alza il sipario in 1992 è di grande impatto, bellissima sia musicalmente, che esteticamente tanto da mettere una carica addosso allo spettatore non appena si sentono in sottofondo i toni e le note fatidiche davvero in modo considerevole; non mi stupirebbe se questo fosse uno degli elementi che verranno maggiormente ricordati della nuova serie Sky, realizzato, va detto, dal tastierista dei Subsonica, che tra l’altro dovrebbe essere persino il fidanzato della M. Leone, ma questi sono affari che non concernono, né hanno alcuni rilievo nei confronti del telefilm.
Però a voler partire da questo punto preciso si rischia di essere troppo critici poi verso l’episodio 3, una puntata scialba che sa gestire male i personaggi e continua a svolazzare tra una story-line e l’altra senza cercare di iniziare a dare un peso alla storia in generale o ai molteplici protagonisti. Perché in fondo siamo sempre lì con il conto: c’è tanta carne al fuoco, la voglia di raccontare un intero anno di storia Italiana, ci sono moltissime sotto-trame da gestire e poi bisogna occuparsi di Tangentopoli e Mani Pulite. Possibile, però, che in tutto questo siano proprio gli elementi politico/giuridici a farne le spese? L’unico caso in cui sia le vicende del protagonista si sposano alla perfezione con la rappresentazione del Paese, nel ’92, è quello di Pietro Bosco, ormai deputato leghista, che un po’ come gran parte di noi (italiani medi, di certo scoprirebbero a malincuore) si ritrova in Parlamento, ma sopratutto nella alta società Romana, ove le decisioni politiche più importanti non vengono prese dove si è solito aspettarsi, ma nei ristoranti, senza sapere come comportarsi e mostrandosi sempre più come un pesce fuor d’acqua.
Stefano Accorsi, nelle vesti di Riccardo Notte, si è ricucito addosso un ruolo da ’90, perché dall’alto di Milano è lui che inizia a capire che Berlusconi potrebbe essere la nuova rivoluzione nonché figura di spicco, così come non si arrende all’idea che l’avvento della televisione porterà un cambiamento sociale radicale, cerca di convincere Dell’Utri riguardo la decisione da prendere, di affiancare il Cavaliere in modo da salire in anticipo sul carro dei vincitori. Cinico, arguto e intelligente, il talento del personaggio, così come dell’attore stesso, viene costantemente messo in ombra da una irrefrenabile voglia di sesso, a volte dagli echi Casanoviani, e da un atteggiamento da latin lover che in più funzioni assume sempre più i contorni di un quasi Deus ex-machina psicologico da usare in estreme condizioni di difficoltà o fastidio. Così tutti gli elementi politici e che potrebbero dare corpo ai vari “intrighi” vengono spesso messo in secondo piano, liquidati più volte con un valore didascalico che impoverisce la trama, subissati però da faccende personali dai risvolti noir che lasciano a desiderare riguardo la loro gestione. Il passato del Dott. Notte è oscuro, ma forse non abbastanza accattivante.
Seguendo un certo percorso che si ripercuote anche nel quarto episodio la bellissima Miriam Leone si rivela ormai una spina nel fianco per l’economia della serie. Visto come personaggio principale la sua Veronica ruba la scena a momenti che avrebbero necessitato di un ampio respiro, ma che un po’ per colpa sua, un po’ per i continui siparietti di incapacità di Tea Falco (a cui sarebbe gradito darle una doppiatrice per le nostre povere orecchie), questi vengono sigillati repentinamente dando l’impressione, in definitiva di aver visto una puntata composta da tante clip di lunga/media durata. Un esempio pratico di quanto detto è l’incontro tra Di Pietro ed il giudice Falcone, la cui figura gode fin da subito di un certo fascino non solo per la tragica sorte di cui questi è stato vittima, ma sopratutto perché offre in modo concreto il senso di drammaticità e l’importanza sincera del momento a cui stiamo assistendo, un vero peccato che il tutto si risolva in due battute chiuse da una osservazione culinaria dinnanzi ad un piatto di spaghetti. Altro fattore che da tale sensazione sono i continui cambiamenti di data sempre bene espressi ed indicati, che se da un lato mantengono il ritmo, dall’altro, l’eccessivo uso, lo stroncano, dimostrando la voglia di voler fare con 1992 più un reportage che una serie tv.
Sebbene le frasi, i dialoghi, le scene di impatto ben costruite comunque siano presenti, e sebbene sia sotto il profilo della sceneggiatura che della regia non manchi una discreta qualità, considerando anche che purtroppo il regista di tanto in tanto tende a ripetere certe inquadrature (come un primo piano costante nonché teatrale al lato B della Leone o alle cosce con calze a rete di questa per ricordarci quanto sia sexy) questo secondo giro della nuovissima serie targata Sky non emerge dagli errori dei primi due appuntamenti, anzi ci rivela ancor più una ambizione, da parte di chi vi sta dietro, smodata ed eccessiva (e purtroppo qui ripeto i concetti espressi la scorsa settimana, che speravo ieri potessero essere smentiti) che sullo schermo si manifesta in una certa superficialità e fretta nel voler prendersi la briga di raccontare “tutte” le sfumature di quel che fu il 1992 e forse su una vuole andarci giù pesante, e questa, ve lo diciamo fin da adesso, non riguarderà direttamente Tangentopoli, ma l’ascesa di Berlusconi. Sembra quasi che sia la Storia, in tal caso, a trascinare i personaggi, quella Vera, quella che la produzione ha ricostruito benissimo grazie ad una cura pignola per i set ed costumi che ci fanno tornare in quegli anni lì, e non i personaggi che si afflosciano e si lasciano purtroppo trascinare dalla corrente e dalle onde del 1992 senza mai cavalcarle.
La prossima settimana siamo al fatidico “giro di boa”, vedremo se rimarremo finalmente sorpresi, di sicuro la sigla non deluderà.
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