L’Importanza di Chiamarsi Frank Underwood
Sono riuscito in una decina di giorni, un lasso di tempo, davvero, considerevolmente lungo considerati i ritmi generali con cui si divorano le serie tv che amiamo, a vedere in italiano le 4 puntate al momento disponibili uscite su Sky Atlantic di House of Cards, la cui nuova ed ultima stagione ha fatto tanto discutere in Italia dando il via, in tal modo, ad un orgia di commenti e recensioni fatte a tavolino e talvolta sterili scritte persino da critici noti o da amanti del cinema occasionali.
Cosa rimprovera la gente a questo nuovo appuntamento con il neo eletto presidente degli Stati Uniti d’America? Una cerca lentezza, prolissità e poca dinamicità che era possibile riscontrare nei due capitoli precedenti, ove l’ambizioso Frank Underwood stringeva alleanze con mari e monti, architettava trame complesse con consorte e componenti dello staff pur di arrivare a posare le sue natiche su quella che rimane la poltrona più scomoda di tutte: quella del presidente di uno stato.
Ecco dove sta il nucleo di questa terza stagione, dove i nuovi tredici episodi hanno deciso di fare breccia, o almeno i primi 4, e dove è possibile scorgere quel tanto che basta da rendere House of Cards una serie tv interessante ed imperdibile; gli sceneggiatori, guidati anche dall’omonimo libro di Michael Dobbs, ambientato però nella uggiosa Londra, hanno fatto una virata considerevole per quanto concerne la sceneggiatura, riprendendo le fila del discorso tra una stagione e l’altra non in modo “diretto”, ma lasciando scorrere, all’interno della narrazione, qualche mese tra la puntata 2×13 e la 3×01, animando sullo schermo un presidente frustrato, ingabbiato, tradito e vittima, sopratutto, di un modus operandi che lui stesso ha promosso ed attraverso il quale è riuscito a cogliere e raccogliere il potere di cui gode al momento.
Dietro infatti ai mille giri di parole a stampo politico ed alle conferenze nella stanza ovale della Casa Bianca si respira aria di crisi, Underwood si appella persino a Dio, cerca di capire quale è il punto di forza di quest’ultimo, ma in un secondo momento si prende gioco di lui spntando ad una statua raffigurante Cristo in Croce. Frank, un uomo che dietro ad una apparente forza e sicurezza nasconde all’interno di sé la paura e la coscienza di essere sull’orlo del baratro, consapevole che coloro i quali un tempo suoi alleati erano saliti sul carro dei vincitori che portava le iniziali del suo nome F.U. adesso sono i primi ad abbandonarlo, forse perché anch’essi consci di una situazione che potrebbe solo peggiorare e trascinarli nelle profondità degli intrighi politici, ma forse ancor più di questo delusi dalle tante promesse mancate da parte di colui che un tempo da carnefice e promulgatore di una certa politica adesso ne è diventata vittima.
Sarà difficile togliersi dalla mente alcune sequenze di questa nuova stagione, ad affiancare quella appena descritta si potrebbe aggiungere l’episodio che vede il neo-presidente immerso nella politica estera, dove il capo dello stato Russo in visita a Washington richiama fortemente quel Putin di contemporanea memoria (e le Pussy Riot che accompagnano i titoli di coda nel finale della puntata 3 non sono casuali, così come le diatribe legate ad i diritti degli omosessuali).
E’ complicato districarsi in un ambiente come quello che si respira nel cuore dell’America, dove l’aria si fa plumbea nei corridoi ed i volti di persino chi è stato al tuo fianco una vita intera, combattuto con te battaglie personali e non, sembrano essere segnati da un ghigno malefico e dal vile opportunismo.
Chi scrive non ama House of Cards, non lo elogia perché è un fan sfegatato, non ha letto tutti i libri da cui è tratta la serie, ma analizza, si spera con dignità ed intelligenza, una serie tv che alla sua terza messa in onda, nella scelta coraggiosa di voler mostrare le debolezze ed un Frank Underwood in difficoltà che arranca nel saper tenere le redini del suo partito e della sua presidenza, trova l’ardire e la chiave di lettura giusta per rimanere impressa nella mente di tutti noi in modo logico, ma ancor più necessario si potrebbe dire inedito.
Ed allora una piccola soddisfazione me la tolgo nel dirvi o nel consigliarvi amichevolmente che se vi siete stancati di questo Frank, del carisma di questo Kevin Spacey, e già di questa stagione forse è il momento di farsi due domande, che male non fanno mai.
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