21 Novembre 2024

Wunderkammer Cinématographique: Volume 1

Wunderkammer Cinématographique (tradotto: La Stanza delle Meraviglie Cinematografiche) è la nuova rubrica cinematografica curata dal sottoscritto, assieme a quella orma nota come “All you Need is Cinema” che puntualmente esce ogni Sabato mattina. Al contrario, infatti, della sua gemella di carta e inchiostro, questa non godrà di una costanza particolare, poiché l’idea, all’origine, era quella di scrivere, di tanto in tanto e per puro svago, un articolo che contenesse all’interno un massimo di 5 film recensiti con un massimo di 500 parole. w8E’ sorta così la volontà di dare alla luce un qualcosa che, si spera, possa appagare voi lettori e incuriosirvi, dato che il più delle volte leggersi una recensione di troppe parole o particolarmente lunga può ai più apparire dispersiva, ripetitiva o addirittura eccessiva (anche per il sottoscritto). Con l’avvento, infatti, della nuova realtà virtuale, mi riferisco ai vari social network, si è sempre più portati a trovarci tra le mani un certo numero di concetti liquidati in un massimo di tre o quattro righe con modalità immediate. Pur considerando, almeno personalmente, la cosa in sé non troppo illuminate, trovo abbastanza interessante tuttavia cercare di elaborare il modo per riassumere un giudizio in poche righe, quasi a voler fare della brevità un punto di forza. Non aspettatevi, dunque, da questa nuova rubrica un commento su un film scritto in due righe e mezzo, ma siate consapevoli che in un solo articolo pubblicheremo ben quattro recensioni (che poi potrebbero anche essere riprese ed ampliate, dunque inserite nella sezione cinema indipendentemente in futuro) o al massimo cinque. Le pellicole scelte potranno non avere un tema che funga da comune denominatore, siate pronti ad aspettarvi i più strampalati accozzamenti di idee. Non sapendo, di preciso, quando uscirà il prossimo numero, (tra un mese, tra dieci giorni?,la prossima settimana?, oppure mai!), seppur sia mia intenzione pubblicarne uno al mese (o massimo 2), vi lascio in balia dei commenti dei quattro film che ho scelto attraverso i quali inaugurare questo nuovo spazio cinematografico ai quali ho dato, inoltre, un giudizio in stelle (con un massimo di cinque ed un minimo di una).


Buona Lettura e Buona Visione!

308555id1i_TheJudge_FinalRated_27x40_1Sheet.inddAmerican Sniper

di Clint Eastwood 

Dopo Jersey Boys, Clint Eastwood torna al cinema con una pellicola molto più ambiziosa, distribuita in America proprio in queste settimane per cercare di conquistare uno spazio ai prossimi premi Oscar. La storia del cecchino Statunitense Chris Kyle, inviato nella guerra in Iraq ed ancor oggi uno degli Sniper più letali della storia, si offre al pubblico con un immenso Bradley Cooper, ingrassato per l’occasione e con dei muscoli da far invidia ai più navigati giocatori di lotta, mostrando attraverso il suo sguardo tutto l’orrore di una guerra che ha fatto, alla fine, solo vittime e morti. Tuttavia Clint non si sofferma molto sul lato politico della vicenda, ma conscio della propria linea politica usa la telecamera come lente di ingrandimento per raccontare la vita prima, durante e dopo i turni in medio-oriente del soldato Kyle, frammentando la narrazione tra scenari orripilanti di massacri e sparatorie a sequenze ove il protagonista è a casa con la sua famiglia. Tutto un po’ troppo già visto ed infatti American Sniper è una pellicola che arriva troppo tardi nelle nostre sale, dopo il bellissimo Zero Dark Thirthy e l’altrettanto ispirato The Hurt Locker entrambi di Kathryn Bigelow, regista a sua volta capace di saper cogliere con lucidità tutti i detriti dei conflitti, renderli quasi un gioco per chi vi partecipa, una dipendenza distruttiva come può essere una qualsiasi altra, come una droga.

Tecnicamente è un film eccellente, Eastwood a 84 anni è un senza dubbio un affermato maestro della settima arte, sa far parlare le immagini, anche attraverso una bellissima fotografia, usa un linguaggio visivo con una padronanza unica, un discorso, questo, che ben si sposa anche per il montaggio, ti trascina con la telecamera esattamente dove vuole lui ed il film grazie alla sua maestria può vantare un reparto tecnico da antologia. Però, pur facendo una critica alla guerra ed alla mentalità americana quasi fanatica nonché guerrafondaia, la seconda parte della pellicola dimostra fin troppo chiaramente la linea politica dell’autore ed il patriottismo (paradossalmente nemmeno più di tanto apprezzato dai recensori suoi “compatrioti”) appesantisce un po’ troppo il lungometraggio, dando a questi una sfumatura considerevolmente anacronistica e difficile in certi momenti da digerire. Un film ad ogni modo degno di stare nella filmografia del regista statunitense, anche se, va detto, siamo lontani dai tempi di Million Dollar Baby, Mystic River o Gran Torino.

Voto: ★★★


The Imitation Game100x140_tig_rgb_FMrmvcY_jpg_1003x0_crop_q85

di Morten Tyldum  

The Imitation Game è un film che fa luce su alcune vicende ancor oggi poco note ai più legate alla Seconda Guerra Mondiale, ma non è solo una biografia, è anche una denuncia, un atto di responsabilità ed un’ammissione di colpa; un film che vuole dimostrare i limiti di un paese che proprio nel momento in cui aveva trovato il modo di mettere a tacere una guerra, muovendo un duro scacco alla Germania, non aveva ancora trovato la maturità di accettare la diversità umana, e sta proprio nell’essere diverso che Turing/Cumberbatch convince e fa venire meno, il più delle volte, alcune insipide lacune della pellicola, che ad onor del merito non scade mai troppo nel banale o nello scontato, sebbene si conceda di tanto in tanto qualche riserva sopratutto nel finale. E’ un lavoro, oltre che bello, giusto, non solo nei confronti della Storia, ma anche perché capita nel momento opportuno ad un anno di distanza dalla grazia postuma che la regina Elisabetta ha elargito a quest’uomo, ed anche perché questo è il momento di Cumberbatch, la massima rappresentazione del cinema di sua maestà, ormai icona e sinonimo di qualità assoluta, l’astro più brillante e lucente della nuova generazione di talenti purosangue inglesi, tanto bravo da dare di un geniale matematico non un ritratto retorico o quello scontato di un martire incompreso, ma sentito e emozionate, privo di un qualunque sentimentalismo gratuito, ma genuino. In altre parole quello di un semplice uomo pieno di paure, ma al contempo carico di responsabilità, dalla personalità complessa, fragile e solo, mai veramente a suo agio e mai accettato dalla società, ma sicuro e coscienzioso delle proprie azioni e delle proprie virtù. Una partita a scacchi tra codici, macchine ed orrori, una pellicola che scava in un passato scomodo, nella vita di uno dei padri dell’informatica e dei computer rivelando piccoli, ma importanti retroscena.

Voto: ★★★ 1/2

locandinaBig Eyes

di Tim Burton 

Arriva al Cinema anche Tim Burton con un biopic incentrato sulla vita di Margaret Keane e sul rapporto tra lei ed il secondo marito Walter Keane. Una storia che quasi assomiglia ad una fiaba, ove ci sono tutti i presupposti sia metaforici che fisici per renderla tale. Siamo in America, negli anni ’50, la signora Ulbrich, giovane pittrice, arriva a San Francisco con la propria bambina ed un matrimonio naufragato alle spalle e tra le strade ed i parchi della città conosce Walter Keane, il quale si presenta a lei come un pittore ed artista specializzato nel realizzare dipinti con soggetto le strade parigine. I due convolano a nozze, ma Walter si scoprirà presto essere un truffatore che non prova alcun rimorso nel vendere i dipinti della moglie, con unico soggetto dei bambini dagli occhi grandi e tristi, e farli passare per propri. La situazione piano piano iniziano a degenerare, perché Margaret non vuole proprio stare più al gioco del marito e non accetta che il suo lavoro venga letteralmente rubato da un altra persona.

Una pellicola, questa, che ci fa respirare il Burton più “ordinario”, ma che ci regala sempre quei tocchi e quelle pennellate, anche estetiche, tipiche del suo gran bel cinema. Non è il miglior lavoro del regista, va detto, ma come opera biografica la pellicola funziona perfettamente, riuscendo ad esprimersi al meglio proprio attraverso le immagini e le tante sequenze a volte tanto divertenti quanto grottesche. E’ anche un lavoro interessante sotto il profilo del femminismo che rivela un dettaglio che rivela un dettaglio di non poco valore riguardo la pittura, considerata un arte solo per uomini. I fan di Tim rimarranno comunque soddisfatti, pur non trattandosi del suo capolavoro, perché Big Eyes riesce ad ogni modo a sorprendere, magari solo attraverso qualche inquadratura (grazie alla quale riconosciamo il genio che l’ha studiata e realizzata) e qualche scenografia, ma è comunque un lavoro che ha un cuore ed un’anima sincera. Eccezionale, inoltre, la performance di Amy Adams ove riesce, proprio come i suoi quadri, a far parlare i suoi sentimenti attraverso lo sguardo e gli occhi, così espressivi da sembrare innaturali ed il vero tocco di classe Burton lo raggiunge proprio in una scena notturna, di fronte allo sguardo in lacrime della sua protagonista. Poteva forse fare di più, manca magari un po’ di voglia di mettersi in gioco ed osare come in passato, ma, chissà, magari per questo giro, basta anche così.

Voto: ★★★ 1/2

La Teoria del Tuttola_teoria_del_tutto_poster_ita 

di James Marsh 

Il primo film riguardante la vita dello scienziato Stephen Hawking vede protagonista il lanciato attore britannico Eddie Redmayne, per intenderci il Marius de Les Miserables di Tom Hooper che non riusciva a trasudare nemmeno un minimo di infatuazione nei confronti di Cosette pur essendo questa interpretata dalla bella Amanda Seyfried. Sono cambiate, ora, le regole e le modalità della recitazione ed è cambiato anche Eddie che assieme alla sua collega Felicity Jones riesce a fare l’interpretazione della vita, sperando di aver usato un’iperbole così che possa sorprenderci ancora in futuro. La sua performance nei panni del grande scienziato è indubbiamente la migliore dell’anno, sebbene Michael Keaton non abbia scherzato in Birdman, e qualora riuscisse a conquistare la statuetta d’oro il prossimo 22 Febbraio a Los Angeles non ci sarebbe nulla di sbagliato poiché La Teoria del Tutto è un biopic normalissimo, che non offre nulla più dei tanti altri fatti nel passato, ma che grazie ai suoi due protagonisti riesce a rimanere impresso e sopratutto riesce a dimostrarsi di qualità. Una vita affascinante e piena di dolore quella di Stephen, ma presa anche con ironia e sopratutto da una voglia matta di vivere, continuare a fare ciò che si ama con le persone che si amano. James Marsh prende ispirazione da A Beautiful Mind, ma non punta in alto, resta con i piedi per terra e confeziona quindi un prodotto che nella sua semplicità ed umiltà può essere detto riuscito, che non annoia mai e fa emozionare senza essere troppo ruffiano o telefonato. Di certo senza una coppia di protagonisti così ispirata, fatta eccezione per qualche trovata tecnica ed una buona fotografia, il tutto non sarebbe stato poi così eclatante, ma come si suol dire “a Cesare quel che è di Cesare” e per questo motivo La Teoria del Tutto è un film consigliato, se non altro perché rimane comunque una bella, per quanto dura, lezione di vita che ci invita a non arrendersi mai e vivere le nostre vite nel modo migliore oltre ad essere un manuale di recitazione per le nuove generazioni.

Voto: ★★★

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Claudio Fedele

Nato il 6 Febbraio 1993, residente a Livorno. Appassionato di Libri, Videogiochi, Arte e Film. Sostenitore del progetto Uninfonews e gran seguace della corrente dedita al Bunburysmo. Amante della buona musica e finto conoscitore di dipinti Pre-Raffaelliti.
Grande fan di: Stephen King, J.R.R. Tolkien, Wu Ming, J.K. Rowling, Charles Dickens e Peter Jackson.

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