Vi è un alto livello di disinformazione generale riguardo all’ormai prossimo referendum abrogativo
“no Triv”, previsto per il 17 aprile in tutta Italia; in effetti, solamente un terzo degli italiani
sembra intenzionato ad andare a votare, il 22% di loro è ben informato sul tema, il 40% dichiara di
averne sentito vagamente parlare e il 38% non ne sa assolutamente nulla. Il referendum sarà valido
soltanto se si presenteranno al voto il 50% più uno degli aventi diritto.
Gli organizzatori denunciano la mancata promozione dell’evento da parte del Governo e dei mass
media, e sono molte le polemiche sollevate circa il giorno stabilito; inizialmente venne ipotizzato
di svolgere il referendum a giugno, simultaneamente alle elezioni amministrative in molte città;
questo avrebbe evitato un dispendio ulteriore di risorse e favorito un afflusso maggiore alle urne.
Ciò nonostante, la richiesta è stata rifiutata, in quanto il decreto legge 98 del 2010 lo vieta.
In seguito alla fallimentare raccolta firme sugli otto punti referendari promossi da Possibile, due
dei quali avevano a che fare proprio con la ricerca e l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi,
nel settembre scorso vennero presentati davanti alla Cassazione altri sei specifici quesiti
riguardanti le trivellazioni. Incitate da varie associazioni e comitati favorevoli al sì, le nove
Regioni promotrici (è la prima volta nella storia della Repubblica) furono: la Sardegna, la
Basilicata, le Marche, la Puglia, il Veneto, la Calabria, la Liguria, la Campania ed il Molise.
Tuttavia a dicembre, a causa di alcune modifiche intervenute sulla legge di Stabilità, è stata
dichiarata ammissibile esclusivamente l’ultima delle proposte.
Il quesito referendario sarà formulato in questa maniera:
“Volete che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, “Norme in materia ambientale”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita
utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Si chiede quindi di impedire che le concessioni rilasciate per l’estrazione di idrocarburi entro le 12
miglia dalla costa, possano essere prorogate a tempo illimitato .
Dunque con il voto, gli elettori non decideranno nulla sulle nuove trivellazioni in mare. Di fatto
sono già in vigore le normative che vietano i permessi per nuove attività di ricerca, estrazione e
coltivazione entro le 12 miglia marine, ma che tuttavia non lo impediscono affatto per quelle che
avvengono oltre questo limite. Semplicemente, in caso della vittoria del sì, le estrazioni prossime
alle coste termineranno nel giro di pochi anni, alla scadenza dei permessi.
Su un totale di 66 concessioni nei nostri mari, 21 sono quelle interessate dal referendum; tra di esse
compaiono anche piattaforme di grandi società come l’EniEdison Gas, Shell Italia, Transunion
Petroleum IT e Northem Petroleum UK.
A tal proposito, i vari comitati a favore del No (guidati dall’ex deputato Gianfranco Borghini, da
esponenti del mondo delle imprese, ma anche da rappresentanti sindacali), rivolgono l’attenzionesoprattutto sulla questione occupazionale legata ad una possibile chiusura dei giacimenti
d’estrazione. Oltre al rischio della perdita di posti di lavoro, viene evidenziata l’importanza della
presenza delle piattaforme in territorio nazionale, volta a soddisfare buona parte del fabbisogno
energetico interno.
Dall’altro lato i sostenitori del Sì (prime fra tutti le associazioni ambientalistiche Greenpeace e
WWF) ribattono affermando che gli idrocarburi estratti ne
fabbisogno energetico nazionale solamente per poche settimane. Secondo Greenpeace, sono
soprattutto i petrolieri a beneficiare di queste attività, versando le royalties più basse al mondo (il
7% del valore di quanto estratto), ed approfittando di agevolazioni enormi. Infine, la
preoccupazione maggiore riguarda i rischi ambientali. Nel malaugurato caso
di incidente petrolifero, i danni sarebbero irreparabili e rovinerebbero definitivamente
il settore ittico e turistico.
In sostanza però,l’importanza del referendum è legata soprattutto al messaggio politico che
trasmette, visto che l’esito non apporterebbe conseguenze significative riguardo alle nuove
concessioni. In caso di vittoria del sì, il segnale contrario all’ulteriore sfruttamento dei
combustibili fossili e alle scelte energetiche dei Governi sarebbe chiaro, e l’esigenza di
incentivare lo svluppo e l’utilizzo delle energie rinnovabili si imporrebbe con forza.